Amici lettori, ben ritrovati.
Vorrei aprire questo primo numero di stagione con uno dei miti indiani a cui sono più legata, che racconta della prima lezione di yoga in assoluto nella storia di questo universo.
Questa storia ha per protagonisti Shiva, la sua sposa Parvati e il Dio pesce Matsya. Quest’ultimo è da molti considerato un avatar di Visnu, altra divinità che, insieme a Shiva e Brahma, forma la triade divina chiamata Trimurti, la ciclicità dell’esistenza (creazione – conservazione – assorbimento).
Un giorno lontano, dopo “soli” diecimila anni Shiva concluse la sua meditazione sul monte Kailash. Scese dunque a valle per recarsi a casa dove Parvati, per festeggiare il ritorno del marito, stava preparando un pranzo al sacco da consumare insieme all’aperto.
Si sistemarono accanto alla riva di un fiume e qui, in questa scena così intima e idilliaca della divina coppia, Shiva racconta a Parvati di aver realizzato, attraverso la meditazione, la più alta delle arti, il Mistero dell’universo stesso, il mezzo per raggiungere l’unione tra l’individuo e l’Assoluto, ossia lo Yoga. È doveroso dire, a questo punto, che per Yoga, secondo l’origine, non si deve intendere la pratica di asana ma il metodo scientifico per disciplinare e calmare la mente.
Shiva era entusiasta e felice di condividere le sue scoperte con l’amata, sebbene in alcune versioni di questo mito si narra che Parvati conoscesse già lo Yoga ma per amore del marito, e anche perché adorava ascoltarlo, decise di non interromperlo. Shiva e Shakti (il maschile e il femminile, di cui Parvati, la figlia della montagna è una incarnazione) sono inseparabili, due aspetti della stessa energia: nel momento stesso in cui Shiva realizza lo Yoga anche a lei accade lo stesso.
Ad ogni modo, proprio mentre il racconto perfetto dello Yoga si dipana alle orecchie estasiate di Parvati, passa di lì Matsya, che nel momento esatto in cui ascolta le parole uscire dalla bocca di Shiva, diviene un illuminato di quella disciplina.
Questo episodio racconta la nascita dello Yoga, motivo stesso per cui Shiva viene chiamato “Il Signore dello Yoga” (tra i tanti appellativi e nomi che possiede) ma non solo: Matsya diviene il primo Chela (allievo) e Shiva il primo Guru (Maestro), dando vita a quella tradizione di trasmissione orale che nella tradizione yogica prende il nome di Parampara. Un passaggio di insegnamenti che inizia con Shiva e Matsya e che continuerà fino ai nostri giorni, fino al momento in cui state leggendo questa storia. Matsya diventerà anche il primo maestro di Yoga e sarà proprio lui, decisamente non un pesce qualunque, a trasmettere e portare la scienza divina e trasformatrice dello Yoga al mondo.
Questa storia mi commuove molto, rappresenta proprio la sorgente, il senso più profondo di quello che per me è l’insegnamento. Ci sono tutti gli ingredienti: l’entusiasmo, la saggezza, l’esperienza personale, la rivelazione e anche la non intenzionalità, perché Matsya ascolta non visto, non è presente la volontà di Shiva di istruire Matsya, ma l’apprendimento discende direttamente dalle labbra e dalla lingua di Shiva su Matsya come luce liquida che inonda l’intero suo essere. Abbiamo anche l’aspetto dell’apparentemente casualità dell’incontro. Matsya passa di lì proprio nel momento perfetto in cui riceve questa rivelazione ma non dobbiamo pensare che sia un caso, esiste una predestinazione in questo incontro, un attrarsi come magneti per giungere nel luogo propizio (fisico e dell’anima) in un istante benedetto.
In questo contesto la trasmissione avviene in modo autentico, senza alcuna sovrastruttura a interferire, esattamente come accade a volte nei miei incontri con gli allievi (nel mio piccolo, non voglio certo paragonarmi a Shiva!), quando il fiume che bagna le reciproche rive rende la terra fertile e i semi sono ben disposti a germogliare per svilupparsi in una vegetazione ricca e rigogliosa. Non sempre accade, ma quando una simile convergenza si manifesta non posso che esserne grata.
Mi appresto ad affrontare un nuovo anno accademico in compagnia dei miei giovani danzatori con le migliori premesse, guardando alla sacralità di questa relazione che troppo spesso diamo per scontata e che invece richiede ogni giorno di ritornare alla purezza cristallina per potersi manifestare nel migliore dei modi. Gli inizi sono sempre un momento importante, in cui si gettano le basi per costruire solidità, così ho deciso di donarvi questo racconto per aprire la nuova stagione della mia fortunata rubrica, per propiziare e proteggere il nostro lavoro, per ricordarci chi siamo e cosa siamo qui chiamati a fare.
Auguro a tutti i colleghi e le colleghe di avere la presenza e la volontà per onorare questo meraviglioso e difficile mestiere che ci siamo scelti, di godere di ogni momento trascorso insieme agli studenti portando gioia e luce attraverso la pratica della danza, di condurre lezioni inclusive e rispettose di ogni diversità di opinione, corpo, ambizione, visione. La danza, questo universo vasto nel quale ognuno può trovare il proprio posto: che il nostro possa essere un atteggiamento di accoglienza e apertura verso le infinite possibilità concesse da questo strumento meraviglioso che abbiamo eletto per esprimerci con la nostra arte.
Evviva la danza!