Lia Courrier ci racconta la storia di una piccola ghianda: la danza classica è solo femmina?

di Lia Courrier
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In questi anni si parla molto della questione gender, che mette in discussione il modello proposto da società, religione e media, che impongono ideali di ruolo, forza, bellezza e sensualità che si sono dimostrati fallaci e fuorvianti. La pubblicità ci vende l’idea che possiamo conquistare la libertà di espressione solo se acquistiamo quei prodotti, secondo una trappola ancora irresistibile che fa passare l’omologazione per affermazione di personalità. Forse sarebbe il caso di passare oltre e lasciare che semplicemente ognuno di noi possa esprimersi esattamente per ciò che sente di essere, ma purtroppo la strada è ancora lunga e noi siamo ancora qui a fare i conti con  i pregiudizi nei confronti di chi decide di cantare fuori dal coro, fregandosene delle convenzioni.

Lo stesso pregiudizio che spinge a chiamare una bambina che pratica arti marziali ‘maschiaccio’ (epiteto ormai entrato nell’uso comune, ma che comunque priva le bambine di vedersi riconosciuta la propria femminilità solo perché non rientra nei canoni di quel modello), viene imposto anche al bambino maschio che vuole studiare danza classica.

Questo retaggio culturale, che difficilmente riusciamo a lasciarci alle spalle, ha fatto sì che le classi di danza siano un gineceo, a parte qualche rara eccezione in cui il povero elemento maschile appare quasi come il galletto di un pollaio piumoso e rumoroso. Ovviamente sto generalizzando, perché in altri ambiti coreutici, come quello della danza contemporanea ad esempio, la presenza maschile è senz’altro molto più corposa, però comunque si parla di un approccio al movimento a cui si accede già ad una certa età, almeno qui in Italia. Nell’immaginario collettivo la danza, in particolare il balletto, è sempre stata femmina, pensata in rosa confetto, espressione di quella femminilità pura e casta, profondamente segnata dall’ideale romantico e tardo romantico di donna eterea ed evanescente, così come questo linguaggio coreutico ha conosciuto il suo apice alla corte imperiale russa. Il peso della storia rallenta ogni possibile cambiamento.

Così il bambino che comunica alla famiglia il desiderio di partecipare ad una classe di balletto, in molti casi viene indotto a cambiare idea o comunque non viene ascoltato il suo bisogno di esprimersi poiché molti, troppi pregiudizi sono ancora presenti attorno all’idea di un maschio che vuole studiare danza classica. I papà in particolare manifestano maggiori resistenze, pensando che la danza possa in qualche modo intaccare la virilità del figlio, come viene raccontato molto bene nel film ‘Billy Elliott’. Esiste una sorta di transfert molto particolare per cui un padre può sentire minacciata la sua stessa mascolinità nel momento in cui il figlio rivela tratti o passioni da lui percepiti come poco virili. A questo si aggiungono i consueti commenti ricevuti da chiunque provi attrazione verso un’attività che normalmente non viene associata al proprio genere di appartenenza. È davvero una minoranza, infine, quella dei bambini maschi che cominciano a studiare danza fin da piccoli, molti altri dovranno aspettare di diventare abbastanza grandi da poter decidere autonomamente, emancipandosi dai condizionamenti familiari e culturali, oppure optare per un’attività corporea più socialmente accettata del balletto per poi avvicinarvisi più avanti.

Ogni bambino viene al mondo con un progetto originario, una ‘ghianda’, come la chiama James Hillman nel suo ‘Il codice dell’anima’ (una lettura che consiglio vivamente), un seme perfetto e completo a se stesso, che contiene il motivo per cui ognuno di noi è qui, e che per tutta l’esistenza si cercherà di far germogliare nel modo migliore possibile, coscientemente o meno, considerando anche tutte le variabili che fanno parte della vita e che potrebbero costringere la ghianda a trovare altre strade per imporsi, oppure a dover attendere a lungo prima di trovare un terreno abbastanza fertile per poter attecchire e crescere. La spinta di questa ghianda può manifestarsi in modo così prematuro e deciso da non poter essere contenuta, esprimendosi attraverso atteggiamenti del bambino che a volte vengono vissuti dai genitori in modo drammatico, come segno di una personalità eccentrica, stravagante o addirittura di squilibrio psichico o emotivo, quando invece è solo il tentativo del bambino di esprimere sé stesso e la sua vera natura, desiderosa di essere vista, riconosciuta e soprattutto amata. Considero la scuola come un luogo in cui non solo si impara a leggere e a scrivere, ma anche il primo contatto del bambino con l’insistente richiesta di omologarsi alle regole sociali e ai modelli di riferimento, proprio per questo sarebbe auspicabile che nel tempo dedicato alle attività extrascolastiche gli sia concesso di esprimersi liberamente, seguendo la spinta della sua ghianda.

La danza non può in alcun modo modificare la personalità di qualcuno, ma può essere il tramite per rivelarne l’essenza più profonda, qualunque essa sia. La danza è per tutti, ma non è di nessuno. La danza non è femmina e non è maschio: la danza è elettricità, come dice Billy alla commissione dell’Accademia di ballo. Gli esseri umani da sempre danzano per esprimere il proprio stato d’animo. Ancora prima di dipingere, di scrivere o di parlare è con il corpo che abbiamo cominciato a comunicare tra di noi. La spinta verso il movimento è molto più radicata e atavica di quanto possiamo immaginare, quindi se il vostro piccolo esprime il desiderio di studiare danza non temete, sta solo portando avanti una tradizione di famiglia.

Della famiglia umana, intendo.

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