Lia Courrier: “Davvero le stelle del passato come Margot e Carla non sono più da considerarsi un’eccellenza in confronto alla “perfezione” delle ballerine di oggi?”

di Lia Courrier
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Capita sovente di trascorrere il mio tempo libero guardando video di danza, spulciando il web alla ricerca di qualche rarità o qualcosa che già conosco e che ho voglia di rivedere, un momento prezioso che mi riconnette con la parte più pura della mia relazione con la danza. Esistono artisti che solo a guardarli sono capaci di insegnare cosa sia quest’arte effimera del movimento, che scompare non appena il danzatore di ferma, un incantesimo che si dissolve dolcemente dopo aver compiuto il suo scopo. A questa fonte amo abbeverarmi per mantenere vivo l’ardore della passione, alimentandolo con la bellezza e la maestria di queste fulgide stelle.

Esistono anche oggi danzatori di immenso valore, specialmente nei linguaggi della contemporaneità, personalità profonde e multisfaccettate dimoranti in corpi che hanno accumulato esperienze, tecniche e approcci provenienti dai più svariati ambiti, restituendone una sintesi personale che profuma di nuovo, di mai visto prima, sorprendente ed emozionante.

Non ne nascono tanti di danzatori straordinari, che uniscano in sé tecnica, visione, interpretazione e racconto, con uguale intensità.

Su questo concetto di intensità vorrei citare qui un pensiero di Osho Rajneesh, il mistico e maestro spirituale indiano meglio conosciuto come Osho:

“È solo tramite l’intensità che puoi arrivare. L’intensità accade quando tutti i tuoi desideri decadono e si inglobano in un’unica fiamma. Quando dentro di te rimane solo un tutt’uno, e la totalità del tuo essere sostiene quel tutto unico: quella è l’intensità.”

Separando questa frase dal contesto di realizzazione spirituale a cui originariamente si rivolge e portandola come lente attraverso cui guardare al palcoscenico, il concetto più importante per me qui è “quando tutti i tuoi desideri decadono”, che potremmo riferire al desiderio di piacere, alla brama di apparire, ricevere applausi, approvazione e consenso. Tutte energie rivolte verso l’esterno a frammentare questo centro che nell’atto scenico ha un disperato bisogno di rimanere coeso, denso, compatto e coerente per poter alimentare la fiamma. Quando sulla scena si produce una di quelle interpretazioni che lasciano il segno, è esattamente il momento in cui questa intensità si manifesta con tutta la sua potenza, il danzatore è totalmente focalizzato nell’istante, immerso, compenetrato nell’atto di generare questa evanescente forma di energia che è la danza.

Mi è capitato di guardare un video di Carla Fracci e di leggere un commento: “oggi una come lei non sarebbe neanche ballerina di fila con quelle gambe”. Poi, sotto un altro video dell’indimenticabile interpretazione di Margot Fonteyn del cigno nero: “per il periodo aveva una buona tecnica ma oggi abbiamo la perfezione”. Simili commenti, non rari sotto ai video delle stelle del passato, evidenziano verso quale baratro culturale stiamo andando, ormai privi della sensibilità di percepire l’intensità, di farsi toccare da qualcosa di sottile che non sia solo mera forma.

I ballerini di oggi, bisogna dirlo, hanno sviluppato competenze tecniche notevoli, possiamo vedere studenti anche giovanissimi eseguire equilibri infiniti, innumerevoli giri anche sulle punte, mostrare una forza e un controllo nella tenuta delle gambe, ma questo non vuol dire che nel passato non ci fossero ballerini altrettanto virtuosi, capaci di eseguire gesti atletici sorprendenti e spettacolari. Ho visto Alicia Alonso eseguire cinque pirouettes en dehors con le braccia in couronne anche più volte nella stessa variazione, Ekaterina Maximova era una virtuosa eccezionale con una forza nelle gambe e energia esplosiva che le consentivano di eseguire coreografie impossibili per chiunque altra, Vladimir Vasiliev aveva capacità tecniche tali da essere chiamato da Fyodor Lopukhov “il Dio della danza”, Natalia Makarova si sparava un equilibrio in arabesque interminabile in quel Lago dei Cigni che tutti portiamo impresso nel cuore, Patrick Dupond era agile e veloce come un gatto, Julio Bocca ha eseguito combinazioni tecnicamente impossibili con grande eleganza e sempre perfettamente in musica.

