Ritorna in questi giorni, con prepotenza, la questione della chiusura dei corpi di ballo.
E’ di pochi giorni fa un video diventato virale nel quale i ballerini del Teatro San Carlo, prima della premiére di Lago dei Cigni con la splendida coppia Nuñez/Muntagirov, leggono un comunicato per denunciare la situazione della compagnia, nella quale la maggior parte degli elementi è precarizzato, poiché le assunzioni sono bloccate da anni. Il lento, ma inesorabile, disfacimento del balletto dall’organico dei teatri, la progressiva dissoluzione di una intera categoria di lavoratori, è un duro colpo alla cultura di questo Paese, che proprio alla danza classica ha dato i natali. La lista delle Fondazioni Lirico Sinfoniche che possiede una compagnia di ballo, si sta restringendo sempre di più, ormai si possono contare sulle dita di una mano, e questo certamente scoraggia i tantissimi giovani ballerini a immaginare un futuro con la danza nel proprio Paese.
Detto questo, credo però valga la pena di analizzare la situazione utilizzando uno sguardo più ampio, per riuscire a vedere le responsabilità condivise che hanno portato a questo progressivo smembramento, poiché il continuo accusare la politica e i governi come unici responsabili della situazione, è dettato più dalla rabbia (assolutamente giustificata) che non dalla volontà di portare azioni per un cambiamento. La lamentela non è mai servita a nulla se non ad affossare il morale di tutti e inibire la capacità di individuare una via d’uscita.
Innanzitutto dovremmo aver compreso che i teatri oggi sono vere e proprie aziende, ad oggi più succubi del botteghino e dal destreggiarsi in giochi politici con finanziatori, agenti e istituzioni, che non interessate ad una reale missione di promozione e diffusione dell’arte. Consideriamo che l’Italia è riconosciuta universalmente per l’Opera Lirica, vengono da tutto il mondo per vedere gli allestimenti del Teatro alla Scala o il festival estivo dell’Arena di Verona (quest’ultima è proprio una delle Fondazioni che ha eliminato il corpo di ballo), a differenza della danza, che purtroppo non riceve così tante attenzioni dal pubblico, almeno se confrontiamo la nostra situazione con altre realtà eccellenti come ad esempio l’Opéra di Parigi o il Royal Ballet di Londra, dove c’è molto interesse attorno al balletto, e si inventano ogni sorta di iniziativa per continuare a coinvolgere gli appassionati in ogni fase della preparazione di uno spettacolo. Consideriamo anche che i costi dei biglietti non sono proprio accessibili a tutti, almeno se vuoi un posto da cui si abbia una buona visuale, poiché l’Opera la puoi anche ascoltare dalla balconata, ma per apprezzare la danza devi riuscire a vederla. Questo non fa che riconfermare la presenza del consueto pubblico di appassionati, ma di certo non contribuisce a crearne di nuovo.
Ciò che emerge attraverso le nuove produzioni (intendo le produzioni interne, non gli spettacoli acquistati dall’estero), che in questi ultimi decenni hanno visto la scena, è una lacuna culturale e artistica, una mancanza di senso del rischio e della chiara volontà di essere al passo con la qualità dei teatri internazionali di pari fama. Anzi, l’universo aulico di questi templi della cultura italiana, si è piegato al mercato più becero, fino a vedere direttori artistici presenziare le giurie dei talent show televisivi, proprio in quei contesti in cui la danza negli ultimi anni è stata letteralmente fatta a pezzi. Abbattuti dal fuoco amico.
La questione più spinosa, per me, riguarda proprio le nomine dei direttori artistici delle compagnie, che in questi anni non si sono dimostrati sufficientemente capaci di portare il balletto italiano nel nuovo millennio, sotto molti punti di vista: dall’avere una certa visione sul presente e sul futuro della danza, un progetto a lungo termine per la compagnia, plasmandone una sua identità peculiare e riconoscibile, all’assenza di coreografi lontani dalla danza di tradizione, che possano portare nuovi strumenti e nuove possibilità espressive, esattamente come accade nelle realtà sopra citate. Non percepisco ormai da anni la volontà di creare un’opera che abbia un respiro di eternità e che valorizzi ed esalti la fragranza stessa della compagnia. Insomma, si tratta di soldi pubblici, dopo tutto, ci si aspetterebbe che questi luoghi fossero un punto di riferimento per la danza che sarà, non per quella che è stata. Da anni il mondo del balletto è annichilito da giochi di potere, lotte interne, intoccabilità di alcuni personaggi, incuria da parte di tutti, e non parlo solo dei ministeri, da cui onestamente non mi aspetto di certo che si muovano per aiutarci. I tanti governi che abbiamo avuto finora hanno come denominatore comune proprio un totale disinteresse per la cultura, e credo che questo un po’ rispecchi il sentire comune di un intero popolo, purtroppo. Il baratro è più profondo di quello che immaginiamo.
Penso sia giunto il momento di sovvertire lo status quo, e i ballerini sono proprio coloro che possono farlo, ad esempio chiedendo alle direzioni artistiche più lavoro, più produzioni, più esperienze che possano arricchirli, e non solo assunzioni. Bisogna che il mondo del balletto si apra culturalmente per accogliere la nuova identità della danza, oltre che mantenere il repertorio, pretendere che una compagnia con una storia secolare alle spalle, come lo sono quelle delle Fondazioni Lirico Sinfoniche, mantenga standard non solo tecnici ma anche artistici, creativi, registici, drammaturgici, che puntino all’eccellenza.
Fuori dai salotti dorati dei grandi teatri, i cani sciolti della danza cercano di creare autonomamente le premesse per poter lavorare e portare avanti progetti, poiché sanno bene che nessuno farà mai i loro interessi. Ecco, forse questa esperienza, questa necessità di essere intraprendenti e portare azioni nel proprio lavoro, può servire in questo caso: non aspettatevi che il governo lavori per voi, cercate di essere propositivi, trovate unione all’interno della categoria e agite di conseguenza.
Intanto è di oggi la notizia che in Francia, a partire dal 2020, tutti gli studenti delle scuole primarie e secondarie avranno nel programma scolastico due ore di danza obbligatorie. Christine Bastin, coreografa e direttrice artistica de La Fabrique della Danse, che ha fatto la proposta e condotto dei progetti pilota, dichiara: “Tanti studenti potranno scoprire i loro corpi e incantare le loro anime. Saremo la prima ‘nazione della danza’ e spero vivamente che domani altri paesi seguiranno la nostra iniziativa. Il linguaggio del corpo è universale!”
C’è altro da aggiungere?
Mi sembra chiaro come nel nostro Paese non solo manchino le risposte, ma che anche le domande necessitino di essere riformulate da un punto di vista tutto nuovo, ampio e libero da pregiudizi.
1 commenti
Siamo in mano a un branco di delinquenti. Con i soldi che spendiamo per il reddito di cittadinanza, non potevamo riaprire i corpi di ballo di un paio di enti lirici? E intanto i nostri ragazzi guadagnano 350 euro al mese ballando in Bulgaria o Romania.