Il numero della scorsa settimana mi ha fatto pensare a quali sono i miei grandi amori nel codice del balletto, quei movimenti che risvegliano in me una particolare sensazione di piacevolezza nell’eseguirli. Si tratta di una passione che nasce non tanto da ragioni puramente estetiche, o solo perché si tratta di un passo difficile da eseguire: il vero godimento per me sta nel riuscire ad arrivare all’essenza di un gesto danzato, fosse anche il più semplice di tutti, dopo averne sondato e indagato ogni piccolo momento al punto da riuscire ad eseguirlo senza sforzo, con naturalezza e con la consapevolezza del corpo, nella sua peculiare interezza fatta di segmenti indipendenti in armonia musicale, che lo attraversa istante dopo istante. Quello che mi piace, insomma, è la conquista, il tempo che ci ho messo per comprendere quel movimento in modo così profondo, e come quella comprensione poi si è irradiata anche ad altri movimenti che gli sono fratelli. Uno fra tutti: il gran rond.
Non ho mai posseduto un corpo elastico e flessibile, quindi per me sollevare le gambe è sempre stata una sfida quotidiana, a differenza di molte mie colleghe dotate naturalmente di quella libertà articolare che tanto agognavo. Non sto affermando che essere flessibili ed elastici dalla nascita risolva tutti i problemi che riguardano l’apprendimento dell’arte del movimento, ma sicuramente aiuta! Eseguire un grand rond a grandi altezze ha rappresentato per me un lavoro quotidiano per guadagnare terreno giorno dopo giorno, a cominciare dal costruire una muscolatura adeguata, allungandola costantemente con esercizi di stretching, ma soprattutto cercando di chiarire sempre di più come le varie parti del corpo possono organizzarsi per una migliore e sempre più efficace coordinazione, ossia ciò che si è rivelato la chiave per dare una svolta decisiva nella mia esecuzione di questo movimento così bello, ampio, arioso e succulento.
Adesso lo utilizzo molto spesso, sia alla sbarra che al centro, a qualsiasi altezza, alla fine delle pirouette en dehors, a pied plat o in relevé, lento e sostenuto o dinamicamente lanciato nello spazio, a volte anche saltato, una versione un po’ più maschile, forse, ma ogni tanto è bello sfidare il controllo del movimento anche quando il corpo è in volo.
Il grand rond per me è una vera e propria storia, che ha un inizio e una fine molto chiari e in mezzo una serie di dialoghi silenziosi e invisibili, che avvengono all’interno dell’involucro epidermico, tra leve, muscoli, ossa, che si passano il testimone e sollevano a turno la loro voce dal coro, emergendo nel momento in cui hanno qualcosa di significativo da dire e rendendo il movimento estremamente sorprendente e tridimensionale, sia da punto di vista spaziale che musicale.
Esiste un istante di grazia nell’esecuzione del grand rond, che localizzo nel momento del suo apice, al passaggio tra la seconda e l’arabesque, quando la gamba attraversa la posizione di écarté. È lì che il corpo raggiunge l’apertura massima, il picco più alto dell’inspirazione, e quindi dell’espansione. Mi piace rallentare quel momento, dando al movimento una sospensione proprio quando tutte le forze e le controforze che attraversano i corpo raggiungono la massima tensione reciproca, prima di cambiare direzione, preparandosi ad accogliere l’arabesque che sta per arrivare come una liberazione, una espirazione che riporta tutto ad un livello drammaturgico più quieto, liberando la struttura da ogni sforzo residuo.
Proprio nell’istante in cui il corpo si tende al massimo nello spazio, sento che anche il tempo ha bisogno di essere espanso e dilatato, evidenziando il pathos e la bellezza di quel passaggio, in cui mi pare quasi che l’intero corpo faccia uno sbadiglio gigantesco fino a raggiungere quel grado di piacevole allungamento che provoca una piccola e gradevole vibrazione. Un brivido.
Quando il corpo si spalanca espandendosi in tutte le direzioni possibili, quindi l’arabesque diventa una logica risposta a questa apertura, allo stesso modo in cui dopo aver inspirato e gonfiato appieno i polmoni, segue naturalmente una espirazione, necessaria per vuotarli.
Il grand rond è un fiore che si apre alle prime luci dell’alba, diffondendo la sua fragranza fresca e i suoi colori accesi, lasciandosi nutrire dai caldi raggi solari che esaltano le sue proprietà, per poi richiudersi al tramonto, conservando al suo interno una goccia di brina gelata dalla sera.
L’aspetto più interessante di questo movimento, comunque, si rivela quando si sposta l’attenzione dalla gamba che esegue il grand rond all’attività manifesta in tutto il resto del corpo. Solo così ci si rende conto di quante trasformazioni devono avvenire nelle relazioni tra gamba di terra, pavimento, tronco e braccia per poter sostenere e permettere all’altra gamba di compie questa evoluzione mirabile e perfetta, con la punta delle dita che disegna il tratto preciso di un compasso nell’aria, attorno a questo centro che potremmo localizzare proprio in un punto dietro all’ombelico.
Un racconto corale, insomma.
Evviva il grand rond!