Lia Courrier: “A cosa serve la tecnica? Vivere lo studio della tecnica come una medicina amara non è proprio l’approccio migliore”

di Lia Courrier
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A cosa serve la tecnica?

Ci si avvicina alla danza spinti da un istinto vivo e vitale verso il puro piacere del movimento. I bambini imparano a disegnare prima di scrivere, imparano a cantare prima di parlare, emettendo suoni, sperimentando con grande libertà le possibilità vocali prima di addomesticare la fonazione negli schemi del linguaggio parlato. Imparano a ballare ancora prima di camminare, muovendosi ritmicamente ogni volta che ascoltano la musica o anche quando sembrano seguire col corpo una musica interiore e in questa fase la loro danza è spontanea, autentica, incredibilmente organizzata. L’arte è la porta attraverso cui i bambini entrano in contatto con il mondo e sebbene non siano consapevoli di essere dei piccoli grandi artisti (o forse proprio per questo) sono in grado di produrre opere di grande potenza e bellezza, in qualsiasi campo scelgano di cimentarsi. Quando si diventa più grandi e si decide di continuare a danzare, ci si scontra con la necessità di imparare delle tecniche che rendano il corpo adeguatamente prestante per quello specifico linguaggio.

La tecnica può essere uno scoglio importante che opera già una selezione naturale e, allo stesso tempo, aiuta l’aspirante danzatore a orientarsi verso quelle modalità e approcci al movimento più congeniali per il proprio strumento-veicolo.

La tecnica della danza classica è forse quella che oggi più di tutte sta vivendo una perdita di popolarità, specialmente in ambito amatoriale dove i corsi dei più piccoli sono sempre i più numerosi, con programmi che vanno dal gioco-danza alla propedeutica, mentre nelle fasce di età successive solitamente si verifica una perdita di presenze perché ci si scontra con lo studio della tecnica, la fatica, i progressi che arrivano lenti e centellinati.

C’è una fase spartiacque in cui molti allievi che fanno danza classica si spostano verso altri generi che non sono meno difficili, solo si ha fin da subito la sensazione di ballare, di vivere quella dimensione di divertimento e piacere nel movimento che nella danza classica richiede molti anni prima di manifestarsi. In realtà lo studio della tecnica è già danzare, posso già godere del piacere dato dall’esecuzione di un port de bras o in un battement tendu quando ben fatto con cognizione di causa e consapevolezza. La bellezza non è solo nei movimenti grandi, nei virtuosismi, nella velocità o nella ipermobilità, ma sa incastonarsi anche nei dettagli come pietre preziose in un gioiello.

Purtroppo quando si è molto giovani è difficile apprezzare la danza con un simile sguardo  quindi lo studio della tecnica può essere vissuto come noioso e penso proprio che in molti, ad un certo punto della lezione, si chiedano : “si, va bene, ma quand’è che si balla?”

La tecnica è un elemento imprescindibile per poter esprimere, attraverso quel codice, il proprio mondo interiore, il proprio “essere danzante”. La tecnica è uno strumento necessario per creare un ordine armonioso nel sistema dei segmenti che formano il corpo e nel balletto questo ordinamento è stato codificato in modo così preciso e dettagliato da diventarne la cifra, il segno distintivo.

Bisogna secondo me comprendere il valore di questo studio, che è stato tramandato nei secoli quasi esclusivamente in forma orale da insegnante ad allievo, arricchendosi strada facendo di tante nuove competenze, abilità, saperi. Innanzitutto bisogna proprio dire che si tratta di una tecnica che funziona perfettamente, bisogna solo applicarla direi quasi pedissequamente, anche se questa parola ha un significato implicito di “ripetizione priva di originalità” che non è  proprio coerente con ciò di cui stiamo parlando ma di sicuro rende l’idea di ciò che è richiesto, specialmente nei primi anni di apprendimento. Bisogna avere fiducia nella tecnica, ancor prima che nell’insegnante, in come è stata formulata e trasmessa.

Ogni tanto si ha la tentazione di cercare strade alternative, modi diversi per eseguire i movimenti, gli allievi sono dei maghi in questo, ma nonostante la creatività sia sempre apprezzata, la tecnica del balletto chiede solo di attenersi alle sue indicazioni per funzionare e quando lo facciamo ci accorgiamo che i progressi cominciano a sedimentarsi in modo permanente.

L’unica strada percorribile è innamorarsi della tecnica, studiarla con focalizzazione mentale e precisione, nessuna scappatoia, senza attendere lo sguardo o l’approvazione dell’insegnante perché, quando ci immergiamo in questo studio puro e onesto, stiamo creando il contesto in cui sarà possibile esprimere le proprie idee attraverso di essa. Si ripetono fino alla nausea sempre gli stessi movimenti per far diventare quel repertorio di schemi motori qualcosa di naturale, spontaneo, rendendo il corpo reattivo e pronto così da far assurgere al primo piano dell’attenzione di chi danza qualcosa di estremamente importante, ossia personalità, interpretazione, artisticità.

Personalmente considero la tecnica un contenitore e la danza il contenuto: non può esistere l’uno senza l’altra. Padroneggiare la tecnica forse non è da considerarsi un traguardo ma un punto di partenza. Dopo qualche anno di studio, gli allievi cominciano a rinforzare corpo e mente e si rendono conto che eseguire la sbarra è già danzare, è già piacere, tutt’altro che una vuota routine di allenamento ma un contesto in cui possiamo già esplorare il nostro gusto, la nostra visione estetica e musicale, per quanto lineare e semplice possa essere la proposta del docente (sappiamo bene che non esiste una lezione “semplice” se si studia con profondità ma qui sto parlando della percezione degli allievi, che spesso hanno bisogno di fare i fuochi d’artificio per sentirsi soddisfatti) ed è così che ogni lezione diventa un piacere, dal warm up alla reverance.

Bisogna tenere duro in quella fase iniziale in cui tutto è faticoso per il corpo ma anche per la mente, chiamata a imparare non solo i passi e i loro nomi ma anche la sintassi con cui vengono sequenziati più tutta una serie di regole e regolette da stratificare nel tempo. Bisogna anche ricordare che ogni grande scuola ha aggiunto, cambiato, modificato, chiamato i movimenti con altri nomi ed ecco spiegato il perché la danza classica non sia proprio in cima alle classifiche di preferenza: troppo complessa.

Vivere lo studio della tecnica come una medicina amara da prendere perché poi ti fa stare meglio non è proprio l’approccio migliore. Tante volte sento i miei studenti, che frequentano un programma di formazione professionale, ripetere che la presenza della danza classica è necessaria per supportare le altre tecniche, come a dire: la studio perché so che è utile. Mi spiace che una parte di loro non riesca a vivere i momenti di studio della danza classica come anche appaganti dal punto di vista artistico, che puntino solo all’esecuzione del gesto tecnico e non vedano quanto spazio c’è tra le strette maglie di questa rete del codice, da riempire con il proprio racconto, la gioia e il piacere di danzare.

Adoro quando gli allievi cominciano a giocare con le sequenze, a divertirsi, sfidarsi, usare la musica in modo intelligente per sorprendere o per fare di quella sequenza da me assegnata qualcosa di proprio e personale. La tecnica in fondo serve proprio a questo, a fare di una successione di passi una drammaturgia per ossa, carne, sangue, cuore e questo non si può insegnare ma riguarda l’esigenza che ad un certo punto deve emergere spontaneamente, un’urgenza che reclama da dentro per uscire allo scoperto e che trova nella tecnica un canale perfetto.

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