Lia Courrier: “Dei concorsi.. e delle pene”

di Lia Courrier
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Negli anni di attività di questa rubrica, in molti avete scritto per chiedermi di parlare dei concorsi.

Ho ricevuto tante testimonianze nelle quali vengono denunciate varie forme di violazione dei principi etici, delle regole delle competizioni, presunte irregolarità nella gestione delle categorie, nel calcolo dei punteggi o nell’assegnazione dei premi. Insomma molti racconti di ingiustizie percepite e di delusione, dopo tanto lavoro per preparare allievi e coreografie.

Mi rendo conto, leggendo queste cronache, che alla fine di un evento come questo, le sole persone ad essere felici sono quelle che vincono, in pratica non conosco nessuno comunque contento per l’esperienza vissuta, nonostante non sia salito sul podio.

Da parte mia, posso solo dire di essere solita scrivere solo di ciò che ho toccato con mano, per questo non sono assolutamente in grado di accontentare la richiesta. Gli ultimi concorsi con cui sono entrata in contatto sono quelli a cui la mia maestra mi ha fatto partecipare quando ero piccola, da allora ho cercato di evitare di ritrovarmi in simili contesti, che non mi hanno mai dato la sensazione di essere utili per valorizzare i sani principi che la danza dovrebbe infondere in chi la pratica, ma nella maggior parte dei casi mi sembrano solo macchine da soldi fomentatrici di ego e competitività, in un ambito nel quale questi sono già sufficientemente presenti senza bisogno di metterci il carico da novanta sopra. Per fortuna ho sempre insegnato in percorsi di avviamento alla professione, nei quali non mi è stato mai chiesto di preparare qualcuno per un concorso di danza. Ho anche ricevuto qualche richiesta di partecipazione in giuria, ma ho sempre declinato, nonostante questo sia un lavoro ben retribuito e che porta visibilità, perché non riesco proprio ad immaginare come la danza possa essere portata all’interno di un sistema di competizione. Inoltre non sopravviverei alle estenuanti maratone (almeno così i colleghi mi raccontano) di 12 ore a guardare un balletto dietro l’altro, una variazione dopo l’altra, restando lucida e obiettiva nelle valutazioni. pensate che quando scrivo le valutazioni dei miei allievi, che conosco bene e con i quali trascorro molto tempo, ci metto giorni, se non settimane, per essere obiettiva e scegliere le parole e i numeri giusti per ognuno di loro. Come potrei mai essere un bravo giurato in una situazione simile? Ecco spiegato perché i concorsi sono un ambito a me totalmente alieno.

Ad ogni modo, però, visto il malcontento generale che emerge da quello che mi scrivete, vorrei lasciare aperta una domanda: perché partecipare a questi concorsi se non soddisfano le vostre esigenze? Se non vi sentite accolti e rispettati?

Esistono dei concorsi celebri e di alto livello (senza tirare in ballo Lausanne e Parigi, che sono per le stelle di domani), anche in Italia, ma l’accesso a questi contesti è consentito solo ad allievi dotati e con un adeguato livello tecnico, selezionati attraverso numerose e puntigliose prove preliminari. Si tratta di competizioni nelle quali i ragazzi possono essere notati da direttori di Accademie di formazione e coreografi, seduti in giuria o tra gli ospiti, luoghi in cui ci si giocano carte importanti, ma del resto la danza è anche questo: selezione naturale per chi vuole provare a praticarla puntando alla professione. La danza ad alto livello non è per tutti. L’esistenza di queste occasioni si è sempre rivelata importante per la carriera formativa dei giovani danzatori, ed è giusto che ci siano, dal momento che nella storia ci sono stati tanti talenti, che proprio grazie a questi concorsi, hanno ottenuto una visibilità che altrimenti sarebbe stato difficile far emergere, per esempio a seguito di un contesto politico, economico, culturale e sociale di provenienza, complesso e difficile.

Per tutti coloro che fanno danza a livello amatoriale, invece, e non hanno alcun interesse a intraprendere un simile percorso, quale scopo potrebbe avere partecipare ad un concorso nel quale vengono accettati tutti a suon di quote di partecipazione? Perché fare della danza, ossia l’attività che è stata scelta per passione e per stare bene, uno strumento per sfidare gli altri? Non sarebbe molto meglio investire quelle energie e quelle risorse per fare una festa dove si danza tutti insieme su un palco per il gusto di farlo? Perché abbiamo sempre bisogno della sfida per sentire una spinta verso l’azione?

Viviamo in una società che ci porta a competere con gli altri fin da quando siamo piccolissimi: competere con i genitori, con i fratelli, cugini, compagni, con chiunque. I bambini ricevono continue  pressioni per essere meglio di qualcun altro in ogni ambito della loro esistenza. La danza dovrebbe essere un’esperienza straordinaria e interiore per accedere alla propria creatività in modo libero, per imparare ad esprimere quello che sentono, per scoprire il potenziale del corpo. Godere dell’incanto che la danza può dare, ma in quanto arte, però, solo finché non tradisce sé stessa trasformandosi in qualcos’altro.

Nella mia idea di danza la competizione non esiste.

Questa immagine del danzatore come un guerriero che sfida il mondo a suon di sudore e di passi  impossibili non mi appartiene, non la condivido, mi sembra un enorme fraintendimento di quello che la danza davvero è nel suo nucleo più puro: espansione del cuore.

Bisogna che finalmente gli allievi e i genitori capiscano che non si sceglie una scuola di danza per quante coppe e trofei ha sul banco della reception, e neanche per quanti attestati rilasciati dal CONI ha appesi al muro. Credo che i gestori delle scuole abbiano un ruolo fondamentale nel modo in cui la danza viene diffusa, e visti i tempi che stiamo vivendo sarebbe preferibile portare i propri allievi a studiare in qualche bel seminario dove fare nuove esperienze, acquisire nuove abilità e conoscere altri ragazzi con la stessa passione, piuttosto che in un’arena spietata come quella dei concorsi, dove le aspettative e la pressione emotiva agiscono sul piacere di danzare come tossine. Lasciamo la competizione agli sportivi, la danza è un’arte, si esprime su piani diversi da quelli dello sport, i danzatori dovrebbero ispirarsi a vicenda, non essere in lotta gli uni con gli altri.

Spero che questa riflessione possa in qualche modo dare delle risposte, o almeno degli spunti, alle vostre bellissime e appassionate lettere, che ricevo sempre volentieri.

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1 commenti

Andrea 11 Aprile 2019 - 16:15

Secondo me è solo una questione di natura, l’uomo nel suo essere animale è competitivo e quindi boh attrae di piú forse la cosa, per la Danza ci vuole molto piú cervello invece io penso, ne è l’evoluzione forse

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