Esiste una liturgia della classe di balletto, intrinsecamente legata alla storia stessa di questo linguaggio coreutico, che trova le sue origini nella nobiltà, come tutti sappiamo. Per questo la definirei come una sorta di etichetta, una tacito accordo che non è scritto da nessuna parte perché si tramanda da insegnante ad allievo: ci si impegna a rispettarla senza la necessità che venga mai nominata.
Il cerimoniale comincia ancora prima di entrare in sala, con la scelta degli abiti da indossare a lezione. Ognuno ha i suoi capi-feticcio che non abbandonerebbe mai neanche quando sono lisi e consunti, perché diventano un vero e proprio talismano e doverne gettare via uno è come separarsi da una parte di sé, nessun nuovo e sontuoso acquisto potrà mai sostituire quella seconda pelle piena di ricordi. Poi c’è il riscaldamento individuale, che ogni danzatore fa per sé prima della classe. Tutte le mattine, quando entro in sala, ci sono sempre almeno un paio di persone che stanno già facendo esercizi, oppure semplicemente si rilassano al suolo in silenzio, isolandosi da tutto quello che riguarda la quotidianità e che li attende fuori da lì, per dedicarsi totalmente alla danza per quel breve spazio di tempo della lezione.
La liturgia continua in quell’atmosfera dei primi esercizi, che tanto mi ricorda un risveglio vero e proprio. Non si spinge ancora il corpo con tutta la potenza di cui dispone, si respira profondamente durante l’esecuzione di semplici tendus dalla prima posizione, pliés e flessioni, che sono la vera base del lavoro di quella giornata. Si tratta di un delicato momento nel quale ogni danzatore osserva il proprio corpo in quel giorno, ne tasta la disponibilità e i limiti per capire su quale aspetto del movimento desidera indagare per quella specifica lezione. Si, perché mica si studia tutti i giorni allo stesso modo, è proprio in questi primi minuti, quindi, che si chiede al corpo: come stai oggi? …e poi si attende la sua risposta. Questo ogni danzatore lo sa, intimamente, e in alcuni casi anche a livello conscio.
La cerimonia che amo di più di tutte, però, è quel particolare modo di accennare i passi, mentre l’insegnante spiega, riproducendo i movimenti delle gambe con le mani. Si tratta di una gestualità complessa e incomprensibile per i non addetti ai lavori, ma che trovo straordinaria quanto una lingua universale. Ho osservato danzatori da ogni parte del mondo fare questi gesti con lo stesso identico atteggiamento: accanto alla sbarra, in piedi, con il corpo ancora mollemente adagiato su sé stesso, di solito con il peso su di una gamba e l’altra leggermente piegata e abbandonata un po’ più avanti, lo sguardo vigile sull’insegnante che mostra la sequenza, e quelle mani veloci e attive che sostengono la memoria, in quella esecuzione dell’esercizio in scala ridotta. Potrei stare ore a guardarli eseguire quei gesti così precisi nel movimento e nel ritmo, sono rapita da questa piccola danza dalla bellezza ipnotica.
L’etichetta prevede inoltre di saper condividere lo spazio con gli altri in modo autonomo. In centro, per esempio, ci si dispone in più file, secondo uno schema ordinato a scacchiera, permettendo a tutti di avere lo spazio necessario per poter danzare, con la possibilità di guardarsi allo specchio. Nelle classi professionali questo accade in modo del tutto naturale, ed è sorprendente vedere come, anche quando la sala è piena di persone, tutti riescano a danzare insieme senza darsi fastidio, con questo senso comune dello spazio, condiviso e rispettato da tutto il gruppo. Ricordo le prime classi professionali a cui ho partecipato, contraddistinte da quella sensazione di stare sempre nel posto sbagliato, di dare fastidio. Poi, metabolizzando l’etichetta della lezione di danza, tutto è diventato sempre più fluido e così ho potuto fruire a pieno del mio allenamento, sentendomi integrata in quei flussi di persone che si succedono via via sempre più rapidi nello spazio della sala. È fantastico sentire come il ritmo della lezione prende il volo se ognuno sa identificare velocemente un posto in cui poter danzare, oppure la gioia di eseguire un grande allegro finale all’unisono, lanciandosi insieme, complici, nell’azione di spiccare un salto.
Un rito molto importante per l’identità stessa del balletto, che sto cominciando a riscoprire solo adesso, è quella piccola sequenza di movimenti che si fanno all’inizio e alla fine della lezione per salutare i colleghi, il maestro, e anche il pianista, quando presente. La chiamiamo reverence, ossia una riverenza, un inchino che è uno dei rituali più antichi, molto elegante e rispettoso nei confronti della danza, prima di tutto, che merita di essere salutata prima e dopo averla praticata, ringraziandola ogni giorno di essere ancora al nostro fianco. Personalmente ho abbandonato l’elemento coreografico dell’inchino in senso stretto, almeno nei corsi professionali, nei quali preferisco utilizzare una combinazione d’inizio e una di fine che però hanno la stessa chiara funzione di porta d’ingresso e d’uscita verso e fuori dal lavoro.
Alla fine di tutto, la liturgia della classe di balletto si chiude con un grande applauso, pieno e sonoro, che ci si dona reciprocamente in segno di gratitudine per il tempo che ci si è concessi insieme: un tempo prezioso e proficuo, come ogni lezione dovrebbe essere.