Facendo seguito all’articolo di Fabiola Di Blasi pubblicato lo scorso 13 maggio su Dance Hall News riportiamo qui di seguito il testo del Comunicato del Comitato nazionale delle Fondazioni lirico sinfoniche Italiane di cui è stata data pubblica lettura il 5 giugno al Teatro Comploy di Verona, in occasione della serata che ha visto protagonista tanta danza per salvare la danza, organizzata dall’Associazione “Lasciateci Danzare!” e che, ricordiamo, ha visto ospiti personaggi del calibro di Amedeo Amodio, Giuseppe Carbone e Mario Mariozzi.
5 giugno 2019 LASCIATECI DANZARE
Quando nell’ottobre del 2016 è uscita l’ennesima legge falcidiante sulle fondazioni lirico sinfoniche, noi lavoratori – che mai prima di allora eravamo riusciti ad organizzarci in un coordinamento nazionale – abbiamo creato una banale chat di Whatsapp, con il passaparola. Nel giro di pochi giorni eravamo una sessantina a scambiarci opinioni e ansie sulla situazione dei teatri. Che cosa potevamo fare? Non moltissimo. Le leggi le fa il Governo e i Teatri li gestiscono i Sovrintendenti per nomina politica. Ma un sentimento comune di riscatto e ribellione ci ha attraversati e abbiamo messo su la prima manifestazione, a Venezia, nel novembre di quell’anno, rivendicando la natura costituzionale dei nostri teatri.
Sì, perché le cose sono andate così. Negli ultimi trent’anni il mantra sulla salvezza del patrimonio culturale è stato l’inno all’ingresso dei privati nel pubblico, secondo l’assunto che “lo Stato non può dare di più”. Si è dato credito alla chimera del teatro-azienda, con il risultato che oggi i teatri assomigliano più a contenitori di eventi commerciali e di intrattenimento, anziché ad istituzioni culturali, quali dovrebbero essere. E nel frattempo i corpi di ballo stabili in Italia sono scesi a 4; tutti i lavoratori hanno subito una diffusa erosione dei loro diritti e spesso la programmazione si è impoverita. Il teatro-azienda era una chimera, appunto. Per il semplice motivo che l’esercizio dei teatri causa un risultato economico passivo, perché i costi superano sempre i ricavi. Come le scuole e gli ospedali. E che cos’è la cultura, la musica, se non un bene della comunità? Perché la Costituzione ha dedicato un articolo alla tutela del patrimonio culturale, se non per farne un luogo dei diritti fondamentali della persona? Il nostro patrimonio deve rimanere un luogo terzo, sottratto alle leggi del mercato, perché deve produrre cittadini, non clienti né sudditi.
All’interno del nostro settore, la disciplina da sempre più sofferente è la Danza, ipocritamente sacrificata in nome del pareggio di bilancio. Ma riusciamo a immaginare un’Aida senza il balletto? Un Macbeth senza la forza dirompente della danza delle streghe? Lo sapete che negli ultimi anni il coro ha talvolta sostituito il ballo, con coreografie limitatissime alle scarse possibilità di chi ha sempre e solo cantato? D’altro canto fareste aggiustare la vostra auto all’idraulico? L’artista non è un guitto; è un professionista con una sua altissima specializzazione. Non possiamo accettare la demolizione della danza e dei suoi corpi di ballo.
Come Comitato Nazionale delle Fondazioni Lirico Sinfoniche abbiamo cominciato ad organizzarci, anche con le nostre organizzazioni sindacali, per innescare una mobilitazione che scongiurasse l’applicazione di leggi capestro e per rivendicare la funzione sociale e culturale delle nostre istituzioni. Dal 2016 il nostro Comitato ha realizzato centinaia di volantinaggi, un convegno, concerti per la comunità e una decina di proteste e presidi, culminate nella prima manifestazione nazionale di tutti i lavoratori della cultura, a Roma lo scorso ottobre. Abbiamo passato le notti a scrivere comunicati, a cercare giornalisti, a informarci e scambiarci opinioni.
E non smetteremo di lottare. Magari non riusciremo a scongiurare questa deriva privatistica che investe ogni pezzo della nostra società, ma preferiamo soccombere avendo provato a invertire la rotta. Nulla è più lontano da noi del luogo comune “tanto non serve a niente”.
Proviamo a metterci dalla parte del pubblico, e ci domandiamo come può sentire la crisi del nostro settore. Ma prima dovremmo allora chiederci che cos’è il pubblico. Ebbene, la verità è che gli spettacoli sono ancora troppo appannaggio di chi se li può permettere e troppo poco del Popolo Sovrano, che di sovrano non ha quasi più nulla. E il pubblico dovrebbe essere il popolo tutto. Come si può sentire la mancanza di qualcosa che non si conosce? Che non si è mai visto? La cultura arricchisce ogni individuo, ma se non vi è la possibilità di accedervi, non c’è che
imbarbarimento e appiattimento. Come disse Claudio Abbado “la cultura permette di distinguere tra bene e male, di giudicare chi ci governa. La cultura salva”.
E se siete qui stasera è perché questo lo sapete bene.