Lia Courrier: “Anche in Francia si è abbattuta la scure dei tagli alla cultura”

di Lia Courrier
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Qualche giorno fa ho sentito per telefono un’amica che abita a Parigi, non sapevo nulla di lei da mesi e avevamo voglia di una chiacchiera. Ad un certo punto mi racconta dell’attuale crisi che la Francia sta vivendo in queste ore, della quale non sapevo nulla, dal momento che sono abbastanza occupata a barcamenarmi all’interno della crisi italiana, che dura ormai da decenni e mi fa penare non poco per veleggiare nel turbolento mare della sopravvivenza.

Qui le paghe sono le stesse da ormai vent’anni, con la differenza che ora molti di noi hanno deciso di uscire dal sommerso aprendo una partita iva, costretti a sostenerla senza che nessuno dei datori di lavoro dimostri la possibilità o la volontà di provvedere al pagamento dell’Iva, così il costo del lavoro ricade interamente sul collaboratore, riducendo ulteriormente il già misero guadagno. Il mercato è saturo, fuori controllo, composto da un enorme calderone composto da amatori e professionisti, all’interno del quale gli anni di esperienza, la preparazione e la competenza non vengono premiati né riconosciuti.

La preoccupazione per il futuro è forte per chi, come me, ha investito tutta la propria esistenza per specializzarsi per proprio lavoro, e si ritrova a cinquant’anni a non avere praticamente altre competenze che quelle. Per fortuna sono abituata a navigare a vista e vivere alla giornata, ma questo ovviamente non giustifica l’assenza totale, nell’agenda del governo, delle questioni che riguardano la danza e il suo insegnamento. Il buco legislativo permane nonostante le molte richieste dal basso siano giunte a chi di dovere ormai da anni.

Ho sempre guardato alla Francia come ad un faro nella vecchia Europa, con la sua lunga tradizione di sostegni e risorse per il lavoratori intermittenti dello spettacolo, di inquadramento giuridico per gli insegnanti di danza, con il rilascio di un titolo di qualifica riconosciuto dal Ministero, progetti e collaborazioni interdisciplinari, sempre interessanti, a sostegno dei giovani autori, per il ricambio generazionale e una qualità artistica di alto profilo.
Questo non solo nella meravigliosa capitale, città che adoro per la sua energia, lo spirito d’innovazione e il sapere rimanere al passo con i tempi senza perdere l’antica bellezza; in molte parti della Francia, da nord a sud, la cultura è sempre stata protetta e sostenuta dai governi e dai cittadini, entusiasti fruitori di danza, prosa, arti visive, musica, poesia, musei.

Il governo francese finora aveva speso più del doppio per la cultura rispetto alla Germania e i tagli che si stanno abbattendo in questi giorni sono i primi da 30 anni, ad aprire questo 2025 nel modo più triste possibile per chiunque faccia parte del settore. Pare che una parte di posti di lavoro sia già andata persa proprio in queste ore, e siamo solo all’inizio.

Ad oggi la maggior parte delle regioni ha adottato il bilancio 2025 appena prima delle vacanze e quasi tutte prevedono ingenti riduzioni di sussidi al settore cultura. Delle 13 regioni metropolitane, soltanto la Bretagna e la Normandia attualmente dichiarano di non avere intenzione di modificare il sostegno alla cultura, mentre altre due (Hauts-de-France e Occitanie) al momento rinvieranno il loro voto sul bilancio in attesa di nuove dichiarazioni da parte del governo.
La Loira si è guadagnata la bandierina nera con il 62% dei tagli (su altre fonti si parla del 75%) che, nel periodo tra 2025 e 2028, faranno ottenere un risparmio di 10,59 milioni di euro (risparmio economico, beninteso, ma tagliare la cultura comporta comunque perdite importanti su altri aspetti dell’esistenza). Le proteste non sono tardate ad arrivare, nella migliore tradizione di questo popolo che porta nella sua storia il motto della Rivoluzione.

Una riflessione interessante di Fabrice Raffin su “The Conversation”,  giornale online,  mette in relazione un certo disfacimento nella relazione tra società e cultura a partire dalla condizione di dipendenza di molti funzionari e rappresentanti riconosciuti della cultura, in sensibile aumento a partire dagli anni ’80. Dipendenza che viene messa in relazione con la crescente strumentalizzazione che questi soggetti hanno fatto della cultura per soddisfare le proprie ambizioni, anche in campi che esulano da quello strettamente culturale.

