Lia Courrier: ” Grazie Steven McRae… il tema degli infortuni per chi studia danza”

di Lia Courrier
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Mesi fa, esattamente il 22 novembre del 2022, Steven McRae (principal dancer al Royal Ballet) ha pubblicato sul suo profilo Facebook un post che mi ha molto colpita per l’autenticità con cui è stato scritto, il coraggio e la volontà di trasmettere un messaggio attraverso la condivisione. 

Ne riporto qui uno stralcio:

“I miei dottori e il mio team medico mi hanno consigliato di fare una pausa per proteggere il mio corpo e il mio benessere. Mi scuso se questo deluderà chiunque avesse pianificato di vedere le mie esibizioni ma ho promesso a me stesso, quando ho attraversato il mio viaggio con il tendine di Achille, che sarei tornato più sano e più saggio per evitare di fare gli stessi errori spingendo il mio corpo fino a causargli danni a lungo termine. Credo anche di avere la responsabilità di dare l’esempio alla prossima generazione per far capire loro che la salute deve venire prima.” 

Quella degli infortuni è secondo me una macro-tematica che il mondo dell’insegnamento della danza non vuole o non sa affrontare, oppure non considera importante.  

Nell’ambito formativo di cui mi occupo gli allievi trascorrono molte ore in sala ad allenarsi, e questo ovviamente comporta un maggior rischio di incorrere in infortuni traumatici o degenerazione tessutale a seguito di usura, anche in età molto precoce, proprio per l’esposizione continua e duratura alle sollecitazioni che la danza comporta. 

Il nucleo vibrante e luminoso del post che Steven McRae scrive con grande potenza e semplicità, sta secondo me nel suo sentirsi responsabile nei confronti delle nuove generazioni attraverso il suo esempio. L’ho percepito come un bello scossone a un’attitudine comune nel mondo della danza, ossia quella che considera normale la presenza quotidiana del dolore come parte imprescindibile della pratica di quest’arte. Esiste una frase che ho sentito fin dai miei primi anni con la danza e che purtroppo sento ancora oggi: “la danza è sofferenza”. Davvero non capisco allora perché danziamo: siamo forse dei masochisti? Ci piace soffrire? Percepiamo il dolore come qualcosa che dona un’aura di trascendenza al nostro essere, alla nostra persona? Aggiunge forse pregio a quello che facciamo? Il valore di un danzatore si misura in quanto dolore riesce a sopportare nella sua vita?  

Che sciocchezza. La vita non è mica un film motivazionale. 

Questo sentire diffuso e reiterato negli anni ha largamente programmato la mente di chi affronta lo studio della danza al punto che è considerato normale avvalersi costantemente di antidolorifici o sopportare così a lungo i segnali d’allarme del corpo fino a che non è più possibile attuare una strategia conservativa. Gli insegnanti dovrebbero preoccuparsi della salute dei propri allievi e non sottovalutare mai alcun segnale o sintomo. Il dolore è un indicatore che qualcosa non sta andando per il verso giusto, che sia l’esecuzione del movimento o una questione relativa alla postura, ad esempio, come l’allineamento del bacino, della colonna vertebrale o l’appoggio plantare. Per fare questo l’insegnante ha bisogno, per primo, di emanciparsi da quel programma mentale per cui “se non fa male non lo stai facendo bene” o, ancora, “la danza è sofferenza”. Dev’essere uscito da quell’abitudine di assumere antidolorifici ignorando il dolore anziché osservare cosa c’è al suo interno. Insomma: medice cura te ipsum, medico cura te stesso, perché altrimenti come potrebbe il medico aiutare i suoi pazienti? Per cura qui non intendo analgesici ma ascolto, sensibilità, consapevolezza e soprattutto quella forma di non attaccamento che consente di fermarsi prima che sia troppo tardi, di riposare quando se ne ha bisogno. 

Se l’insegnante per primo non ha lavorato su sé stesso per abbandonare questo atteggiamento autodistruttivo come può accorgersi quando gli allievi abusano del proprio corpo spingendolo oltre il limite? Quale esempio può essere per loro? 

Troppo spesso scopro che i miei allievi usano abitualmente antidolorifici per sopportare il dolore durante le lezioni, quando esiste una modalità di prevenzione che riguarda alimentazione, abitudini, workout personale, riposo adeguato, assenza o drastica riduzione di sostanze tossiche quali fumo e alcol, che possono aiutare a mantenere il corpo sano, vigoroso e allontanare il più possibile l’eventualità di un penoso infortunio. È ovvio che la danza sia un pratica in cui il corpo è protagonista, usandolo ogni giorno può accadere che ci si faccia male, ma molte volte si tratta di eventi drammatici a cui si arriva dopo lunghi periodi in cui si è fatto finta di non sentire. Conosco danzatori adulti che ancora pensano di poter ignorare il dolore o credono di avere le competenze per poter risolvere da soli la questione. Questo per me è un atteggiamento che mette a repentaglio il proprio strumento, il proprio futuro, la propria carriera. Tutti i danzatori del Royal Ballet seguono un programma di allenamento con l’obiettivo di rendere il corpo pronto, resistente e reattivo. Non solo, tutti si lasciano seguire da professionisti che si occupano delle zone in quel momento vulnerabili per riequilibrare il sistema, aiutandoli a mantenere la situazione sotto controllo e senza rischi. 

In molti pensano che andare regolarmente in uno studio di osteopatia o massaggio sia una spesa che si può evitare, ma io invece penso che la posta in gioco sia molto alta e che valga la pena di spendere questo tempo e quel denaro se questo vuol dire evitare di dover stare fermi per settimane o, peggio, finire in chirurgia. 

Credo che nel mondo dell’insegnamento questa dovrebbe essere una tematica da mettere sul tavolo di discussione, poiché oggi la danza prevede una richiesta atletica altissima, a fronte di un corpo umano che è sempre più debole, generazione dopo generazione. Avere attenzione nei confronti dei propri allievi vuol dire osservarli costantemente, notare ogni cambiamento nella loro danza, ogni espressione che possa tradire una situazione di malessere e chiedere, indagare e aiutarli ad ascoltarsi. La consapevolezza del corpo non è soltanto saper eseguire dei movimenti, ma anche sviluppare e mantenere sempre vivo il dialogo interiore. 

Ringrazio personalmente quindi Steven McRae, che non sa neanche che esisto, per questo messaggio importante che certamente sarà arrivato a tanti giovani danzatori che lo seguono sui social, credo sia un post molto più importante e formativo di quelli in cui i danzatori mostrano di aver vinto la lotteria della genetica con numeri da contorsionisti. 

Ph by Leo Holden

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