Una sala molto calorosa ha accolto, lo scorso 29 novembre, presso il Palais des Festivals di Cannes, la prima rappresentazione in Francia della Carmen della Compañia Nacional de Danza de España.
Fondata nel 1979, la compagnia è stata fortemente segnata dai vent’anni di direzione di Nacho Duato, che riesce a dotarla di un prestigio internazionale basato sulle proprie coreografie. Abbandonando, nel 2010, la direzione della compagnia, il coreografo porta però via con sé tutti i suoi lavori e tocca al nuovo direttore, José Carlos Martinez, già étoile del Balletto dell’Opéra di Parigi, ricostruire tutto il repertorio, intraprendendo un nuovo viaggio che riporta alla tradizione, ovvero alla danza classica, arricchita tuttavia da molte e interessanti proposte di giovani coreografi.
Il direttore sceglie di chiamare Johan Inger, coreografo svedese, a cui affida l’arduo compito di riprendere il mito di Carmen. Confrontarsi con un mito, specialmente di grande portata come quello di Carmen, non è cosa facile, eppure la sfida si può considerare vinta, come testimonia il grande successo di pubblico subito riscosso dal balletto.
In una versione estremamente attuale e libera Johan Inger svela la sua eroina attraverso gli occhi di un bambino, personaggio avvolto da un certo alone di mistero poiché potrebbe trattarsi di un bambino qualsiasi: di Don José piccolo come della giovane Micaela, di noi stessi o di un’esperienza violenta, anche breve, che ha avuto un’influenza negativa sulle nostre vite, traducendosi nell’incapacità di legarci agli altri. Anche l’ambientazione non ha una connotazione definita: Siviglia è un luogo qualsiasi, l’officina è un’officina qualunque e la montagne di Ronda assomigliano a periferie degradate. I soldati si avvicinano maggiormente a un’altra forma di potere, il torero è più simile a una rockstar, ma Carmen resta sempre una donna libera, coraggiosa e contemporanea.
La prima parte è senza tregua, percorsa da un’energia inarrestabile, e mette in scena donne indipendenti e uomini fieri, secondo una scansione semplice, senza movimenti di troppo, in un susseguirsi di entrate e uscite. Il secondo atto è più noir e introspettivo e racconta ciò che succede nella mente di Don José, attorniato da ombre e da demoni, come un incubo a cui egli non riesce a sottrarsi.
Anche la musica di Bizet e Shchredin, arricchita dalla composizione musicale originale di Marc Alvarez, gioca un ruolo fondamentale all’interno di questo dramma dalle tinte forti in quanto pone un’enfasi particolare sui momenti chiave della messinscena e crea un’atmosfera particolare, senza dubbio intrigante e a tratti mozzafiato.
Traduzione di Giada Feraudo.