Lia Courrier e una lettera aperta a maestri ed allievi

di Lia Courrier
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La lezione di danza è un racconto, scritto e narrato in tempo reale dal maestro, con la complicità degli allievi. A tutti voi sarà capitato di preparare una lezione per poi fare tutt'altro una volta giunti in sala. Cos'è esattamente che ci spinge ad uscire dalla rotta marcata per gettarci su un territorio tutto nuovo da scoprire e da costruire?

Possiamo dare per assodato che lo spirito di adattamento e una certa predisposizione all'improvvisazione siano elementi indispensabili per ogni maestro di danza, non solo per chi si occupa di ricerca del movimento ma anche per chi insegna balletto. Ogni domenica è mia abitudine preparare diligentemente la lezione, che terrò per tutta la settimana, cercando di dare organicità tra gli elementi scelti, di trovare quel filo rosso che connette il primo esercizio all'ultimo, e normalmente cerco di non uscire da questa traccia coreografica, che però rimane pur sempre un pretesto per lavorare su alcuni aspetti del movimento, uno spunto per dare un senso alla classe, un canovaccio. Ciò che farà la differenza, da una giorno all'altro, sarà poi il modo in cui percorrerò quel materiale, o meglio, il modo in cui la classe mi chiederà di essere guidata attraverso di esso.

Gli elementi che mi permettono di ridisegnare ogni giorno il percorso della lezione, in modo del tutto estemporaneo, emergono già dai primissimi esercizi di riscaldamento: la composizione del gruppo in quel dato giorno, per esempio, oppure se ci sono persone che non conosco, l'energia generale che sento nella sala, il clima, la temperatura, in quale periodo dell'anno ci troviamo. La lezione è sempre la stessa, ma siamo noi ad essere differenti ogni giorno, e credo che per lavorare profondamente e intelligentemente durante le ore di studio, sia necessario tenere conto di questo dettaglio.

Bisogna lasciare aperta la porta all'imprevisto, ascoltare quali sono le richieste del gruppo e non forzarlo ad andare in luoghi impossibili da abitare in quel giorno. Ciò non vuol dire essere accomodanti, quanto piuttosto cercare di tirare fuori il meglio dalle condizioni del momento, spingendoci lì dove l'uscio è stato lasciato aperto. Prendere queste decisioni velocemente, di fronte ad una classe che è li ad attendere istruzioni, è sempre stato un compito estremamente stressante da svolgere per me, nei primi anni di lavoro come insegnante, perché per poter gestire tutto questo bagaglio di informazioni che arrivano dal gruppo e contemporaneamente portare avanti una classe senza perdere ritmo e mantenendo la qualità dei contenuti, è un'abilità che si conquista solo dopo anni e anni di pratica quotidiana. Insegnare mette addosso un certo carico di responsabilità, e se devo essere onesta ancora oggi costantemente una parte di me continua a chiedersi se quello che propongo possa piacere, se ciò che dico possa essere utile o meno, e nelle giornate difficili mi basta vedere qualche espressione annoiata o uno sbadiglio di troppo per risvegliare il mio Sé giudicante, sempre in agguato.

Quando, invece,  apro la mia attenzione al gruppo, anziché chiudermi in me stessa e nella mia visione introiettata e autoreferenziale, tutto diventa estremamente facile, perché divenendo sensibile ai messaggi non verbali che provengono dai danzatori posso tirare le fila del lavoro, per tessere la trama del racconto insieme, secondo una modalità che ci vede ugualmente impegnati per la buona riuscita dell'incontro. Non si tratta di un flusso unidirezionale, che mi vede come unica parte attiva, mentre gli allievi ricevono passivamente delle informazioni, ma un vero e proprio scambio, un lavoro di gruppo in cui loro sono liberi di fare domande, di gettare tutti i dubbi sul piatto, concedendomi quella resistenza necessaria per lasciare all'evoluzione lo spazio per compiersi, aggiungendo un nuovo mattoncino al nostro sapere. Quando questo accade, ogni preoccupazione svanisce e ci si può concedere una profonda immersione nello studio del movimento. In queste occasioni, non rare per fortuna, il tempo letteralmente vola via e ci si ritrova alla fine sudati fradici ma felici per aver condiviso qualcosa di totalmente appagante.

Con questo racconto personale di vita danzereccia,  vorrei anche richiamare l'attenzione degli allievi, per ricordare loro quale grande responsabilità hanno per la buona riuscita di una lezione. Bisognerebbe sempre evitare di cadere in quell'atteggiamento di attesa passiva nei confronti del maestro, da cui ci si aspetta sempre stimoli, conferme e correzioni. Chi di voi non ha ancora avuto esperienza di insegnamento non può immaginare quanto la qualità della presenza negli allievi possa sostenere il lavoro del conduttore, di quanto sia importante ricevere domande a cui cercare di dare risposta, di come sia bello percepire nell'aria quella fame di imparare e la felicità nella danza. 

Non si tratta di un'energia diretta verso il maestro in quanto persona, anche se ovviamente la fiducia nei suoi confronti è molto importante, ma ho sempre provato forte perplessità di fronte alla particolare venerazione, tipica del mondo della danza, che a volte si crea attorno ad un maestro. Ciò di cui parlo è quella potente spinta verso la  dimensione gioiosa e godereccia della danza, del tutto impersonale, che mi accende come un cerino e mi rende vigile, attiva, propositiva, presente totalmente in ogni gesto, parola e movimento, e che mi fa sentire tutt'uno con ogni allievo presente.

Tenetelo presente alla prossima lezione, se volete avere un maestro felice.

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