Torna Lia Courrier con SetteOtto: “L’abito fa il monaco”

di Lia Courrier
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Nelle scuole con cui ho collaborato ho sempre premuto affinché gli allievi si presentassero a lezione con una tenuta adeguata allo studio della danza classica. Non necessariamente una divisa, anzi, non mi dispiace vedere più colori in sala, lasciando anche che ognuno scelga il proprio modello, perché non c'è cosa migliore di indossare un abito che ti faccia sentire bella e a tuo agio durante la lezione. Credo sia didatticamente formativo avere in una classe, però, soprattutto per i giovanissimi, una certa pulizia, un ordine necessario, facente parte di quella etichetta del balletto di cui abbiamo parlato più volte, che non è una semplice questione formale, ma racchiude in sé l'essenza della disciplina che si sta studiando. Certo, mantenere la tenuta accademica, che per le donne è costituita solo da un body, le calze rosa, le scarpette e i capelli raccolti in uno chignon, mentre per gli uomini calzamaglia e maglietta aderente, nessun gioiello ammesso, può essere percepito come traumatico o invasivo. Ci si sente vulnerabili, troppo esposti allo sguardo degli altri e al proprio, con tutti i dettagli del corpo che vengono messi in luce, allo stesso modo in cui il movimento diventa improvvisamente visibile in ogni suo particolare. Io stessa ricordo ancora un esame di fine anno, durante la formazione, per il quale la nostra maestra scelse il rosa confetto per le divise, un colore che certo non dona a chi non ha propriamente un corpo da ballerina. È stata una tortura guardarmi allo specchio con indosso quel vestito, nonché affrontare un esame con quella sensazione fastidiosa addosso, ma è stata anche una prova importante per tenere a bada il mio ego, perché più volte sul palcoscenico mi è capitato di dover indossare costumi non proprio adatti alla mia fisicità. Il nostro lavoro è fatto anche di questi aspetti, non secondari: il più delle volte il nostro strumento viene abbondantemente esposto, per questo è necessario costruire un rapporto quotidiano e costante con il proprio corpo, imparare a conoscerlo, ad amarlo, ad accettarlo esattamente così com'è. 

Nelle giornate invernali ovviamente, per una parte della sbarra, concedo agli allievi di tenere indosso qualcosa di pesante per scaldarsi, ma non appena possibile consiglio sempre di togliere il superfluo per poter sentire, ed osservare attraverso lo specchio, il modo in cui il corpo appare e si muove. Con tute larghe e magliette penzolanti non riusciremo mai a sentire se le ginocchia sono davvero allungate fino in fondo o se il gomito è ben sostenuto, gli addominali al posto giusto e la schiena bella ampia; non sarà possibile vedere le linee del nostro corpo, pulite e svuotate da ogni orpello che possa in qualche modo falsare la percezione chiara di ciò che stiamo facendo. Con i capelli in disordine non potremo dare uno scatto di testa efficace per la pirouette, senza ricevere una frustata negli occhi dalla coda di cavallo legata alla carlona con un elastico. Indossando solo dei calzini anziché scarpe da mezza punta, non solo rischieremo microtraumi osteoarticolari a livello delle ossa del piede e infiammazioni dolorose, a causa del diretto contatto del piede con il pavimento, ma non ci concederemo la possibilità di sviluppare la forza necessaria nelle dita, o di poter girare con la giusta fluidità.

Non sono una purista a tutti i costi, come sanno bene i danzatori che partecipano alle mie classi un po' folli, in equilibrio sulla linea di confine tra l'anarchia e l'accademismo. Però sono consapevole che la relazione con il proprio corpo è qualcosa di troppo delicato e profondo da potersi costruire direttamente sulla scena quando un coreografo ci chiede di danzare coperti solo da dieci centimetri di stoffa. È molto meglio coltivare giorno per giorno questo dialogo, ammirando il nostro corpo nella sua naturale bellezza, osservandolo con occhio non giudicante, con i suoi limiti e le sue meraviglie, perché nasconderlo dentro ai vestiti vuol dire prima di tutto fingere con noi stessi. L'abitudine a studiare in abiti consoni, che ci mostrano per quello che siamo, nudi e crudi, è un'ottima palestra in questo senso, non solo per entrare in una relazione di confidenza e complicità con noi stessi, ma anche per rivelare l'essenza pura della nostra danza.

Possiamo aiutare i nostri giovani allievi ad accettare e comprendere l'importanza della tenuta da indossare a lezione facendoli partecipare attivamente alla scelta del modello e del colore, consigliando loro qualcosa di fasciante, elegante, semplice, spiegando che già soltanto il fatto di indossare quei capi li farà sentire diversi, in ordine e  pronti per uno studio onesto della danza. Qualora qualcuno avesse bisogno di più tempo per abituarsi all'idea di studiare con indosso una tenuta accademica, dovremo rispettare i suoi tempi, senza violare la sfera personale di quell'allievo, poiché non sappiamo cosa sta attraversando a livello emotivo. Sarà opportuno, per questo, astenersi da ogni commento pubblico sul corpo, che sia elogio o critica, poiché il dono di un insegnante è proprio permettere a tutti coloro che lo desiderano di praticare l'arte coreutica del balletto, indipendentemente dal potenziale. In pochi diventeranno professionisti dello spettacolo dal vivo, ma tutti, proprio tutti, hanno il diritto di godere del piacere di danzare, se questo è il loro desiderio. Non è nostro compito giudicarli, ma solo invitarli ad esprimersi attraverso il movimento, guidandoli e sostenendoli nei loro progressi, aiutandoli a sviluppare un sano rapporto con il Sé danzante.

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