Ricordiamo tutti i progetti artistici ideati e finanziati per rispondere alle rivolte delle periferie, per ricreare i legami sociali, che hanno il merito di aver dato agli artisti coinvolti non solo un’opportunità economica ma anche simbolica perché ricevere denaro pubblico ha legittimato la loro presenza e il ruolo nel tessuto sociale dell’epoca. Da quel momento la valorizzazione culturale ha preso sempre più piede per soddisfare sia le ambizioni economiche che la pianificazione regionale, specialmente per quei quartieri incolti e degradati per cui la cultura si è posta come strumento politico di gestione delle dinamiche urbane, nonché fulcro per una certa economia del turismo.

Oggi l’aspettativa più implicita, quando si parla di sostegno alla cultura, specialmente agli occhi della politica, è quella che le imprese culturali debbano occuparsi di essere educative, specialmente sulle tematiche dell’inclusione, ecologia, disuguaglianze di ogni tipo. Questo sembra essere oggi un criterio decisivo affinché un artista possa accedere ai sussidi (lo spettacolo di apertura delle olimpiadi parigine potrebbe esserne un esempio eclatante, per quanto fastoso e apprezzato sia stato da molti).

Il rischio, come ci dice lo stesso Raffin, è che alla cultura sia stato affidato un ruolo che non le spetta e tutto sommato non le compete in modo esclusivo, che gli artisti siano chiamati a diventare vigili del fuoco delle periferie cittadine, educatori, urbanisti e questo probabilmente potrebbe avvenire anche a seguito dell’incapacità della politica nel trovare soluzioni di sviluppo sociale ed economico.
Insomma secondo questa visione la cultura in Francia sarebbe stata portata avanti anche in quanto elemento tangibile, facilmente visibile dell’azione politica. Soprattutto a livello locale, l’aumento degli eventi culturali gratuiti per tutti i cittadini evidenzierebbe quanto prezioso sia stato finora lo strumento culturale per la politica.

Questo ha però portato oggi ad una condizionalità dei sussidi, che modella sempre più estetica e contenuto delle opere, soprattutto chiede che queste siano elementi pacificatori, ossia non troppo critici, non troppo eccentrici e principalmente inclusivi. A questo si affianca il farsi strada della politica del nome di risonanza, coinvolto indipendentemente dalla qualità del contributo, solo per far parlare di sé, che si tratti di un architetto o un musicista.

I tagli che stanno per abbattersi sul settore, oltre a gettare nel panico un intero esercito di lavoratori, rischiano di ridisegnare, di condizionare la produzione futura perché sempre di più la strumentalizzazione di cui parlavamo porterà ad un solo tipo di produzione artistica di vedere la luce. Tutti gli altri soccomberanno (esattamente come è accaduto in Italia a partire dagli anni ’90) o dovranno trovarsi un altro modo per finanziare i propri progetti.

Tutta questa discussione è anni luce dalla situazione italiana, nella quale possiamo apertamente dire che la politica è entrata a gamba tesa nel settore culturale che conta, imponendo nomi e cariche senza preoccuparsi troppo della preparazione, delle abilità o dei contenuti che queste figure porteranno nei più importanti luoghi della cultura (sostenuti anche attraverso le tasse dei contribuenti, è bene ricordare), si spera che la Francia sappia reagire a questa situazione guardando al panorama con occhi nuovi per trovare nuove strade.

Dovranno stare molto attenti a non fare la fine del nostro “bel paese”, nelle cui città i teatri e le sale cinematografiche stanno lentamente scomparendo per lasciare posto a ristoranti e supermercati, senza che la cittadinanza abbia nulla da dire, obnubilata da troppa televisione e troppi social media. Una società nella quale l’insegnante di danza è un hobbista che si diverte nel tempo libero e non un professionista qualificato. Ormai nel nostro paese, scusate la schiettezza, non si distingue il suono di un rutto da quello di una composizione di Mozart, chiunque si sente autorizzato e investito del diritto di pubblicare libri, musica, creare coreografie e raccogliere persino anche consensi da un pubblico totalmente disabituato alla qualità.

Spero davvero che la Francia sappia affrancarsi da questa Europa che sempre più si sta rivelando una mannaia pronta a cadere su qualsiasi diritto e libertà di pensiero.

Attendo aggiornamenti dall’interno da qualcuno che si trova in quei territori.

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