La tradizione è la custodia del fuoco, non l’adorazione della cenere”.
Questa frase è di Gustav Mahler, celebre compositore e direttore d’orchestra austriaco. L’ho trovata nell’introduzione di un trattato di spada giapponese e mi ha letteralmente folgorata, arrivando con un tempismo perfetto dopo settimane in cui molte riflessioni sul mio percorso si sono fatte strada in me. Un cammino del tutto trasversale e poco lineare, quello su cui mi trovo, in cui ho esplorato pratiche, discipline e dottrine molto distanti tra loro al punto da poterle considerare quasi appartenenti a mondi diversi, ma a guardare bene queste esperienze con la danza classica, yoga, trattati di arti marziali e spada, daoismo, biodinamica craniosacrale, inizio a vedere un denominatore comune.
Questo punto d’incontro è il fatto che si tratta di sistemi perfetti, che anche dopo secoli, se non millenni, conservano una profonda significanza, un’autonomia e una straordinaria longevità che li mantiene puri ed efficaci, sempre attuali e coerenti con sé stessi, nonostante i cambiamenti avvenuti nella cultura, nella società, nell’umanità durante il lungo tempo attraverso cui sono giunti a noi. L’attrattiva che questi sistemi hanno su di me, riguarda l’approccio scientifico, puntuale e preciso, che vede al loro interno ogni elemento perfettamente inserito al proprio posto, fluidamente dialogante con tutti gli altri, senza incontrare attrito.
Quelle che ho citato non sono le uniche realizzazioni del genio umano che custodiscono questa ricchezza, ce ne sono molte altre ma ovviamente in una sola vita non è possibile sondarle tutte, si entra in contatto con quelle che più risuonano con i nostri talenti e attitudini.
La frase di Mahler in questo momento rivela significati che sono in perfetta risonanza con il mio sentire. La tradizione è custode del fuoco, qualcosa che brucia, illumina e riscalda, in perenne movimento come tutto ciò che è da considerarsi vivo e vitale. Non è il resto inerte della combustione, raffreddato e privo di vita, che vola via con un soffio e che sarebbe inutile venerare perché vorrebbe dire adorare un cadavere.
Oggi vedo tantissimi piani di allenamento che portano nel nome alcune parole di queste pratiche: Yoga e pilates, yoga alla parete, yoga e danza, piazzati sul mercato del fitness promettendo la tanto decantata “unione” tra corpo, mente e spirito (anche se quella a cui fa riferimento la traduzione del termine sanscrito “yoga” è riferita ad un’altra qualità di unione, ma questa è un’altra storia), di fatto si tratta di allenamenti fortemente orientati all’aspetto fisico, con l’obiettivo di snellire la silhouette, ritrovare la forma fisica, aumentare la massa muscolare, migliorare la prestazione atletica. Tutti aspetti che nulla hanno a che fare con lo yoga, che è un cammino di realizzazione spirituale e non una pratica per dimagrire. Un giorno mi compare una promozione sponsorizzata: “il fisico della vendetta”, con sotto la foto di una modella in abiti attillati, con seni e glutei scultorei mentre, ammiccante, esegue gli esercizi. Un’accoppiata di messaggi che davvero non saprei neanche da dove cominciare ad analizzare per evidenziare quanto sia fuorviante per la trasmissione di un piano di allenamento in cui compare la parola Yoga.
Anche con la danza classica non si scherza. Proprio qualche mese fa campeggiava sullo schermo del mio telefono: “gambe da ballerina in 15 minuti al giorno” seguito da una serie di video in cui una ragazza giovane, bella e fisicamente prestante faceva esercizi ginnici con una mano appoggiata alla sbarra, a giustificare la parola “barre” nel nome di questo tipo di proposta.
