Cominciato il nuovo anno mi accingo a regolarizzare la mia posizione con il CONI, dal momento che gran parte del mio lavoro dei svolge in relazione contrattuale con associazioni o società sportive. Continuando a mantenere ben calato il velo pietoso per il fatto di ritrovarmi in un ambiente a me alieno, che non ha nulla a che vedere con il mio lavoro, malgrado a legge dica il contrario (avrete già letto molti altri miei articoli su questo), mi faccio forza e contatto l’ente di riferimento per chiedere il riconoscimento dei miei titoli. Così viene chiamato questo processo, che si propone furbescamente di dare ufficialità a dei titoli che non sono riconosciuti neanche dal mio panettiere.
Per mia sventura so fare più cose, ossia so insegnare danza classica e so anche insegnare yoga, per questo motivo, nonostante io sia una sola, unica persona, devo attivare due procedimenti.
Premetto che il precedente titolo da me posseduto come insegnante di danza, mi era stato venduto come un documento che sarebbe stato valido fino all’ultimo giorno della mia miserabile esistenza, e invece recentemente mi viene detto che bisogna fare un rinnovo. Ormai ho smesso di chiedere spiegazioni razionali a queste persone, perché tanto so che ogni ente fa un po’ quello che vuole e te la cucinano così bene che alla fine hanno sempre ragione loro.
Qualche tempo fa lo yoga è stato estromesso dalle discipline riconosciute dal CONI, poiché non esiste la componente competitiva (come anche il Pilates ad esempio. La danza ha risolto con il florilegio di concorsi e competizioni che purtroppo conosciamo bene), ma poiché non si rinuncia ad alcun guadagno facile, è stato trovato un escamotage per farlo rientrare dalla finestra, ossia registrarlo come “ginnastica con finalità fitness e benessere”, sapendo che la maggior parte di noi avrebbe accettato di buon grado questo trucchetto, in quanto non detentori partita Iva, una posizione che, secondo me, non si giustifica con guadagni al di sotto dei 13 mila all’anno.
Se fossi proprietario di una scuola di danza o di un centro yoga, sarei un imprenditore e questo giustificherebbe una posizione Iva. Ma insegnando nei centri degli altri, investendo le energie per un progetto non mio (senza nulla togliere a tutti i centri yoga e di danza con i quali collaboro, che mi hanno sempre sostenuta e coccolata, ma qui si parla in modo impersonale), perché mai dovrei aprire una posizione Iva, con un lavoro tra l’altro fortemente intermittente e non continuativo? Certo è che almeno così mi potrei liberare da questi dazi e dall’incertezza della mia attuale posizione (nonché dall’odioso inquadramento non solo come istruttore sportivo, ma anche dilettante), ma si tratta di una scelta che va ben oltre le mie attuali possibilità.
Morale della favola: ho dovuto sborsare ben 250 euro per entrambi i titoli, facendo tutto tramite mail, ovviamente, senza alcun accertamento della mia professionalità e della mia competenza. Al mio moto di stizza per la cifra esorbitante mi è stato assicurato che tra due anni, ossia quando dovrò rinnovarli (perché in due anni potrei forse disimparare il mio lavoro?), pagherò meno.
Certo, a meno che non esca fuori qualche altra nuova legge, o la struttura non si iscriva ad un nuovo ente, che mette nuovi paletti e nuove regole, ovvio.
Qualcuno dovrebbe spiegarmi per questi 125 euro che uno sborsa per ogni titolo, cosa si riceve in cambio. Ah si, certo, il famoso sgravio fiscale, che è come un boomerang, e poiché non riusciamo più ad immaginare il nostro futuro, presi come siamo a gestire il presente, alla fine ci facciamo ancora andare bene questa situazione. Perché non prendiamoci in giro: a noi questa situazione va bene, ci piace annaspare nel fango, altrimenti avremmo già colto occasione per cercare di tirarcene fuori. Nello yoga sono sufficienti 200 ore di corso di formazione per poter cominciare a guidare le pratiche, anche se per diventare maestri potrebbe non bastarti l’intera esistenza, ma di fatto dopo sole 200 ore di corso sei abilitato all’insegnamento. Nella danza con quel monte ore non impari neanche a stare in sala, chi insegna danza, ad un qualsiasi livello, ha alle spalle un enorme bagaglio di studi ed esperienze, che evidentemente, cari colleghi, o non volete valorizzare oppure non avete proprio, altrimenti sareste motivati al cambiamento almeno quanto me.
A tutte le persone che leggeranno questo articolo e si sentiranno solidali con me, a tutti coloro che penseranno a quanto sia poco dignitosa questa situazione, a tutti i colleghi che al solo sentire le parole ‘dilettante’ e ‘sportivo’ gli si sollevano i peli sulle braccia, chiedo: dove eravate quando c’è stata la possibilità di partecipare alla scrittura della proposta per il decreto attuativo riguardante la nostra posizione? All’ultimo censimento fatto, sono state registrate 17mila scuole di danza sul territorio nazionale. Da allora di certo sono aumentate perché negli ultimi cinque anni c’è stato un incremento notevole. Siamo tanti, abbiamo un peso, potremmo diventare una massa critica a cui qualsiasi governo dovrebbe dare ascolto se solo fossimo uniti verso un obiettivo, al di là delle questioni artistiche, dei metodi, delle chiacchiere da comari.
Lo status quo si sovverte con le azioni, non con l’indignazione.
Purtroppo non so dirvi quando e se ricapiterà ancora un’occasione come quella che Aidaf ci ha dato, di partecipare attivamente per qualcosa di grande e di ambizioso (nonostante la continua diffusione in relazione a questa particolare occasione, ancora ci sono colleghi che non ne sanno nulla o che pensano che la legge non sia stata approvata, e io mi chiedo davvero come possa capitare che uno si disinteressi totalmente di ciò che riguarda il proprio lavoro e la propria esistenza). Certo è che se la categoria avesse sostenuto massivamente questa iniziativa adesso avrebbe molto più peso sul tavolo del governo. Per fortuna chi sta guidando la battaglia è ben armato di risolutezza e determinazione e ancora spero che le cose possano cambiare. Se non per me almeno per chi verrà dopo, per salvaguardare l’insegnamento della danza da questo baratro culturale.
A chi invece crede che le cose non possano cambiare in meglio, non resta che sganciare 120 euro ogni due anni per il proprio, inutile titolo.