Lia Courrier: “gli allievi di oggi e i maestri.. di ieri”

di Lia Courrier
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Si assiste negli ultimi anni al fenomeno che vede l’età media degli insegnanti di danza, anche preposti alla formazione professionale, abbassarsi sempre di più. Le ragioni di questa flessione variano a seconda del contesto: in Italia spesso ci si dedica all’insegnamento perché non esiste un reale mercato del lavoro per chi danza, mentre in altre zone d’Europa questo abbassamento dell’età risponde alla necessità degli allievi di stare al passo con l’evoluzione che sta cambiando il volto alla danza, un cambiamento che avviene con rapidità crescente, per questo gli studenti hanno voglia di conduttori giovani ed energici, in grado di essere coinvolgenti e di parlare un linguaggio a loro più vicino. Dal mio punto di vista questo è un fenomeno da salutare con gioia, io stessa ho cominciato ad insegnare che non avevo neanche 25 anni, quando ‘Il Maestro’ era normalmente un danzatore che aveva già concluso la sua vita sul palco, e tutti mi dicevano che ero troppo giovane per avere qualcosa da dare agli allievi. Sicuramente ho commesso molti sbagli, sotto ogni punto di vista: didattico, relazionale, tecnico, ma l’ho sempre fatto con grande apertura e curiosità, senza mai smettere di studiare e di farmi domande, e se adesso posso dire di avere una certa esperienza e competenza, in una età che non reputo ancora da inserire tra gli anziani, lo devo solo al fatto che ho cominciato presto a vestire questo ruolo.

Come ho già scritto proprio su queste pagine, per me la danza di oggi, per le richieste fisiche ed energetiche che pone a chiunque la avvicini, è giovane e maschio. Come un giovane è affamata di novità e divora tutto ciò che trova, prende, consuma e getta via continuamente. Come un maschio adotta una strategia di vita muscolare e potente, mostrando tutta la propria forza e la fascinazione per il rischio, ad ogni passo. Alla danza dei nostri giorni piace comportarsi come un consumatore dell’era digitale, con le mani allungate attraverso la finestra sul mondo, pronte ad afferrare tutto ciò che gli capita a tiro. Questa è la sua identità. Transitoria, ovviamente, perché la storia ci ha insegnato come tutto sia ciclico, e ogni volta che si arriva a fine corsa verso una direzione, si rende poi necessario trovare un nuovo sentire, un nuovo cammino da percorrere.

C’è sempre un rovescio della medaglia in ogni cosa, ovviamente, e questo bulimico voler essere sempre più veloci, flessibili e potenti, anche un po’ sfacciati a volte, porta a non penetrare facilmente oltre la superficie delle cose, uno strato che non ha la consistenza di una sottile membrana permeabile, ma somiglia più ad una spessa crosta, e per questo richiede una certa insistenza per potervi aprire una breccia. La mente contemporanea è una mente che ha dimenticato la strategia della goccia che buca la roccia, e quando incontra degli impedimenti spesso sceglie di cambiare percorso e aggirare l’ostacolo, partendo dal presupposto che esistono infinite strade per giungere in un solo luogo. Nella danza uno di questi ostacoli è proprio il continuo bisogno di stimoli nuovi, di sentirsi quasi ubriachi di movimento, che spinge gli allievi a saltare da un seminario all’altro per avere sempre nuovo cibo da divorare. Capita inoltre, che il maestro venga scelto in base alla sua personale qualità di movimento, perché la sua danza rispecchia il trend del momento, spesso senza preoccuparsi neanche che abbia sviluppato o meno un suo personale metodo di trasmissione. Ci sono video dove si vedono in primo piano gli insegnanti che danzano meravigliosamente e dietro di loro una massa informe che cerca di seguire quella traccia, ma senza riuscire a fare altro che una semplice imitazione. Chi ha fatto della danza una professione sa bene come questa strategia si possa considerare proficua solo se accompagnata anche da uno studio sul corpo condotto con metodo, costanza e perseveranza.

In questo forse noi insegnanti dell’era pre-digitale abbiamo ancora molto da dare, poiché il nostro approccio all’esistenza è quello di stare nelle cose con una mente analitica in grado di permanere stabilmente, a lungo, su un oggetto di indagine, trovando gusto nel semplice atto di osservare e ascoltare. Se decidiamo di esplorare una strada alternativa è solo perché davvero le abbiamo provate tutte. La nostra mente affronta le situazioni, valuta strategie e agisce in modo completamente diverso rispetto al consumatore compulsivo.

Si tratta forse di un processo che richiede più tempo, ma che consente di accedere a strati più profondi di consapevolezza, un’abilità che le nuove generazioni non dovrebbero mai perdere, poiché focalizzarsi esclusivamente sul corpo e sulla sua prestanza è un filone destinato ad esaurirsi prima o poi, se sotto non esiste un substrato drammaturgico, culturale ed esperienziale, dato da una ricerca che prescinde dalla forma ma nasce dall’essenza.

Quella stessa essenza che si trova al di sotto della famosa crosta.

Insomma: essere leggeri perché non si hanno strumenti per raccontare è diverso che riuscire ad essere leggeri pur rimanendo pesantemente incollati al nucleo delle cose. I maestri di una certa età sono quindi una risorsa preziosa perché hanno accumulato tante esperienze diverse, anche di vita, e forse non riusciranno a trasmettere gli insegnamenti con la stessa freschezza e dinamismo di un insegnante giovane, ma se seguiti per un tempo abbastanza lungo, possono aiutare gli allievi a spingersi oltre quella superficie con un approccio meno muscolare e con una dolcezza e una sensibilità che nella danza di oggi sembrano quasi dimenticate.

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