Lia Courrier: “Esiste una piaga che affligge gli insegnanti di danza: gli allievi senza musicalità” – prima parte

di Lia Courrier
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Esiste una piaga che affligge gli insegnanti di danza, li consuma giorno dopo giorno, lezione dopo lezione, minando l’equilibrio psico fisico, danneggiando la qualità del sonno e la loro salute mentale: sto parlando degli allievi senza musicalità. Una vera e propria pandemia – questa –  che ha devastato intere generazioni di aspiranti danzatori, privandoli di una delle abilità fondamentali, ossia la capacità di muoversi seguendo una logica musicale. Non si conoscono le cause effettive del fenomeno, sempre più in crescita, ma probabilmente all’origine di questo disagio si possono individuare una serie di concause, che nel corso del tempo hanno portato gli insegnanti ad una condizione critica e gli allievi a perdere ogni speranza di poter danzare a tempo.

Scherzi a parte, anno dopo anno mi rendo conto che la musicalità, uno degli aspetti che più ammiro in un danzatore, viene sempre meno al punto che a volte mi ritrovo a fare lezione di solfeggio anziché di danza (senza neanche avere le competenze per farlo) nel tentativo disperato di far capire ai loro corpi almeno la differenza tra battere e levare, un’impresa quasi impossibile.

L’aspetto che personalmente trovo sconvolgente in questa faccenda, è che spesso gli allievi mostrano evidenti difficoltà a seguire le musiche per la lezione di danza, ossia semplici composizioni al pianoforte che, per ovvi motivi di utilità, non presentano variazioni di ritmo all’interno del brano. Mi spaventa già l’idea di quando si troveranno a dover gestire un qualsiasi brano di musica sinfonica, dal momento che non riescono a seguire neanche delle elementari composizioni in quattro quarti.

Ci sono cose che so di poter trasmettere: la tecnica, il codice, la sintassi, come percepire le corrette attivazioni muscolari, come eseguire un movimento, dove trovare la forza per portare il corpo in una data forma, e molto altro. Ci sono altre cose, però, che né io, né nessun altro insegnante possiamo trasmettere o insegnare, e qui sto parlando di quelle caratteristiche che appartengono alla sfera creativa personale, dell’identità artistica che ogni allievo porta dentro, in nuce, e che l’insegnante può solo aiutare a svelare, portare alla luce, ma il suo spazio di azione finisce lì, perché infine è l’allievo che deve trovare il modo per connettersi ad essa.

Ciò che posso fare, per quanto riguarda la musica, è aiutare l’allievo a contare e andare a tempo, muoversi insieme agli altri, ma essere musicali è tutta un’altra cosa, è una questione di sensibilità, di sentire il corpo che diviene musica da guardare, come diceva Balanchine, e le sensibilità vanno coltivate e nutrite costantemente, per mantenerle tenere, morbide, fluide, evitando di farle indurire.

La sensibilità per la musica si nutre con la buona musica. Certo, esiste una predisposizione naturale in questa direzione, ma ho sempre confidato nel fatto che se una persona si avvicina alla danza lo fa anche in virtù di una sensibilità musicale, di un istinto che lo porta a sentire la spinta a muoversi insieme ai suoni. Per me è stato così, la musica rappresentava un richiamo al quale non era possibile sottrarsi, che fossi in casa, in piazza o a scuola, la musica aveva un effetto potentissimo sul mio corpo, non potevo che mettermi a danzare.

