Quando prendevo lezione di danza nella scuola in cui ho conosciuto per la prima volta questa splendida arte, la maestra non aveva idea che sarebbe diventata la mia professione. Eravamo semplicemente un nutrito gruppo di bambine a cui piaceva la danza e, come spesso capita a quella età, alcune hanno continuato, altre hanno smesso, poche sono diventate delle professioniste. Nonostante fosse un corso amatoriale di base, il rigore che ci veniva richiesto dalla nostra maestra era lo stesso, se non addirittura maggiore, di quello che poi avrei trovato nei corsi di formazione professionale che ho frequentato. Così è stata la mia educazione coreutica, disciplinata da regole, gerarchie da rispettare, ed una notevole distanza tra noi e la maestra, a cui non si osava quasi fare neanche una domanda, senza prima essere sicure della sua pertinenza, intelligenza e che non riguardasse argomenti già affrontati precedentemente. Le assenze erano permesse solo in via eccezionale per motivi familiari, malattia o infortunio, cose che capitavano di rado evidentemente, dal momento che ognuna di noi faceva al massimo tre, quattro assenze in un anno. Questo non deve far pensare che ci fosse una atmosfera funerea in classe, al contrario, la felicità di quei primi anni con la danza ha nutrito la mia motivazione e la mia fiamma per moltissimo tempo a venire, dandomi la forza necessaria per affrontare gli ostacoli e difficoltà che disseminano la vita di tutti coloro che scelgono la danza con il cuore. Nonostante non abbia ancora smesso di imparare e di ricominciare da capo, devo molto a quel lungo periodo trascorso sotto la guida della mia prima maestra, perché lei ci ha insegnato le qualità fondamentali per un danzatore: disciplina, serietà e costanza.
Oggi pare proprio che non siano gli allievi ad adattarsi alle regole che l'insegnante tiene in classe (non per sadismo ma perché il balletto ha un' etichetta antica, che è parte integrante della tecnica stessa, ed è giusto che si continui a rispettarla per non tradire la sua identità), ma si pretende che siano gli insegnanti a sottomettersi alle necessità degli allievi, al loro desiderio di ottenere risultati in breve tempo, all'idea che la danza sia un'attività ludica, una specie di ora d'aria, che si paga per svagarsi dagli altri impegni formativi.
Questo atteggiamento nel corso degli ultimi anni ha lentamente ucciso l'essenza stessa della danza, e la prima a subire un durissimo colpo è stata proprio la danza classica, erroneamente tacciata di essere vecchia, rigida, troppo difficile, noiosa. Di certo studiare danza classica non è la cosa più facile del mondo, richiede fatica e impegno, ma se uno studente è fortemente motivato tutti questi sforzi saranno ampiamente ripagati dal giungere dei risultati e dei progressi, a prescindere dal suo progetto di vita. La danza è una pratica che contiene in sé principi didattici, una storia lunga secoli, nonché il senso stesso del ruolo dell'arte nella società: quando si sceglie la danza, si sceglie tutto questo, altrimenti si può sempre fare fitness o sport, con i quali la danza non ha nulla in comune, eccetto il fatto che in entrambi si usa il corpo in movimento. È in atto un confronto tra noi insegnanti, ultimamente, perché quest'anno molti corsi di danza hanno chiuso per carenza di allievi ed è normale sentire una certa preoccupazione per le sorti del nostro lavoro nel futuro prossimo. Alcuni colleghi sostengono che bisognerebbe adeguarsi a questo nuovo andamento delle cose, cercando una mediazione che riesca a mantenere una certa dignità della disciplina; altri invece, tra cui io stessa, ritengono sia necessario mettere un freno a questo modo sciatto e permissivo di condurre i gruppi: troppe assenze, scarsissima continuità, per cui si salta da un corso all'altro o da un maestro all'altro, senza mai approfondire nulla e abbandonando alla prima difficoltà, eccessiva intromissione dei genitori che spesso giudicano e criticano le scelte dei docenti. Questa è la situazione generale e, nonostante la nostra dedizione e il nostro impegno, non è facile arrivare a risultati appaganti e stimolanti in queste condizioni.
Sono consapevole che quella che stiamo attraversando adesso, in Italia, sia una crisi profonda lunga decenni, un disfacimento culturale che ha intaccato tanti ambiti e che credo sia visibile agli occhi di tutti coloro che hanno a cuore la cultura. Proprio per questo sostengo che, se vogliamo davvero aiutare la danza a rimanere viva in questo momento, sia necessario rimanere fedeli al suo antico spirito, a quella sua Anima Maestra che insegna ai ragazzi il rispetto per sé stessi, per gli altri e per l'autorevolezza del maestro, ancor prima che la tecnica. Insegna che per arrivare a dei risultati bisogna lavorare con tenacia sui propri limiti e sulle difficoltà, fino a che non si riuscirà a superarli trasformando il proprio corpo e la propria mente in qualcosa di nuovo: più vigile, consapevole e pronto. I maestri andrebbero scelti con cura, poiché quelli veramente preparati sono molto più rari di quello che comunemente si pensa, e una volta trovati sarebbe bene seguirli per un certo periodo, sostenendoli con la propria presenza attiva, per dare loro la possibilità di conseguire la realizzazione di un progetto, di un programma, di un lavoro di qualità e approfondimento sull'allievo, che richiede tempo e un eguale impegno da entrambe le parti.
La danza è una cosa seria, ma mai seriosa: lasciatele il tempo di una buona pratica, per permetterle di penetrarvi sotto la pelle e per comprenderne davvero il valore.