Lia Courrier: “18mila scuole di danza in Italia e i corsi monosettimanali. Smettiamola di pensare agli allievi come a dei consumatori”

di Lia Courrier
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Dai commenti ricevuti sotto a un mio post, lasciati da persone che lavorano in ambito amatoriale (una parola che non amo molto, perché spesso ha un’accezione negativa e invece ho visto tante volte molta dedizione in chi segue questo tipo di corsi), emerge come negli ultimi decenni sia cominciato un gioco al ribasso per cercare di trattenere gli allievi. Un esempio per tutti è la questione dei corsi monosettimanali, una modalità che onestamente per me non ha alcun senso, che trovo addirittura pericolosa, perché magari la bambina che per anni fa danza classica una volta alla settimana, poi arriva al punto in cui chiede delle scarpette da punta e la struttura, pur di non perderla, soddisfa questa richiesta, mettendole ai piedi uno strumento potenzialmente dannoso, per una persona che non ha un corpo adeguatamente allenato e forte per utilizzarlo. Ma non è che pratiche come l’hip hop o la breakdance siano meno pericolose, poiché anche in questo tipo di tecniche il corpo viene sottoposto ad una richiesta di forza ed energia molto alta. Non mi meraviglia vedere tanti giovani allievi con problemi di allineamento e traumi anche importanti alla struttura muscolo scheletrica, bisogna una volta per tutte mettere in chiaro che danzare non vuol dire automaticamente ottenere uno sviluppo fisico armonioso, anzi, la danza può essere estremamente dannosa se non vengono rispettati i tempi, se non si pratica con costanza e se il conduttore non ha le competenze per fare il suo lavoro in totale sicurezza per l’allievo. Quindi il corso monosettimanale può andare bene alle famiglie, perché così nel resto della settimana i bambini possono fare altre mille attività, va bene alla scuola di danza, perché assecondando questo tipo di richiesta ci si assicura l’iscrizione di tutti. Ma ai fini di un sano insegnamento della danza, seguire una sola lezione a settimana rappresenta una totale perdita di tempo per tutti.

Esiste una grande confusione tra la volontà di intrattenere gli allievi e la necessità di trasmettere la danza in modo sano. Questi due aspetti sembrano a volte in opposizione, come dire: se vuoi fare danza seriamente allora diventerà noioso e faticoso. A questo proposito citerei il commento di una collega che ha scritto: “far divertire ed appagare gli allievi nel danzare non contraddice il principio della correttezza rispetto a quello che si insegna: non è il cosa a fare la differenza, ma il come, e una lezione di tecnica contemporanea ben fatta può essere molto divertente e molto coinvolgente per chi la fa”. L’approccio proposto dalla danza contemporanea, tra l’altro, utilizza schemi motori che i piccoli conoscono molto bene e non comportano alcuna sollecitazione impropria sulla struttura muscolo-scheletrica. Si gioca con il corpo, testando le sue possibilità, divertendosi, rotolando, provando a sfidare il proprio limite e i propri timori, attraverso una ricerca che permetta al movimento di emergere dal mondo interiore dei bambini. Questa modalità crea inclusione, contatto fisico ed emotivo con l’altro, osservazione del sé, insomma: non si tratta di semplice attività a scopo performativo. Credo non sia giusto liquidarla così, dicendo che i bambini si annoiano a fare danza contemporanea, dando a priori una risposta ad una domanda che dovrebbe essere rivolta direttamente a loro. Se si riscontra noia in classe, forse è l’insegnante a non avere le competenze giuste per coinvolgerli.

Direi che a questo punto diventa d’obbligo affrontare la questione dell’enorme numero di scuole di danza su un territorio relativamente piccolo come quello italiano, che si aggira intorno ad un numero quantificabile a 18mila. Le scuole di danza oggi sorgono come funghi, spesso in spazi che presentano importanti criticità per il lavoro, come aule piccolissime o pavimenti inadeguati (a volte direttamente sulle piastrelle, senza alcun sistema di ammortizzamento e nessuna copertura).
L’assenza di opportunità di lavoro per danzatori, nel nostro Paese, invoglia tutti gli uscenti dalle tante ‘accademie professionali’ ad aprirsi la scuola per poter avere un impiego, e questo ha portato ad una offerta ingestibile e mediamente di basso profilo, perché ormai nella maggior parte dei casi l’unico interesse è assicurarsi il minimo profitto e numero di allievi per sopravvivere, mentre i contenuti sono passati in secondo se non in terzo piano.

So che vi sembrerò poco democratica per quello che sto per dire, ma credo proprio che una riforma dell’insegnamento della danza sia necessaria per operare una selezione e lasciare che solo chi ha davvero le competenze possa insegnare. Nessun percorso o titolo, ovviamente, può farti diventare un bravo insegnante, se non ne hai la predisposizione naturale, però credo che seguire un iter formativo dedicato e riconosciuto a livello ministeriale (modello francese), garantirebbe che gli insegnanti, oltre a saper mettere in fila quattro movimenti, siano anche a conoscenza di tanti altri strumenti indispensabili per la didattica. Ovviamente la maggior parte degli insegnanti non ha mai appoggiato questa proposta (AIDAF), nascondendosi dietro a mille alibi, fondamentalmente perché nessuno vuole mollare il colpo e questa prospettiva mette paura.

A fronte di tante scuole che adottano la politica dell’intrattenimento, per fortuna ci sono realtà che con grande fatica cercano di disciplinare i propri allievi, portandoli con pazienza verso uno studio serio della danza: costanza, presenza, rispetto delle regole e una frequenza almeno bisettimanale, con anche due discipline per ogni giorno. Credo che questo sia l’unico modo per chi ha come unico interesse i propri allievi, anche nell’eventualità di vederli volare via, semmai decidessero di intraprendere un progetto professionale, che vorrebbe dire vedere coronati i sogni di entrambi, ma purtroppo anche qui ci sarebbe da aprire una riflessione su quanto possa essere tenace l’attaccamento nei confronti degli allievi. Di questo magari parleremo un’altra volta.

Smettiamola di pensare agli allievi come a dei consumatori, a dei clienti.

La danza richiede altri sistemi.

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