Lia Courrier: “Caro Ministro Franceschini, la prima della Scala è già in TV, ed è gratuita da anni”

di Lia Courrier
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La cultura italiana sta vivendo una delle prove più importanti dal secondo dopoguerra. Un settore già messo in ginocchio dall’assenza di regolamentazione, dalla mancanza di fondi, da un sistema che non premia i virtuosi ma preferisce reiterare meccanismi che privilegiano sempre i soliti noti, senza favorire il ricambio generazionale.

Ci si aspetterebbe da parte del Ministero un’azione ferma e risoluta, con un occhio all’emergenza e uno alla formulazione di un progetto a lungo termine perché, esattamente come dopo un evento bellico (anche se non sono assolutamente d’accordo con questa narrazione del virus come una guerra da vincere o perdere), siamo nel momento in cui è possibile tirare una linea e ripartire. Per questo sarebbe meglio farlo con le giuste premesse e non con il solito metodo della pezza a coprire il buco, giusto per accontentare qualcuno e far credere di portare azioni virtuose, astenendosi dal fare l’unica cosa giusta: gettare le basi affinché il settore dello spettacolo dal vivo possa sopravvivere e rialzarsi sulle proprie gambe.

Dall’altra parte gli innumerevoli appelli, azioni sui social, catene e San Viti da condividere, video e urla di dolore che provengono dagli addetti ai lavori, più o meno noti, mi appaiono come un vecchio disco rotto, che continua a girare anche se nessuno ormai ascolta. Mancano da entrambe le parti quelle idee, lungimiranza, conoscenza e quel coraggio che potrebbe trasformare questo momento drammatico in una importante opportunità per costruire, anzi, ricostruire un palazzo più bello e solido di quello che avevamo prima.

Riporto qui le parole usate dal Ministro Franceschini: “Stiamo ragionando sulla creazione di una piattaforma italiana che consenta di offrire a tutto il mondo la cultura italiana a pagamento, una sorta di Netflix della cultura, che può servire in questa fase di emergenza per offrire i contenuti culturali con un’altra modalità, ma sono convinto che l’offerta online continuerà anche dopo: per esempio, ci sarà chi vorrà seguire la prima della Scala in teatro e chi preferirà farlo, pagando, restando a casa”.

Caro Ministro, al di là che la prima alla Scala è già in televisione e gratuita da anni ormai (paghiamo il canone anche per questo) e che i biglietti per assistere dal vivo a quella rappresentazione non sono certo alla portata della gente comune, la Sua idea è già realtà in progetti di TV streaming come Marquee, che raccoglie il lavoro dei più importanti teatri del mondo, con un archivio in costante aggiornamento che include praticamente tutti i titoli più importanti di ogni stagione (in questi giorni anche con contenuti gratuiti). Non so se ha notato, ma la cultura italiana da anni non è più l’unica al mondo, né la migliore, perché con tutti i tagli che sono stati fatti negli ultimi 30 anni la qualità ne ha risentito, e parecchio. Ancora con questo vecchio adagio della cultura italiana da esportare al mondo? Suvvia…

Come pensa di garantire la sopravvivenza dello spettacolo dal vivo in questo modo? Forse i proventi dalle vendite di questo ‘Netflix della cultura’ andranno a rimpinguare le casse del FUS? Quindi, secondo questa idea, sarebbero i privati a sostenere qualcosa che invece dovrebbe essere finanziato da fondi pubblici? O questo pensiero non Le ha neanche sfiorato la mente? Non capisco, Ministro, mi spieghi Lei, mi aiuti a capire.

Dice che ‘state ragionando’ sulla creazione di questa piattaforma, ma con chi precisamente? Per caso nel Suo staff c’è qualche addetto ai lavori che possa averLe consigliato una cosa simile per sostenere la propria categoria? Si è mai confrontato con qualcuno che faccia questo lavoro e che non sia una celebrità? Che sia uno dei tanti lavoratori anonimi che non compaiono sulle copertine di riviste o magazine, né che abbia una carica pubblica, ma che però è parte del tessuto culturale del paese?

In questi giorni siamo tutti diventati entità digitali senza substrato anatomico e le nostre facce, chiuse nel rettangolo del monitor, interagiscono con parenti, amici, colleghi, allievi, maestri. Sebbene sia forte la sensazione di essere connessi, fare lezione insieme, discutere, scambiarsi opinioni, in questo affannarsi per essere presenti nelle proprie vite, divenute ormai un’evanescente versione di noi stessi, manca qualcosa che sta intrinsecamente alla base del nostro lavoro: il corpo. Il grande assente di questa primavera 2020.

Vorrei ricordarLe, caro Ministro, che il nostro lavoro è fatto essenzialmente di corpo e di corpi: i corpi dei danzatori, quelli dei cantanti, dei professori d’orchestra, dei registi, dei direttori, degli insegnanti. Ci sono i corpi preziosissimi delle costumiste e delle sarte, dei truccatori e parrucchieri, dei macchinisti, dei tecnici, degli attrezzisti, dei direttori di palcoscenico. Poi ci sono i corpi del pubblico, che occupano le poltrone delle platee e che, anche se non sembra, sono i più importanti, perché vivono l’esperienza del teatro, annusando l’atmosfera, percependo sulla pelle l’elettricità della scena, assaporando le vibrazioni calde dei suoni uscire dal golfo mistico, lasciando che lo stupore emerga dallo sguardo quando il sipario si apre e la magia comincia. Non capire questo vuol dire avere un’aridità emotiva che non ci si aspetta da un Ministro della Cultura. Magari da quello alle infrastrutture forse sì, ma non da chi dovrebbe occuparsi di mantenere in vita una parte importante della cultura italiana.
Caro Ministro, il teatro si vive con il corpo, in un luogo fisico che non può essere scisso dal suo ruolo ancestrale di unione e condivisione di una esperienza trasformante. La Sua idea potrebbe essere presa in considerazione in uno scenario in cui lo spettacolo dal vivo si dimostra essere un’attività florida e ricca, autosufficiente e culturalmente elevata, parte integrante della società: solo in questo caso una piattaforma di diretta streaming potrebbe essere quel tocco in più che arricchisce ulteriormente il quadro. Ma qui siamo di fronte ad un morto che cammina, caro Ministro, se ne renda conto.

Infine, nessuno di noi si aspetta di ricominciare a breve, non siamo mica cretini, si ricordi che siamo stati tra i primi a chiudere. Non credo che la riapertura dei teatri, o delle scuole di danza,  sia la priorità in questo momento. Personalmente mi sarei aspettata un piano a lungo termine in più fasi (visto che vi piace tanto di parlare di fasi), che preveda, dopo aver salvato il salvabile, una seria riflessione riguardo a riconoscimenti, diritti, contratti, tutele. Stia tranquillo, caro Ministro, che nessuno più di noi sa quali sono le potenzialità del web, dato che in quattro e quattr’otto ci siamo reinventati il nostro lavoro per poterlo svolgere anche in questa situazione, ma onestamente sono indignata che Lei abbia anche solo potuto insinuare l’idea che guardare da un monitor uno spettacolo possa essere paragonato ad assistervi in carne e ossa. Mi viene il dubbio che da troppo tempo Lei non vada a teatro, per questo Le consiglio di dare il buon esempio e di andarci abitualmente, non appena sarà possibile, come si converrebbe per colui che occupa la Sua carica.

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