Sono consapevole di quanto danza e yoga siano pratiche distanti tra loro: la prima ti porta ad esibirti davanti ad un pubblico e ricevere applausi; il secondo è un percorso realizzato che si compie in solitaria e non ha aspettative riguardo i risultati. Due visioni dell’esistenza che sotto certi punti di vista si trovano quasi in antitesi tra loro, ma rimane il fatto che la maggior parte delle persone che entra in contatto con esse, lo fa per un’esigenza interiore, un bisogno di incontrare sé stessi, un’invocazione che proviene da quella che qui, semplificando, potremmo chiamare “anima”, almeno questa è la mia esperienza. Danzare è stato un richiamo al quale non sono riuscita a sottrarmi, la danza mi ha aiutata a conoscermi meglio, a mettermi alla prova, a vedere fino a dove potevo spingermi, entrare in una relazione più intima con il mio corpo, la mia mente, lottare contro le sfide e le richieste altissime di questa tecnica, imparare a soddisfare ogni giorno l’esigenza di precisione, cura, attenzione ad ogni minimo dettaglio anche quando sembrava impossibile. La danza mi ha insegnato molto, fino a che non è più stata in grado di dare risposte alle domande che premevano da dentro e che mi hanno portata a rivolgere altrove le mie attenzioni e i miei studi.
Di fronte a queste pratiche mi sento piccola piccola come un granello di sabbia, continuo a studiare e ricercare continuamente in questi ambiti senza riuscire a spegnere la sete di sapere, perché si tratta di immensi oceani in cui ci si può immergere per un’intera vita senza poter dire di averli esplorati in modo completo.
Questi piani di allenamento, risultato di improbabili tentativi di ibridazione con sistemi perfetti, per i quali si può ricevere una formazione in un paio di weekend per poi proporli al proprio pubblico, personalmente non mi hanno mai convinta, perché ho sempre amato bere alla sorgente, sono attratta dalla purezza dell’origine di un sistema perfetto, che richiede grande impegno, un certo sforzo e molto tempo per poter essere padroneggiato e compreso, ed è proprio per questo che ti mette nelle condizioni di affrontare non soltanto la pratica in sé ma la vita stessa, donandoti strumenti e consapevolezze che difficilmente potrai ottenere altrove.
Questi sistemi perfetti d’indagine dell’umano e del divino, sono giunti a noi attraverso stratificazioni di informazioni, sedimentate a partire dall’apporto di una moltitudine di menti e cuori, che si sono succeduti con il proprio contributo, anche modificando alcuni aspetti ma senza mai snaturarne l’essenza, con grande rispetto e consapevolezza del fatto che la materia che stavano maneggiando gode di una corposa storia alle spalle. Per poter rompere le regole, insomma, prima le devi conoscere alla perfezione, averle praticate e interiorizzate.
Questo florilegio di programmi di allenamento che cercano di sfruttare la popolarità dello yoga o usare i bellissimi corpi delle ballerine come specchietti per allodole, per battere cassa, proponendone una visione surrogata, in cui padroneggiare fin dalla prima lezione i movimenti proposti, per quanto efficaci per rassodare i glutei, lo trovo fuorviante e fonte di confusione.
Non puoi ottenere le gambe da ballerina se non sei una ballerina, che trascorre ogni giorno molte ore per andare sempre più in profondità in termini di precisione, potenza, controllo, artisticità, musicalità, cura e attenzione in quei dettagli invisibili ai più. Non ha senso dire che stai facendo una tipologia di yoga per ottenere un “fisico da vendetta” perché è proprio questo tipo di afflizione mentale che lo yoga cerca di dissolvere nella mente del praticante.
Credo sia il caso che questi allenamenti scelgano un altro nome, evitando ogni riferimento a pratiche di cui forse non è stata compresa che la superficie, se non il nulla. Abbiamo già grosse difficoltà a salvaguardare quel fuoco di cui scrive Mahler, come vestali, nel disperato tentativo di impedirgli di spegnersi definitivamente. Non dobbiamo avere paura di difendere il nostro lavoro, perché poter dare questo servizio ogni giorno ci è costato tantissimo impegno, tempo e risorse.