Lia Courrier: “Il prossimo anno accademico e la speranza di lavorare, sempre, in presenza”

di Lia Courrier
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Anche questa stagione di insegnamento della danza volge al termine e per chi, come me, si occupa di formazione residenziale, lo sguardo già si rivolge verso l’inizio del prossimo anno accademico, con la speranza di una maggiore continuità e della possibilità di lavorare in presenza.

Le notizie dell’ultima ora minacciano una nuova ondata, ma io voglio essere ottimista e pensare che non ci sarà bisogno di ulteriori chiusure, specie per la nostra categoria che ha subito maggiormente gli effetti negativi di queste estreme restrizioni. Ma sono pronta ad affrontare qualsiasi prova la vita ci metterà davanti con spirito guerriero.

Il fatto di tornare in presenza e riprendere a fare le lezioni, però, non è certo la soluzione ai nostri problemi, anzi, quello sarà il momento in cui ritroveremo in sala non solo gli allievi, ma tutte le criticità che ci siamo lasciati alle spalle, forse addirittura amplificate dallo tsunami pandemico.

L’instabilità governativa, e la pessima pratica di ogni governo di distruggere ciò che è stato fatto da quello precedente, ha fatto in modo che il nostro sia diventato un paese fermo e ristagnante, già da parecchio tempo prima degli ultimi dolorosi avvenimenti. I lavori sulla legge dello spettacolo, per l’approvazione dei decreti, arrivata ad un passo dalla luce, ha più volte fatto marcia indietro; così come la tanto attesa riforma del settore sportivo, a cui l’allora Ministro Spadafora aveva dedicato tanta energia, rimandata dall’attuale sottosegretaria allo sport Vezzali, a data incerta. Per non parlare della riforma del terzo settore, che coinvolge molte scuole di danza, sempre annunciata e mai realizzata. Il paese è immobile, nonostante le tante emergenze, e di conseguenza anche noi lo siamo. L’agenda del governo ha altre priorità in questo momento, ma questo non vuol dire che le nostre istanze non siano importanti, perché anche noi vorremmo far parte del tessuto sociale come qualsiasi altro lavoratore.

Il governo Draghi (e chi verrà dopo) riuscirà a guardare al nostro comparto rispondendo alle richieste che da anni si sono prepotentemente affacciate sui tavoli di discussione? Chi lo sa.

Certo è che siamo stanchi di queste promesse mai mantenute e che gli sforzi collettivi per portare le istanze nelle sedi preposte, con grande fatica, vengano poi sempre spazzate via e accantonate per qualche motivo. I lavori vanno avanti troppo lentamente, e solo per lo sforzo di quei pochi che continuano a battere il chiodo, e se già ero consapevole che del mio impegno avrebbe beneficiato la generazione successiva, di questo passo neanche i figli dei nostri figli riusciranno a farlo.

Non pensiate che il traguardo sia tornare in sala a fare lezione, quindi, la lotta che ci aspetta è ancora accesa e appassionata, c’è bisogno di tutti, e di essere in grado di guardare oltre alla staccionata del proprio giardino, per quanto bello sia. C’è bisogno di essere informati, di avere una visione ampia e inclusiva, c’è bisogno di avere la prontezza e la forza di non accettare più briciole, ma di pretendere esattamente ciò che serve per fare del nostro lavoro una professione riconosciuta.

Chissà se riusciremo mai ad abbandonare la pratica del giudizio verso l’altro, dell’avversione nei confronti della collaborazione e dello scambio, per abbracciare invece un atteggiamento più corporativo.

Voi che dite?

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