Lia Courrier: “Facciamo chiarezza.. Ogni danza ha il suo nome”

di Lia Courrier
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La danza è un’arte, e in quanto tale non vive in condizione di fissità ma continua a muoversi e trasformarsi, seguendo l’evoluzione stessa della specie e le richieste delle società che abbiamo creato. Con enorme gratitudine nei confronti dell’eredità lasciataci da tutti i grandi maestri, coreografi e danzatori che popolano la storia della danza, bisogna però uscire dall’idea che questa sia stata scritta solo nel passato. La storia la scriviamo ogni giorno nel presente, e questo che stiamo vivendo è un momento davvero fertile per la danza, incredibilmente innovativo, anche se a guardarla da queste latitudini potrebbe non sembrare.

Non credo sia possibile trasmettere un’idea realistica della danza tramandandola secondo sapienze di cento anni fa. Cerchiamo di non relegare la danza in un salottino laccato, cristallizzandola in dogmi e antiche credenze, che avevano un senso in quello specifico contesto storico e sociale, perché oggi come mai è fondamentale essere capaci di vedere questa evoluzione, senza aver paura del cambiamento: la danza è viva, viva la danza!

Percepisco (anche tra noi insegnanti) poca conoscenza di questi processi che hanno portato la danza ad essere quella che conosciamo oggi, ed è su questa ignoranza che trova il suo fondamento la confusione nel nominare i vari linguaggi espressivi, primo tra tutti quella della danza contemporanea, che sembra raccogliere sotto di sé tutto ciò che non si riesce a classificare in altro modo, un po’ come si fa con la polvere sotto il tappeto. Con molta umiltà oggi vorrei cercare di fare chiarezza in questo ambito. Perdonerete la mia estrema e inesorabile sintesi, ma il contesto richiede brevità, e d’altra parte non sono un accademico né un professore di storia della danza. Esistono numerosi e validi testi per approfondire gli argomenti che vado ad esporre.

Comincerei con una doverosa distinzione tra balletto contemporaneo e danza contemporanea.

Il primo vede il precursore in George Balanchine, con la sua ricerca che utilizza gli schemi pregressi, il suo bagaglio di ballerino russo, proprio per infrangerli, creando una tecnica nuova che porta il balletto nel ventesimo secolo. Da qui poi il testimone passa ad esponenti più recenti, se non contemporanei, di cui faccio i nomi più conosciuti giusto per farci un’idea: William Forsythe, Jirì Kyliàn, Kenneth McMillan, John Neumeier e Wayne McGregor. Questo tipo di ricerca parte dal balletto accademico, rielaborandolo e dandone nuova lettura da ogni punto di vista, accogliendo anche la ricerca proveniente dalla danza contemporanea: una rilettura che parte dal movimento in sé, che scopre una maggiore libertà, rischio, dinamica e potenza; fino alla scelta della drammaturgia e della composizione durante il processo creativo.

I padri fondatori della danza contemporanea, invece, sono considerati Martha Graham, José Limon e Merce Cunningham. In tutto il mondo (a parte in Italia) le loro tecniche sono definite ‘modern dance’ (ebbene si, signori e signore: danza moderna). Stiamo parlando di grandi innovatori che hanno dato un enorme impulso ad un cambiamento che dura ancora oggi e vive anche del loro contributo. Merce Cunningham fino agli ultimi giorni in cui è stato qui con noi, ha continuato incessantemente a rielaborare la sua tecnica e metodologia, perché lui stesso per primo sentiva il cambiamento spingere alle porte e sapeva che nulla nell’arte può rimanere fisso e fermo senza che questa ne soffra fino a morirne. Poi è arrivata la post-modern americana, che ci traghetta direttamente verso la contemporaneità.

Uno dei nomi più celebri e conosciuti è di certo quello di Trisha Brown (creatrice della Release Technique), altra presenza freschissima e che ha portato, insieme al gruppo della Judson Church, di cui facevano parte delle vere e proprie leggende della danza e della ricerca del movimento, ad un ennesimo cambiamento di paradigma, una nuova danza che per la prima volta, dettaglio importantissimo, non trova fondamento nel balletto classico ma abbraccia una nuova visione del corpo, più vicina all’ambito scientifico che non coreutico, nonché anche la qualità delle arti marziali e delle discipline orientali. Un’ispirazione è rappresentata dal libro ‘The Thinking Body’ di Mabel Todd, un trattato sulle forze biodinamiche che attraversano il corpo, ma anche la tecnica Alexander a Feldenkrais fino ad arrivare alle più recenti tecniche somatiche come il Body Mind Centering o Axis Syllabus, sviluppate in seno alla comunità danzante insieme ad altri ricercatori del corpo. Pratiche straordinarie e ricche, nelle quali spesso è presente anche una componente terapeutica, che hanno portato un cambiamento profondo nel concetto stesso di estetica del movimento, nonché del ruolo politico della danza.

Ecco, non mi spingerei oltre a questo che potrei considerare un panorama fondamentale per comprendere il perché bisogna accettare il fatto che il balletto non sia più l’unica base possibile per danzare, o perché la tecnica Cunningham non è da considerarsi danza contemporanea. Credo sia necessario accogliere l’idea che la danza sia un’entità che cambia e si evolve, questo non vuol dire che tutto ciò che c’è stato prima sia da eliminare, ma è necessario anche rispondere alle nuove necessità, altrimenti rischiamo di insegnare qualcosa che potrei solo definire come anacronistico.

La danza è nata originariamente come elemento rituale nelle prime comunità umane, non per questo per diventare danzatori è necessario cominciare attorno ad un fuoco con un copricapo di piume, per quanto possa essere affascinante farlo.

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