Lia Courrier: “i concorsi, la competizione e lo studio della danza”

di Lia Courrier
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Durante l’anno accademico che sta per concludersi, ho notato un esponenziale aumento della partecipazione ai concorsi da parte delle scuole. Sulla mia bacheca facebook da mesi pullulano due macrocategorie di pubblicazioni: quelle dei vittoriosi, che vedono foto di giovani ballerini sorridenti che mostrano attestati, premi e coppe, accompagnate dalle parole commosse (a volte esaltate) degli insegnanti, in coda all’elenco dei premi vinti; e quelle dei perdenti, spesso corredate da frasi del genere: “la vera danza non la capisce nessuno”, “anche se non vi hanno premiato per me avete vinto lo stesso” o anche insinuazioni sulla qualità delle giurie. Lo spirito giusto per affrontare una competizione, insomma.

Nonostante mi sia capitato svariate volte di essere invitata a far parte della giuria di un concorso, ho sempre declinato gentilmente perché conosco le modalità di questi eventi, durante i quali, se sei fortunato, rimani inchiodato alla sedia per dodici ore di seguito a guardare milioni di coreografie e onestamente non credo di essere in grado, con la capacità di concentrazione che ho, pari a quella di un pesce rosso, di riuscire a mantenere uno stato di lucidità nel dare poi i punteggi.  Inoltre non credo nel modello della competizione in ambito artistico, fatta eccezione  di qualche raro concorso in cui i ragazzi hanno davvero la possibilità di essere notati da coloro che possano aiutarli a coronare il proprio sogno, ma che operano anche una selezione talmente di alto livello da rendere molto difficile accedervi. Ovviamente nella maggior parte dei casi non siamo davanti a questo genere di eventi, purtroppo, ma al di là di questo la cosa su ci credo ci sia da riflettere è come la capillare diffusione di questo genere di evento risponda ad una domanda chiara, proveniente dall’ambito della formazione coreutica, che è anche uno specchio della situazione attuale.

I premi vinti a questi concorsi sembrano ormai l’obiettivo principale per le scuole di danza, quasi che si debba scegliere il luogo di studio in base a quante coppe e attestati sono esposti in reception. Considerando però la grande quantità di competizioni di vario genere che esistono nel nostro paese, non so quanto si possa far credito al semplice fatto di aver vinto un premio, se non si tiene in considerazione il livello qualitativo della giuria, dei candidati e la professionalità degli organizzatori.

Con il progetto di formazione superiore di cui sono membro del direttivo, abbiamo deciso di introdurci quest’anno al mondo delle competizioni coreutiche, per l’assegnazione di borse di studio. Gran parte delle formazioni professionali utilizzano questi eventi per andare a caccia di talenti, e così anche noi ci siamo avventurate assegnando, a chi meritevole, l’invito a partecipare gratuitamente ad una settimana di lezioni nella nostra struttura. Con grande sorpresa abbiamo notato che alla fine si fa molta fatica a rendere operative queste  borse di studio, per vari motivi che esulano dall’organizzazione del concorso ovviamente, ma alla fine una piccola percentuale dei premiati è poi effettivamente arrivato a riscuotere il premio. Mi chiedo a questo punto: perché si partecipa a questi concorsi? Quanti partecipanti si documentano sulla tipologia di premio prima di pagare le onerose quote d’iscrizione?

Un altro aspetto che nutre i molti dubbi nei confronti dei collezionisti compulsivi di trofei, è che così gli allievi trascorrono la maggior parte dell’anno a provare coreografie per i concorsi e poi c’è anche il saggio di fine anno da preparare. Nei pochi mesi che compongono un anno scolastico che va da ottobre a giugno, quante ore effettive di studio vengono fatte? Che poi dovrebbe essere questa la motivazione principale per cui uno si iscrive ad un corso di danza, apprendere l’arte del movimento. Nessuno vuole togliere importanza all’esperienza della scena, ci mancherebbe, ma onestamente quello che vedo è una esaltazione generale e una febbre irrefrenabile di vittoria a tutti i costi in un contesto che, nella maggior parte dei casi, non fa altro che creare una confusione dilagante tra cosa è danza e cosa è ginnastica ritmica, cosa è danza moderna e cosa danza contemporanea, tra amatoriale e professionale.

Davvero è questo che vogliamo trasmettere ai nostri allievi? Davvero la competizione è un elemento così importante per imparare ad esprimersi attraverso il movimento? Vogliamo dare spazio solo all’aspetto mondano della danza, senza mai spingere gli allievi a chiedersi quali sono le motivazioni profonde che li spingono a tornare in sala ogni giorno? La danza può essere un validissimo accompagnamento alla crescita, allo sviluppo di una visione del mondo basata sull’armonia e sul rispetto, nutrita dalla gioia di condividere esperienze attraverso il corpo, che è il tempio nel quale trascorriamo la nostra esistenza. La danza è un valido sostegno per lo sviluppo culturale, emotivo, spirituale e sociale dell’individuo. Ecco: mi piacerebbe che fosse questo il messaggio che la danza veicola tra i giovani, per salvarli da questo mondo basato sulla legge del più forte, su chi si accaparra più potere e più ricchezza, in una società che abbandona a sé stessi i deboli o i diversi, nella quale comportamenti come il bullismo stanno raggiungendo livelli davvero preoccupanti. Ancora mi chiedo (e contemporaneamente giro queste domande a voi che leggete): perché alimentare oltremodo l’aspetto della competizione, e di conseguenza la divisione, accompagnata da quell’aggressività che è insita nell’idea stessa di agire con l’obiettivo di avere la meglio sull’avversario? 

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