Lia Courrier: “A volte mi sento avvilita dal dover continuare a contare per tutta la lezione. Mi sento un metronomo vivente” – seconda parte

di Lia Courrier
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A volte mi sento avvilita dal dover continuare a contare a voce alta per tutta la lezione per suggerire il tempo agli allievi, mi pare di essere un metronomo vivente e non un’insegnante di danza. Oppure una specie di maestro suggeritore: dovrei scavarmi una buca sul bordo della sala e starmene lì sotto tutto il tempo a sussurrare loro conteggi e passi. Tutta presa da questa attività frenetica, spesso non riesco a dare le correzioni tecniche, cioè la cosa più importante, eppure si tratta di sequenze semplici su musiche altrettanto lineari. Quando la situazione si fa davvero ardua mi capita di fermarmi, di tirare un profondo respiro, e chiedere se nella loro giovane esistenza hanno mai ascoltato musica classica, o qualsiasi altra musica non provenga dall’immenso, sconfinato mondo del pop, che purtroppo dal punto di vista della dinamica musicale spesso è come un ECG completamente piatto. Ebbene, la maggior parte di loro normalmente non ascolta musica classica o addirittura non l’ha mai ascoltata, se non a scuola nelle (poche) ore di educazione musicale. Questo vuol dire che molte persone che si avvicinano alla danza lo fanno senza aver vissuto l’esperienza della musica, che è genuinamente fisica, anche se non sei tu fisicamente a suonare. La musica ti prende e ti rapisce, quando colpisce diritto al cuore, ed è una vera pena scoprire che molti di loro non hanno mai assistito ad un concerto di musica sinfonica dal vivo, né ascoltato la musica dei balletti più famosi.

Si tratta di una lacuna importante per chi vuole danzare, soprattuto per chi pensa di scegliere quella della danza come professione, perché questo vuol dire che la sensibilità musicale non è mai stata accarezzata, ammorbidita, promossa attraverso l’ascolto attento di una musica che, se anche di primo impatto può risultare difficile da comprendere, con un po’ di pratica costante nutre non solo la nostra anima musicale, ma anche l’immaginario e l’accesso alla nostra sfera emozionale. Noi umani siamo esseri che vibrano, tutto il Vivente (con la V maiuscola) vibra ad una certa frequenza, il suono è anch’esso una vibrazione, per questo la musica, questa stratificazione complessa di vibrazioni, è in grado di smuovere il nostro essere, di toccarci le corde più profonde.

C’è da dire che è passata l’epoca in cui i coreografi lavoravano insieme ai compositori. Accade ancora oggi, in alcune grandi realtà o in certi contesti dove all’interno della creazione contemporanea viene riservata alla musica l’attenzione che merita. Per il resto di solito vengono utilizzate musiche registrate, spesso create per contesti totalmente lontani da quelli scenici. Nella coreografia contemporanea, inoltre, a volte la musica assume un ruolo simile a quello che ricopre nella cinematografia, ossia una colonna sonora che crea un ambiente, un contenitore in cui la scena si svolge, mettendone in risalto la drammaturgia. Questo nel migliore dei casi. Nel peggiore dei casi, invece, la musica viene utilizzata per dare dinamismo e potenza a coreografie astratte che non possiedono queste caratteristiche, e viene scelta solo per questioni estetiche, credendo che una bella musica possa rendere la danza più potente, quando invece spesso è proprio il contrario: se la coreografia e gli interpreti non sono in grado di sostenere la musica con la loro presenza, conviene chiudere gli occhi e usare solo le orecchie.

La musica offre degli appuntamenti, ovviamente, degli ambienti sonori che sostengono la partitura coreografica fornendo punti di riferimento importanti per i danzatori, ma per il resto ormai poche persone creano con lo spartito in mano. Ricordo le immagini di un documentario in cui Trisha Brown è alle prese con le prove su musiche di J.S.Bach, aggirandosi in platea con lo spartito in mano, totalmente consapevole e padrona di quello che sta costruendo insieme ai suoi danzatori. Certo, la musica in questo caso è già stata composta, è pre esistente, ma la conoscenza e la competenza di questa donna straordinaria, hanno certamente sostenuto il suo atto creativo. Esiste una fascinazione di lunga data tra la danza contemporanea e la musica barocca, poiché si tratta di una musica che ti porta in alto, che ha in sé dinamica e movimento. La musica barocca è come un vento che si gonfia, infrangendosi sulle pareti di una cupola piena di luce, ma è anche una musica complessa, che offre molto a chi sa ascoltarla con attenzione.

Mi viene in mente anche lo splendido lavoro di Alain Platel, che è sempre riuscito a costruire delle vere e proprie Opere maestose, nelle quali davvero la danza e la musica sono ugualmente importanti: sempre eseguita dal vivo e riadattata per aderire alla danza, la parte musicale è stata spesso seguita da Fabrizio Cassol, che ha portato un contributo importante e di altissimo livello alla creazione, trattando anche un materiale non facile come la musica barocca.

Persino le composizioni ardite, atletiche e folli di compositori come Luciano Berio e Karlheinz Stockhausen, John Cage e molti altri compositori contemporanei, sono state scritte su uno spartito, e questo vuol dire che quando si sceglie di utilizzarle per costruirvi sopra una danza, è possibile operare su quelle partiture attraverso la conoscenza e la sensibilità, per entrare in sintonia con quelle ambientazioni sonore e con l’idea del compositore.

Certo, non tutti i coreografi sono esperti musicali, per questo credo sarebbe preferibile avere dei collaboratori che sostengano la composizione, fornendo consulenze per aiutare il coreografo a cogliere il meglio da ogni brano musicale scelto per il proprio spettacolo.

Tutta questa dissertazione, per dire a tutti gli allievi danzatori che la conoscenza musicale non è una questione secondaria se si vuole danzare, insegnare danza o fare coreografia, perché essere musicali non vuol dire solo andare a tempo insieme agli altri o essere precisi sui conteggi. La musica deve emanarsi da ogni singolo movimento, e non è una musica che ci viene appiccicata da fuori, si tratta di una musica che sorge da dentro e che trasuda dai pori della pelle. Esiste la musica sulla quale muoviamo il corpo e un’altra che produciamo attraverso la danza, e queste due musiche coesistono, si allontanano, a volte, si inseguono e si incontrano nuovamente, proprio come due partner.

Non di sola danza è fatta la performance, bisogna davvero avere una cultura vasta per poter costruire uno spettacolo, tenendo conto di tutti gli elementi che contribuiscono alla sua riuscita: luci, costumi, drammaturgia e, ovviamente, la musica.

Quella che si sente e quella che si vede.

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