Lia Courrier: in difesa dei piccoli talenti spinti precocemente a danzare come gli adulti

di Lia Courrier
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Questa settimana ritorno ad una tematica che mi sta molto a cuore e di cui non mi stancherò mai di parlare, ossia la salute degli allievi, con un’attenzione speciale nei confronti dei più piccoli, i soggetti più vulnerabili in virtù di diversi fattori: la totale fiducia che nutrono istintivamente nella figura dell’insegnante, la voglia di imparare sempre cose nuove e di diventare grandi, una struttura muscolo scheletrica che non si è ancora formata e quindi suscettibile al cambiamento (il che, come vedremo, non è una cosa positiva ma un fattore di rischio).

Osservo video di bambine prodigio danzare difficili coreografie sulle punte, che onestamente destano la mia preoccupazione, anche perché spesso sono oggetto di condivisione proprio da parte degli insegnanti di danza, accompagnate con parole di approvazione e ammirazione.

La deriva che la danza sta vivendo in questo periodo riguarda una certa focalizzazione sull’aspetto prettamente fisico e virtuosistico del movimento. Su Instagram e YouTube si possono vedere centinaia di danzatori fare pirouette acrobatiche, equilibri su ogni attrezzo propriocettivo possibile e immaginabile, contorsioni estreme che sfidano la fisiologia stessa del corpo umano.

La preparazione tecnica, nel balletto, sta raggiungendo oggi un livello di perfezione fino a qualche decennio fa inimmaginabile, così quando arrivano dei piccoli talenti naturali, la tendenza è quella di spingerli precocemente a danzare come gli adulti. Sto parlando di bambini di otto o nove anni, quindi persino più giovani dell’età a cui si normalmente accede ad un primo anno di Accademia, luogo in cui verrebbero inseriti in un corso di propedeutica, e che invece qui eseguono variazioni di repertorio.

Non so neanche da che parte cominciare a spiegare quanto questa pratica sia sbagliata ed estremamente dannosa per la salute psichica e fisica dei piccoli danzatori.

Cominciamo col dire che il ritmo del progresso ha raggiunto una velocità vertiginosa, e sebbene abbiamo la sensazione che la nostra mente riesca a stare dietro ai cambiamenti, adattandosi alle nuove richieste, nella realtà dobbiamo fare i conti con il fatto che il nostro strumento principale, il corpo, è sostanzialmente quello di Homo Sapiens, con i suoi tempi di sviluppo e di apprendimento. Uno strumento estremamente lento, rispetto alle richieste del momento e alle nostre aspettative.

La struttura muscolo scheletrica finisce di svilupparsi intorno ai 25 anni, prima di questo momento tutto vive nella fluidità e in uno stato di continua mutazione, questo vuol dire che una attività fisica intensa come la danza (che prevede posizioni innaturali, come la rotazione esterna dei femori, ad esempio), che non tiene conto di questa peculiarità, può deformare le ossa o comunque indebolire le articolazioni. Queste ultime, infatti, prima di potersi esprimere nel pieno del proprio potenziale di mobilità, hanno bisogno del supporto e del sostegno di una buona muscolatura, costruita lentamente nel corso del tempo e in armonia con la fase di sviluppo in cui ci si trova. Anticipare i tempi non darà luogo alla presenza di sintomi nel breve termine, nel quale l’allievo riesce ad ammortizzare lo stress, mostrandosi apparentemente in grado di gestire lo sforzo, ma certamente dei conflitti potrebbero mostrarsi in età adulta, a causa di usura precoce, allineamento non corretto delle leve, traumi e lesioni a carico della struttura.

Vedere una bambina di otto o nove anni che esegue una variazione destinata ad una prima ballerina, magari anche bene, ma con le ginocchia non allineate e le caviglie ancora non formate per poter andare sulle punte, con l’intero sistema visibilmente messo alla prova per gestire queste forze eccessive che lo attraversano, onestamente non mi fa sentire a mio agio. Nonostante la bravura dell’interprete non riesco ad esultare o complimentarmi. In realtà l’unica cosa che mi chiedo è chi mai possa aver messo una bambina così talentuosa in una simile situazione, facendole rischiare la sua possibile futura realizzazione di danzatrice, nonché la sua stessa salute di essere umano.

Dal punto di vista etico, il lavoro dell’insegnante di danza dovrebbe essere quello di trasmettere questa arte in ogni suo aspetto, non solo quello fisico e tecnico, ma anche quello artistico. La continua esposizione a modelli di perfezione estetica, cui sono sottoposti i giovani utilizzatori della rete, può portare a diverse reazioni: una è quella dell’emulazione, che può spingere un allievo a tentare di fare le stesse cose, magari in virtù di una predisposizione naturale al movimento, ma purtroppo senza avere gli strumenti tecnici e biomeccanici per poterlo fare in sicurezza e con consapevolezza; un altro è certamente quello di sentirsi inadeguati, di non sentirsi accolti dalla danza stessa, poiché non si è in possesso di un corpo estremo. Estremamente bello, flessibile o atletico.

Dobbiamo chiederci cosa vogliamo trasmettere della danza, se ci limitiamo a ciò che riguarda il corpo, oppure se fin dai primi anni di apprendimento, vogliamo infondere ai nostri allievi anche l’importanza dei dettagli, di tutto quel patrimonio di piccoli movimenti che abbiamo ereditato dalla danza barocca e che fanno del balletto un linguaggio capace di dare vita ad un racconto e non solo a belle forme.

Le nuove generazioni vogliono correre veloci, ottenere risultati nel più breve tempo possibile, è normale, è sempre stato così. Noi adulti siamo chiamati per riportare attenzione al processo, a starci dentro il tempo necessario, ad aiutare gli allievi a comprendere che una forma d’arte ha bisogno non solo di una maturità fisica, ma anche cognitiva ed emozionale. Che esiste un tempo per tutto e non ci sono scorciatoie per nessuno.

Quando abbiamo il privilegio di incontrare un talento puro, siamo chiamati ad onorarlo e rispettarlo, a proteggerlo da ogni pressione, consentendogli di fiorire quando sarà il suo tempo, senza farlo diventare un fenomeno da baraccone da esporre al pubblico, perché a quel punto staremmo seguendo il nostro bisogno egoico e non quello dell’allievo.

Possiamo aiutare i più giovani a capire che quelli che vedono sul web e nelle riviste specializzate sono professionisti, che possono fare quelle cose solo perché dietro a quella posa o a quel movimento c’è il lavoro di anni. Spiegargli che si tratta solo di un gioco che va bene per avere followers, ma che in realtà la danza è molto più di questo, che la tecnica è uno strumento e non un traguardo per un danzatore degno di questo nome.

Perché prima di danzare con le gambe, bisogna saper danzare col cuore.

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