La grande fortuna che ho avuto, forse, è stata quella di avere per genitori degli appassionati di musica, per cui in casa c’era sempre un vinile di qualche compositore che andava sul giradischi. La prima grande passione che ricordi, è stata Vivaldi. Dopo aver goduto di quella ondata di ottimismo e furia con le prime due stagioni, la primavera e l’estate, una volta giunta all’autunno, fino al culmine con il secondo movimento dell’inverno, non riuscivo proprio a trattenere le lacrime per lo struggimento. Con l’inizio delle lezioni di danza ho conosciuto Tchaikovsky e la sua bellissima musica per balletto, che mi ha accompagnata per molti anni a venire. L’Opera lirica, che mio padre mi portava sempre a vedere al Teatro della mia città, Catania, è sempre stata una spesa sulla quale non ha mai lesinato. Le Opere per me erano più simili ad un sequestro di persona, sistematicamente dopo il secondo atto mi ritrovavo a dormire sul divanetto, a meno che non ci fosse un balletto, allora cercavo di restare sveglia, ma intanto quella musica, ascoltata anche durante il sonno leggero che caratterizzava quelle occasioni, ha dato nutrimento alla sensibilità che portavo dentro. Poi è arrivato Strawinsky, con la Sagra della Primavera, una composizione che mi ha letteralmente sconvolta. Quando anni dopo lessi nelle cronache del tempo, delle reazioni che i primi ascoltatori ebbero alla sua prima rappresentazione, i fischi, lo scuotimento delle anime, io ho davvero sentito di comprenderli. Per me esiste un prima e un dopo l’ascolto di quella composizione, che ho percepito come una vera e propria iniziazione. Infine lui, il mio grande amore: Gerswhin. Quando ascoltavo Rapsodia in Blue il corpo non rispondeva più di me, era come posseduto da quella musica sincopata, improvvisavo danze impossibili facendomi trascinare da quelle note che si susseguivano veloci sui tasti per poi aprirsi in spazi sconfinati nei quali sentivo il cuore scoppiarmi nel petto e inondare la stanza, la città, il mondo intero.

La musica mi ha sempre emozionato moltissimo, grazie alla musica mi sono commossa, ho pianto, ho gioito e ho trovato coraggio. La musica mi ha fatto sentire grande e potente, ma anche piccola come un granellino di sabbia e vulnerabile. La musica è stata il mio rifugio dalle miserie quotidiane per molto, molto tempo.

Tutto questo è accaduto prima dei 14 anni.

Poi è arrivato l’heavy metal, il rock, l’hardcore, il grunge, ma quella è un’altra storia, fatta di musica altrettanto bella e di musicisti incredibili.

Il risultato di tutto questo nutrimento, ma anche digestione e assorbimento, è stato che nel mio lavoro con la danza non ho mai sentito il bisogno di contare. Contare la musica per me è solo una convenzione per darsi appuntamento quando si è in tanti, per mantenere l’ordine, ma raramente conto. Il più delle volte canto, uso suoni, versi, emissioni vocali per raccontare il movimento attraverso la musica che nel mio sentire produce nel corpo. I miei allievi ogni tanto ridono di questo mio modo un po’ beatbox di condurre la lezione, ma per una autodidatta naïf come me è la cosa più naturale che mi viene da fare.

Lo studio professionale della tecnica della danza, dai 15 anni in avanti, mi ha poi portato a non essere più posseduta dalla musica, ma a controllare il fluire di quella energia, guidandola esattamente dove volevo che arrivasse, incanalandola dentro a confini ben precisi, ma ricordo ancora con grande chiarezza, nostalgia e tenerezza quella sensazione di libertà che mi dava lasciare il corpo completamente in balìa di quella potenza, senza regole da seguire, senza un’estetica a cui rispondere.

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1 commenti

Shahrzad 8 Marzo 2020 - 13:09

Più il tempo passa e più proposta musicale con cui ci si scontra è appiattita, semplificata a livello ritmico e armonico, per questo forse le nuove generazioni, sempre più lontane dalla musica “classica”, hanno impigrito il loro orecchio e la sensibilità musicale, argomento è trattato in modo molto interessante in “Il paesaggio sonoro” di Schafer.
Sono un’insegnante di tecnica classica anche io e, frustrata dalla situazione, ho iniziato a studiare solfeggio per poter dare nozioni più precise ai miei allievi ed entrare più nello specifico sul discorso musicale perché se è vero che spesso si ha una predisposizione naturale, è anche vero che l’orecchio va allenato e la musicalità si può anche imparare. In vista di questa piaga è forse necessario che lo studio della musica, tanto superficialmente condotto in ambito coreutico, possa essere materia sempre più approfondita e studiata dagli insegnanti di danza per dare una formazione più completa e aiutare di più gli allievi.
Sarebbe anche interessante affrontare il tema della musicalità insita nel movimento stesso, di cui si è tanto occupato ad esempio Dalcroze nei suoi studi sull’Euritmica, un metodo per insegnare e percepire a livello corporeo e di movimento la musica e il ritmo.
Grazie Lia per i tuoi articoli sempre stimolanti!

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