Queste persone, e molti altri artisti che non posso nominare tutti per ragioni di spazio, sono stati ispirazioni per generazioni di danzatori. Darcey Bussell non ha mai nascosto la sua ammirazione per Margot Fonteyn, a cui si è ispirata per dare vita alle splendide interpretazioni che l’hanno fatta amare dal pubblico di tutto il mondo.

Carlos Acosta qualche settimana fa si è lasciato andare a dichiarazioni scioccanti e certamente poco felici sull’importanza delle ballerine di tenere sotto controllo il proprio peso perché altrimenti nel partnering il ballerino non riesce a sollevarle con agio (aggiungendo, ad onor del vero, che “nessuno vuole che i ballerini si ammalino di disturbi alimentari a causa di queste pressioni”, mostrandosi quantomeno contraddittorio). In passato le ballerine non sono sempre state così sottili come lo sono oggi, i canoni estetici sono cambiati nel tempo ma il coefficiente tecnico richiesto dal repertorio era sempre quello, eppure ci sono testimonianze video di sequenze estremamente acrobatiche perfettamente eseguite da ballerine con una naturale fisicità, perché nel lavoro di passo a due, fluidità e leggerezza sono date soprattutto dalla coordinazione tra i due partner, dal timing, da quanto la ballerina aiuta sostenendosi muscolarmente e da quanto il ballerino conosce la tecnica per supportare il corpo della partner, anche al di sopra della testa, distribuendo il peso in modo corretto e omogeneo sull’intera struttura.

Inoltre, c’è da considerare che nelle produzioni di balletto contemporaneo ormai è norma vedere passi a due tra uomini, in cui i partner si sollevano l’un l’altro, e con questo direi che possiamo considerare la questione Acosta chiusa definitivamente. Tutti sappiamo bene che per diventare ballerine bisogna mantenere il proprio peso forma, e questo dovrebbe intrinsecamente dire che essere sottopeso non rappresenta un’interpretazione corretta di tale indicazione, ma questa è un’altra storia di cui abbiamo già parlato tante volte qui su SetteOtto.

L’argomento di oggi è: davvero le stelle del passato come Margot e Carla non sono più da considerarsi un’eccellenza in confronto alla “perfezione” delle ballerine di oggi, solo perché non portavano le gambe alle orecchie o non avevano il collo del piede a traboccare dalla scarpetta? Onestamente credo che nessuna delle stelle che oggi vediamo sui palcoscenici pensi questo, perché chi conosce la danza, l’apprezza e la comprende, sa bene quanto le interpretazioni di queste due meravigliose artiste regga perfettamente al giudizio del tempo, quanto ancora oggi siano due diamanti purissimi in grado di emozionare e sorprendere per la bellezza dei loro gesti e della tecnica. Sono certa che molte stelle della danza come Marianela Nuñez o anche la nostra Nicoletta Manni conoscano a memoria quelle interpretazioni e chissà quanta ispirazione traggano dal guardare e riguardare ogni gesto della mano, inclinazione della testa o sguardo.

Quando il criterio per valutare un artista è solo quello della bellezza fisica, della mobilità articolare e del numero di virtuosismi che riesce a fare, secondo me siamo al cospetto di un enorme fraintendimento di cosa sia la danza. Se si trattasse solo di questo allora tutte le ginnaste sarebbero da considerarsi étoiles e dovrebbero eseguire i loro programmi sportivi in teatro e non nei palazzetti. La danza è raggiungere quell’intensità di cui parlava Osho e inglobare in quella fiamma anche il pubblico, sospendere il tempo e lo spazio in una esperienza condensata, profonda e trasformatrice che non si può spiegare a parole ma solo viverla, se si ha la fortuna di trovarsi proprio lì quando accade, ognuno nel proprio ruolo: i danzatori sulla scena e il pubblico in platea.

Chiudo dicendo che questi confronti sono puerili e inconcludenti.  Non ha senso paragonare gli artisti o sentenziare che uno sia meglio di un altro, perché non stiamo parlando di elettrodomestici, ogni artista è unico e non somiglia a nessun altro. Quando la fiamma è presente e vivida (accadimento molto più raro di quanto si pensi), questo basta perché quella stella rimanga accesa per sempre con immutato splendore. Una consapevolezza che tutti i giovani danzatori e gli insegnanti di danza dovrebbero tenere sempre a mente.

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1 commenti

Buchetti Lida 12 Luglio 2024 - 11:37

Grazie, mi trovo in totale accordo con la sua viene. L’artista non è necessariamente “acrobata”. La fiamma interna che arde nel suo cuore, è quella che trasmette anche solo con un gesto o uno sguardo a chi assiste e ha la sensibilità di cogliere. Grazie

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