Lia Courrier: “BRAND NEW- la danza contemporanea”

di Lia Courrier
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La contemporaneità nei mestieri di danza non è solo una faccenda che riguarda i linguaggi.
Non è solo una questione formale.
La contemporaneità riguarda, a mio avviso, tutta una serie di competenze che vengono richieste al danzatore nella fase produttiva dello spettacolo.

Questo è molto importante da dire, dal momento che ancora si fa fatica a riconoscere alla danza contemporanea un’identità propria e ben definita, catalogando come danza contemporanea semplicemente tutto ciò che esula dal repertorio classico (e facendo così un errore madornale).

Al danzatore contemporaneo, nella maggior parte dei casi ormai, vengono richieste delle capacità creative e compositive, di cui non aveva bisogno nell’epoca in cui i coreografi assegnavano i movimenti, creati da loro stessi, in modo arbitrario. La costruzione di uno spettacolo, oggi, si basa su altri principi, e il danzatore non è più mero strumento nelle mani del coreografo, ma porta nel processo creativo il suo mondo interiore e il suo peculiare movimento. Il coreografo diviene quindi quasi un regista, che osserva il campione di umanità che si ritrova davanti, e prova a trarne il meglio, portando i suoi danzatori dentro alla propria idea e guidandoli a creare in relazione al racconto.

Non ci si può improvvisare improvvisatori, questo è chiaro: la creazione estemporanea, ossia lo strumento che porta autenticità, vitalità e nutrimento alla composizione, richiede lo sviluppo di particolari abilità e sensibilità, nonché memoria, attraverso un complesso processo che può crescere e prendere forma solo nel tempo, grazie ad una esperienza continua e costante, quotidiana, di questa modalità. L’improvvisazione si muove sul sottile crinale che separa – e connette – l’azione dalla non-azione, due aspetti importantissimi che offrono un terreno di indagine pressoché infinito e rappresentano tutte le dualità possibili in una relazione. Si impara ad improvvisare da soli, con il pavimento come partner, con gli altri corpi, con lo spazio, con il ritmo, con gli oggetti, con la voce e con altre mille soluzioni e combinazioni.

Nell’atto di improvvisare si cerca di creare nel corpo trino (materia, mente e spirito) quel vuoto che non è assenza, ma uno spazio quantico in cui tutto è presente ma ancora non manifesto, come un perpetuo potenziale, una sorgente da cui la danza sgorga libera. Si impara a non cadere nei tranelli dell’ego, nei propri cliché, nella confort zone, per spingersi verso una dimensione cristallina, dove tutto può accadere ma solo nella dimensione del presente, con un approccio fanciullesco in cui è possibile ancora stupirsi, sorprendersi.

Ecco perché nella formazione di un danzatore contemporaneo devono essere presenti questi contenuti, perché arrivare a questo stato (e quindi essere pronti ad inserirsi nel mercato del lavoro internazionale) è frutto di un lungo lavoro sul corpo, ma anche su di sé.

Ecco perché non è danza contemporanea solo perché gli interpreti indossano calzini al posto delle scarpette, o solo perché c’è una musica elettronica in sottofondo.

La chiave per comprendere la creazione contemporanea non è esclusivamente sul palcoscenico, ma in quella parte di lavoro a cui il pubblico non ha accesso, ma che può essere percepita comunque dalla fragranza di ciò che sulla scena vive.

Crediti fotografici: Rino Di Stasi

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