Lia Courrier: “La danza non è uno sport”

di Lia Courrier
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Rudolf Laban ha definito la danza “l’arte del movimento”.

Trovo questa definizione particolarmente efficace perché non fa distinzioni tra i vari linguaggi coreutici e sancisce in modo semplice, ma insindacabile, che la danza è una delle arti insieme a musica, pittura, poesia, ma anche scultura, cinema, performance.

Negli ultimi anni in Italia, nell’ambito della formazione coreutica, si sta verificando una deriva ideologica che associa la danza allo sport, equiparando due pratiche corporee che non hanno nulla in comune nei contenuti e soprattutto nelle modalità, con la complicità della legge che ha costretto molte scuole di danza a registrarsi come associazioni sportive dilettantistiche (A.S.D.).

Intendiamoci, io credo moltissimo nello sport e nei valori che può insegnare ai giovani che lo praticano, soprattutto le attività di squadra, che sviluppano nei bambini la capacità di cooperare e di condividere. Non sono qui di certo per discutere quale sia l’attività fisica migliore, non avrebbe senso, ma penso sarete d’accordo con me nel dire, e ribadire, che la danza non è una disciplina sportiva, e chi decide di studiarla dovrebbe essere consapevole di aver scelto una delle arti più antiche. La danza esiste da sempre come linguaggio universale che non ha bisogno di verbalizzazione. Dalla danza rituale primitiva, fino alla creazione contemporanea, nel corso dei secoli è stata cronaca dei tempi, ridefinendo costantemente il rapporto stesso che noi esseri umani abbiamo con il nostro corpo: ecco cosa l’arte del movimento ha rappresentato per noi e per la nostra storia, ed è tutto questo che trasmettiamo quotidianamente ad allievi di qualsiasi età e livello. Il fatto che lo studio della danza preveda un training fisico intenso, necessario per ottenere un corpo allenato, corredato di muscoli forti e reattivi, pronto a rispondere alle richieste della scena e della coreografia con un impegno energetico che potrebbe essere paragonato a quello di un atleta, non deve farci cadere in questo odioso fraintendimento di pensare che la danza sia uno sport. Proprio noi maestri, che siamo qui tutti i giorni a tramandare il linguaggio artistico che amiamo, dovremmo impegnarci maggiormente per proteggere l’antico spirito della danza senza tradire Tersicore, la nostra Musa, aiutando i nostri allievi a comprendere le ragioni che li hanno spinti ad avvicinarsi alla danza, e perché amano lasciarsi ispirare da lei.

Quando osservo i giovani allievi delle scuole di danza, in particolare coloro che si avvicinano alla danza classica, percepisco in loro quella particolare attitudine nei gesti, quella gioia e quel totale rapimento nell’eseguire i movimenti, con uno sguardo estremamente concentrato e fin troppo adulto, caratteristiche proprie di tutti i bambini che scelgono coscientemente questa disciplina. Nonostante nella vita di tutti i giorni siano dei piccoli uomini moderni, perfettamente inseriti nel contesto storico contemporaneo, allo stesso tempo subiscono il fascino di questa disciplina coreutica antica e aristocratica, che agli occhi della maggior parte delle persone potrebbe apparire decrepita e polverosa, al punto da trascorrere ore e ore in sala ad allenarsi, dimenticandosi di tutto e sognando che un giorno la danza possa diventare la loro vita.

Non ci sono gare, non ci sono punteggi, non ci sono esercizi ginnici sempre uguali da ripetere fino a che non si riesce ad eseguirli, secondo un criterio di perfezione che non è lo stesso utilizzato nella danza, e non importa se l’anno dopo perderanno interesse e smetteranno di danzare, non è questo che conta. Li vedo lì, soli davanti a sé stessi, a fronteggiare le piccole sfide quotidiane con il proprio corpo e il proprio cuore, per controllare quei movimenti, combinati in sequenze sempre diverse, con il viso rilassato e mani gentili che pettinano l’aria con le dita. Eccola l’arte del movimento, che si manifesta nella loro determinazione e nella loro atavica esigenza di comunicare tramite il corpo. Un impegno, il loro, che viene ampiamente ripagato dal puro piacere di danzare, a prescindere dal risultato, a prescindere da tutto. Ci si perde nella danza, quando la si ama totalmente, è questo che noi trasmettiamo ai nostri allievi, non ad eseguire meccanicamente dei movimenti, non ad entrare in competizione tra di loro, non alla mera ripetizione reiterata all’infinito, non ad essere i più bravi. Insegniamo loro ad essere sé stessi, fornendoli di strumenti utili per esprimere la loro visione del mondo attraverso il movimento, e credo che questo possa valere per qualsiasi tipo di danza si scelga di praticare.

La danza è un organismo vivo, che è cambiato nel tempo e continua a crescere insieme a noi, adattandosi alla nostra evoluzione, di specie e come individui, espandendosi in tutte le direzioni, temporali e spaziali, coinvolgendo l’aspetto tecnico, ma soprattutto quello emotivo-comunicativo del gesto.

La danza si muove in modo tridimensionale, come solo una forma d’arte sa fare.

No, decisamente la danza non è uno sport.

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