Lia Courrier: “Ebbene sì.. anche i ballerini hanno un lato B”

di Lia Courrier
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La danza classica ha un approccio spaziale diretto e definito: si dichiara l’esistenza di un unico fronte di riferimento e ogni movimento viene concepito, sequenziato e danzato secondo questo orientamento, utilizzato nella costruzione di una coreografia così come in scena, con i ballerini si rivolti verso quella che viene chiamata ‘quarta parete’. Persino durante le classi di studio ogni gesto, ogni sequenza, ogni movimento nello spazio vengono spesso pensati ed eseguiti verso l’unico fronte possibile, che in sala solitamente è quello corredato di specchi. Questo però non vuol dire che abbiamo solo un fronte senza un retro, non vuol dire che compariamo sulla scena come le figurine dipinte nel libro dei morti dell’antico Egitto, o che non sia contemplato nessun altro punto di vista sul corpo oltre quello frontale: la danza si sviluppa nelle tre dimensioni.

Esistono occasioni in cui la drammaturgia che sta alla base di una danza ha portato i coreografi a scegliere di mostrare la schiena dei danzatori, ad esempio, alcune delle quali sono rimaste celebri come icone. Una per tutte è la morte del cigno da ‘Il carnevale degli animali’ di Camille Saint-Saëns, nel quale la ballerina esegue il suo lungo ingresso dando le spalle al pubblico, per evidenziare l’elegante e ipnotico movimento delle sue braccia, come ali d’uccello che cerca di spiccare il volo nella sua ultima ora, senza riuscirci. Oppure l’istante pieno di malizia in cui, nella variazione femminile di ‘Grand pas Classique’, la ballerina si posa in quarta posizione sulle punte, mostrando sorniona la schiena, per ammiccare con un occhio verso il pubblico, prima di risalire in cima alla diagonale preparandosi a quella complessa combinazione che precede il manége finale. Anche gli uomini non sono da meno nell’utilizzo del lato ‘B’: Basilio nella sua variazione del grand pas de deux si ferma di schiena, dopo aver compiuto salti acrobatici, in una posa che ricorda molto i ballerini di flamenco, che esalta la linea del corpo e la forza virile e ironica del personaggio.

Ebbene si, cari amici: nonostante quello che si possa pensare, anche i ballerini hanno un lato ‘B’.

Ovviamente non intendo parlarvi del fondoschiena, sebbene alcune stelle in calzamaglia spesso ne mostrino di notevoli, ma proprio di tutta la parte posteriore del corpo che, sovente nascosta alla vista del pubblico, ricopre invece un ruolo fondamentale nel sostegno del movimento, nell’espressività della sua dinamica spaziale e soprattutto come fulcro di forza per i port de bras.

Personalmente amo molto il codice del balletto, lo trovo affascinante, un arcipelago di vocaboli, principi e logiche sintattiche che reggono ancora la sfida del tempo, organizzati come sono in un equilibrio perfetto di possibilità, tra cui anche quella di sovvertire quelle stesse regole che lo compongono, senza mai tradirne l’essenza. Il balletto non ha mai avuto paura di cambiare, ed è proprio questa la caratteristica che gli ha consentito di attraversare i secoli fino all’epoca odierna, nella quale si è spogliato di molti orpelli, abbandonando tutto ciò che lo appesantiva e lo relegava in una estetica non più in linea con la contemporaneità. È un linguaggio sempre nuovo ma che tuttavia riesce a non tradire mai sé stesso, attraverso un delicato processo di trasformazione che solo un vecchio saggio saprebbe compiere con tanta classe e coerenza.

Quando si danza si è tesi tra uno spazio interno, del quale bisogna avere grande cura, ed uno spazio esterno, in direzione di un ‘altro’ verso il quale bisogna protrarsi con assoluta chiarezza. Agrippina Vaganova e Enrico Cecchetti hanno numerato ogni angolo e ogni fronte del quadrato nel quale il danzatore è inserito, tenendo conto non solo dello spazio davanti ma anche di quello dietro al corpo, e questo mi sembra un chiaro invito ad usare tutte le direzioni possibili quando si pensa ad una danza, senza riferirsi sempre e solo al fronte principale. Il motivo per cui poi abbiano scelto metodi di numerazione diversi rimane per me un mistero, utile solo a confondere le idee, quei mattacchioni, ma comunque se ne evince che lo spazio occupato dal danzatore è tridimensionale e non bidimensionale. Trovo attuale anche questo aspetto del codice, poiché nella contemporaneità spesso si danza in luoghi non convenzionali, in cui magari lo spazio scenico e quello riservato al pubblico non sono così definiti, ed è per questo che i coreografi sono portati ad immaginare una danza che possa essere contemplata da più punti di vista, infondendole una pregnanza drammaturgica una nuova luce al vecchio assetto logistico, tale da consentire ad ogni spettatore di assistere al proprio personale spettacolo, visibile solo da quella specifica posizione.

In questa ottica, e con la riverenza che si può riservare nel maneggiare un simile patrimonio, mi piace costruire sequenze per le lezioni che prevedano passaggi di schiena, o interi esercizi che cambiano continuamente fronte. Mi diverto a far impazzire i danzatori nel tentativo di essere precisi con direzioni, fronti e diagonali, e questo lavoro risveglia in loro la consapevolezza del lato ‘B’, che necessita di un suo canale espressivo e di ricevere istruzioni chiare. Spesso la schiena, in particolare la zona tra le scapole, che si trova in un punto cieco della nostra osservazione e percezione del corpo, viene irrigidita nel tentativo di trovare la forza necessaria per sostenere il movimento. Purtroppo se anche solo una parte del corpo si irrigidisce e non partecipa fluidamente al movimento, o sfugge alla consapevolezza, l’intero corpo e la danza stessa pagheranno per questo, perdendo in spontaneità e precisione. Un corpo rigido non produce una danza gradevole da guardare, ma al contrario, comunica fatica e un senso del limite a chi la osserva. Solo con una schiena liberata dalle tensioni non necessarie, possiamo rendere la nostra danza tridimensionale, conquistando lo spazio e trasformandolo in un paesaggio immaginativo che coinvolga lo spettatore, catturando i suoi sensi.

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