Lia Courrier: la creatività non opera al servizio dell’ego ma è un’energia libera e potente

di Lia Courrier
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Sull’onda della discussione proposta la settimana scorsa, oggi vorrei allargare il campo di osservazione per cercare di comprendere quante sono le possibilità della ghianda di approdare nel contesto giusto per emergere. Non so se avete mai immaginato quanta forza debba avere un germoglio, così tenero e delicato, per poter rompere il guscio del seme e spingersi fuori dalla terra, esattamente la stessa forza di cui un cucciolo di umano ha bisogno per ascoltare e seguire il proprio progetto originario, soprattutto quando questo non trova sostegno e consensi ma opposizione e resistenza su più livelli.

Viviamo in una società che celebra la creatività, travisandone forse il valore più profondo, come una opportunità di emergere dalla massa, di distinguersi, di affermarsi sugli altri alzando la propria voce. La pubblicità continua a dirci che se sei creativo e originale sei smart, sei figo, invidiato da tutti e di successo. La creatività invece, per me, è qualcosa che originariamente tutti possediamo, in forma diversa forse, in risonanza con alcuni ambiti anziché altri, ma che poi spesso viene sommersa da tutto ciò che la società impone in termini di comportamento, pensiero e idee, dal contesto culturale, dai doveri a cui tutti siamo chiamati a rispondere in quanto membri di una tribù. La creatività pura non opera al servizio dell’ego ma è una energia libera e potente che non ama essere costretta a tacere, ma purtroppo, quando questa si manifesta davvero, raramente viene presa sul serio e ascoltata.

Non bisogna mica essere necessariamente degli artisti per essere creativi, l’arcinota storia di Albert Einstein che andava male a scuola ci insegna molte cose su come il talento e la creatività dei bambini venga accolta in classe, dove tutto è regolamentato da statistiche e protocolli, e se non rientri in quegli schemi puoi solo affidarti all’intelligenza dell’insegnante, sperando che riesca a vedere la persona che ha di fronte per quello che è, non per come -secondo i protocolli e i programmi- dovrebbe essere.

Quando guardiamo le produzioni cinematografiche che arrivano da quella industria chiamata Hollywood, restiamo colpiti dalla bravura degli attori bambini, che recitano con la maestria di un professionista consumato, così convincenti e naturali davanti alla macchina da presa. Conosciamo storie di attori famosissimi che hanno iniziato a recitare da piccoli, e questo è possibile anche perché nei programmi scolastici sono solitamente inserite attività che riguardano le arti performative, ed è normale per un giovane studente americano partecipare a laboratori di arte drammaturgica, musica o danza, che sono parte integrante della formazione. Così come i progetti sportivi permettono alle giovani promesse del baseball o del basket di scoprire il proprio potenziale, con l’opportunità di borse di studio in prestigiose università, a riconoscimento del loto talento, allo stesso modo ci sono altri giovani che scoprono di avere la vocazione per il mestiere del palcoscenico proprio grazie a questo tipo di programmi.

Chi mi conosce sa bene quanto io non sia una fan della cultura americana, che possiede parecchie zone d’ombra, ho solo preso il suo eclatante caso ad esempio, ma soffermandoci esclusivamente su questo argomento possiamo facilmente renderci conto di quanto vedersi riconosciuto il proprio talento e le proprie predisposizioni fin da piccoli sia importante, qualsiasi essi siano, per molti motivi e su diversi livelli.

Immaginiamo per un istante che anche i nostri bambini possano avere accesso ad una simile possibilità, sogniamo per un momento di vivere in un paese culturalmente preparato e propositivo nei confronti dell’arte, che preveda la presenza di laboratori di arti performative, per tutti, dalla scuola elementare fino all’università. Quando il riconoscimento del proprio talento viene fatto in un ambito istituzionale, come quello della scuola, viene indirettamente anche confermata l’appartenenza, la legittimità e l’importanza dell’arte performativa all’interno della società stessa. Inoltre in questo modo si insegna a tutti i bambini presenti in quel contesto, non solo a riconoscere il talento nell’altro, ma che quello per l’arte è ugualmente importante di quello per la matematica o le scienze e che tutti saranno accettati e sostenuti offrendo loro le stesse possibilità per realizzare i propri progetti di realizzazione personale. Questo dovrebbe essere l’obiettivo alto della scuola: oltre ad occuparsi della mente dei ragazzi, dovrebbe avere cura dei loro cuori, e dei sogni, a partire dalla peculiarità di ogni bambino, di ogni essere umano, di ogni ghianda, rispettandone la libertà di pensiero e di espressione.

È sempre triste per me incontrare danzatori di talento che per qualche motivo non hanno trovato un sufficiente appoggio per sviluppare la propria passione, e che quindi hanno dovuto soffocare la propria spinta creativa, che però non può essere annientata, ma solo messa da parte, perché la ghianda è parte di noi per tutta la vita: possiamo anche, razionalmente, cercare di seppellirla nei recessi più reconditi dell’anima, ma lei rimane sempre lì. Tutti i bambini dovrebbero avere la possibilità di accedere all’esperienza dell’arte performativa attraverso la scuola, perché anche se non diventeranno degli artisti, potranno non solo diventare il pubblico colto e attento che noi tutti desideriamo avere in platea quando andiamo in scena, ma anche degli esseri umani sensibili e capaci di ascoltare la voce dell’immaginazione.

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