Torna Lia Courrier con SetteOtto: “Questione di metodo”

di Lia Courrier
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Che tecnica usi? Con chi hai studiato? Dove hai lavorato?

Sono domande che spesso mi vengono poste quando sono al cospetto di qualcuno che non mi conosce, nel tentativo di capire qualcosa di me e della mia visione sulla danza, alle quali solitamente rispondo lapidaria e spietatamente sintetica, perché dal mio punto di vista si tratta di domande che non si prefiggono realmente di conoscere la verità, costringendomi a rimanere solo sulla superficie del discorso, e soprattutto dando per scontato che la mia identità sia definita dal lavoro di altri: delle persone a cui mi ispiro, con cui ho studiato o lavorato. 

Ogni maestro di danza ha un suo personale metodo, anche quando non è registrato, codificato o identificabile. Il metodo sta alla base della trasmissione di un concetto, che viene metabolizzato, vissuto nel corpo, esperito a qualche livello, prima di poterlo trasferire ad altri. Con il passare del tempo, una stratificazione di informazioni provenienti dagli ambiti più disparati si è intessuta nel mio lavoro, anni un cui ho paziente sistemato ognuno di questi elementi al proprio posto, cercando di rispettare i confini fisiologici della classe di balletto, frontiere che però si sono espanse al punto che, onestamente, non sono più in grado di definire il mio approccio inquadrandolo in qualcosa di riconosciuto o istituzionale. L'ispirazione principale è sicuramente lo stile e l'estetica balanchiniana, ma apprezzo molto anche la danza francese, alcuni dettagli prettamente vaganoviani, per non parlare di tutte le conoscenze ricevute in dono dalla danza contemporanea, dagli studi sulla biomeccanica del corpo, anatomia esperienziale, osteopatia biodinamica e da mille altre fonti che continuamente confermano o sconvolgono tutto ciò che credo di aver capito. Abbiamo questa tendenza a voler incasellare sempre tutto, lasciandoci sedurre dall'innocente illusione che il poter dare un nome a qualcosa sia automaticamente un rassicurante segno di qualità, ma una intera vita in evoluzione, insieme alla danza, non può essere afferrata in modo definitivo e rinchiusa dentro ad una sola parola. Non possiedo ancora, e non credo neanche di volerne avere, verità assolute sulla danza e sul movimento, forse nei primi anni di insegnamento credevo di averne bisogno, per confortare le mie insicurezze, ma da tempo ho capito che solo il rispetto e gli insegnamenti ricevuti dal corpo stesso possono guidarmi nello sviluppo di un mio personale metodo, che ancora è ben lungi dall'avere dei profili ben distinguibili, trovandosi ancora in piena trasformazione. Questa enorme libertà di pensiero, è doveroso dirlo, è un privilegio che posso concedermi solo in virtù di un continuo studio, analisi e approfondimento, di una osservazione critica di cosa accade nell'ambito del balletto, della sua evoluzione, cercando di non perdere mai l'abilità di discernere cosa può funzionare e cosa invece non è interessante per la mia ricerca,   muovendomi sempre nel rispetto del corpo in generale e del corpi individuali su cui quotidianamente lavoro. Gli allievi non sembrano spaventati da questa mia estrema liquidità, come la chiamerebbe Zygmunt Bauman, anzi sono curiosi e aperti a tutte le strambe proposte che ogni tanto getto sul fuoco, mi sento vicina a loro perché sono in piena fase di apprendimento, senza alcuna voglia di salire su un piedistallo a dirigere. Sono un'allieva piena di dubbi, ma è proprio questo che mi spinge ancora a scavare più in profondità, e nuove domande sorgono dalle precedenti, come matrioske: la libertà costa cara, ma vale sempre la pena pagare, fino all'ultimo centesimo, per rimanere aperti al nuovo che arriva.

La danza è un'Arte, si tratta quindi di una visione soggettiva sul mondo, ma quando si parla del suo insegnamento le uniche opinioni per me degne di attenzione sono quelle basate su conoscenza e consapevolezza, altrimenti ci troviamo nel territorio del dogma o della superstizione. Ben venga, quindi, che tutte le esperienze e le nozioni che possono comunicare tra di loro, trovino posto in un unico crogiolo, nel quale il proprio personale metodo sia messo a cucinare, un pasto deliziosamente stuzzicante per gli allievi, che ogni tanto sentiranno il profumo di una nuova spezia sulla lingua. Che piaccia o no, questa stimolerà i sensi, e saranno poi loro a decidere se tornare ad assaporarla oppure andare a cercare altrove.

Dover necessariamente appartenere ad una scuola, attaccarsi addosso un'etichetta, credo sia sempre scomodo e riduttivo per il lavoro di un maestro perché non aiuta a comprendere il suo sapere in modo tridimensionale. Aderire totalmente ad un metodo esclude automaticamente tutti gli altri e non consente di scorgere la complessità, la stratificazione che compongono una vissuta, sincera e consapevole visione sulla danza. Detto questo, non credo che esista una domanda giusta per comprendere il metodo di un insegnante, il linguaggio verbale applicato a questo genere di comunicazione creativa è spesso pernicioso e pieno di lungaggini che offrono solo appigli a malintesi e infinite elucubrazioni intellettuali. La danza è una pratica che vive di esperienza, per questo credo che per comprendere un approccio didattico sia molto meglio entrare in classe e provare la lezione. Da qui le risposte arriveranno da sole in modo immediato attraverso il corpo, lo strumento di cui questo linguaggio è una celebrazione.

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