Lia Courrier: “La danza può diventare una zona franca dalle richieste della società, uno spazio in cui esprimersi liberamente”

di Lia Courrier
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Sento fin troppo spesso adulti e anziani ripetere il fastidioso mantra “i giovani oggi non hanno voglia di faticare, non si vogliono impegnare”, come se giovani e adulti appartenessero a due mondi diversi e non alla stessa grande famiglia dove i contributi portati da ogni individualità non fossero condivisi tra tutti. Dall’altra parte esiste una parte di gioventù che usa la parola “boomer” come “appellativo ironico e spregiativo, attribuito a persona che mostri atteggiamenti o modi di pensare ritenuti ormai superati dalle nuove generazioni, per estensione a partire dal significato proprio che indica una persona nata negli anni del cosiddetto “baby boom”, cioè nel periodo compreso tra il 1946 e il 1964”, come ci dice la Crusca.

Queste lotte generazionali mi hanno fatto sempre ridere per la loro inutilità e inconsistenza, sono solo fonte di separazione e conflitti ma è pur vero che sono sempre esistite. Una volta al posto di “boomer” si usava “matusa” ma il succo non cambia.

Vero crimine di questa modalità di pensiero è affogare nel pregiudizio ogni risorsa e ricchezza che l’altro potrebbe offrirci, impedendoci di vedere il mondo da un punto di vista diverso dal nostro, di guardare ai bisogni primari della persona, che cambiano insieme ai tempi e non rimangono sempre gli stessi. Probabilmente è vero che la maggior parte degli adulti, specialmente gli anziani, fanno fatica ad abbandonare i condizionamenti socio-culturali accumulati in anni di esperienza di vita, però è altrettanto vero che non tutti i valori delle vecchie generazioni sono da buttare via e forse potrebbero fornire un elemento a cui ancorarsi in questa “vita liquida”, come la chiama Bauman, che a volte ci lascia in balia delle indecisioni e insicurezze.

Le ultime generazioni mostrano vulnerabilità peculiari, molte nell’ambito psichico ed emozionale. A seguito di queste fragilità, alla cui base spesso troviamo una sensibilità reattiva e sviluppata, molti ragazzi vengono seguiti da professionisti come counselor, psicologi o psichiatri. Una parte di questi giovani presenta comportamenti autolesionisti, disturbi dell’alimentazione, assume psicofarmaci per tenere sotto controllo le manifestazioni di questo squilibrio psichico, oppure può presentare combinazioni di più elementi insieme. Penso che tutti coloro che lavorano a contatto con adolescenti o giovani adulti abbiano potuto osservare questo quadro almeno una volta.

Liquidare la manifestazione di un malessere profondo come una scarsa voglia di impegnarsi vuol dire rifiutare il ruolo dell’adulto che si offre come esempio e sostegno per chi sta affrontando il difficile compito di affermare il proprio ruolo in un mondo sempre più competitivo e omologante. Spesso dimentichiamo che non siamo il prodotto seriale di una catena di montaggio, ma anime che cercano la propria realizzazione, che vogliono solo vivere pienamente la propria avventura terrena, qualunque sia la chiamata a cui ognuno sente di dover rispondere. I disturbi di ordine psichico vengono spesso sottostimati, considerati una sorta di capriccio, viene detto alle persone depresse di uscire a divertirsi o a prendere una boccata d’aria, ad esempio, senza comprendere che per chi si trova nel baratro della depressione persino lavarsi i denti potrebbe sovrastare le proprie risorse interne.

Sulla carta, la pratica della danza rappresenta un validissimo strumento di guarigione, perché permette di contattare la propria creatività, esprimendo ciò che non può essere reso a parole; di muovere il corpo promuovendo la salute fisica e il libero fluire dell’energia. Tuttavia lo studio della danza, specialmente quando la si pratica con obiettivi professionali, pone spesso l’allievo drammaticamente di fronte ai propri limiti, fisici e psichici (percepiti o reali che siano), alle proprie zone d’ombra, alle proprie chiusure interiori a seguito di traumi emotivi.

Tutti noi portiamo dentro ferite che hanno lasciato il segno, qualcuno non le vede o fa finta di non vederle, altre persone invece preferiscono immergervisi dentro per cercare di andare oltre. Spesso quest’ultimo atteggiamento viene vissuto dall’esterno come perdente, e invece io penso che queste siano le persone più coraggiose e fedeli alla propria unicità. Allo stesso tempo si tratta di soggetti che potrebbero aver bisogno di una guida, di qualcuno che li accompagni in questo viaggio nel buio, affinché non vi rimangano intrappolati dentro.

Bisogna mettersi nei panni di questi giovani, assaporare il terreno su cui stanno affondando le radici, guardare al futuro dalla loro prospettiva, e allora forse sarà possibile comprendere alcuni atteggiamenti a volte incomprensibili per le generazioni precedenti. Stanno sbagliando? Non agiscono come dovrebbero? Io non credo. Vedo invece un disperato tentativo di rompere certi schemi, una grande voglia di guardarsi dentro, di cercare risposte alle proprie questioni sospese. Stanno cercando una strada nuova, nel momento della loro vita in cui hanno energia e volontà, convinzioni, ideali e sogni, molti di loro cercano un’esistenza che abbracci più lentezza, relazioni, benessere, percorsi di autoascolto e guarigione, noi adulti non dovremmo opporci a questo processo ma semmai cercare di sostenerli, affinché possano andare verso ciò che desiderano senza ricevere troppi colpi e mantenendo alta la forza di volontà, la determinazione, la chiarezza d’intenti.

Determinazione, questa è la cosa che più li si accusa di mancare, tuttavia secondo me quando gli obiettivi sono chiari la determinazione arriva spontaneamente. Come si potrebbe essere determinati nel perseguire un obiettivo in cui non si crede, o che non arriva da dentro ma è stato imposto dall’esterno?

Noi insegnanti di danza non possediamo strumenti per gestire situazioni di una certa importanza, siamo qualificati per un altro tipo di professione, però certamente possiamo fare molto per alimentare la loro autostima, aiutarli a sentirsi sicuri delle proprie idee quando queste vengono dal cuore e sono il risultato di un processo di pensiero. Aiutarli a vivere una dimensione della danza dove impegno, autoironia, leggerezza e gioia possano convivere insieme. Ovviamente non intendo dire che bisogna alimentare il loro ego, perché non può esserci felicità in questa strada, solo credere in sé stessi e nel proprio potenziale, nonché in ciò che il fuoco di una buona motivazione può fare, se lo si attizza giorno dopo giorno, con pazienza e dedizione.

Di fronte a me in classe vedo persone, uomini e donne, che si giudicano costantemente. Quando faccio apprezzamenti positivi, la prima risposta di qualcuno è sprezzante verso sé stessi: “grazie maestra, ma non penso di aver fatto così bene”. Altri invece interrano le loro insicurezze dietro ad una maschera di ferro e un ego spropositato, che potrebbe essere scambiato per arroganza ma l’esperienza mi fa vedere cosa c’è dietro a quelle provocazioni: il bisogno di essere visti, supportati, amati. Spesso questa seconda tipologia crolla rovinosamente quando il carico emotivo comprime fino a far “saltare il tappo”, rivelando il buco che portano dentro.

Bombardati da immagini di perfezione assoluta con cui sono costantemente in contatto, dove ballerini dai corpi ben proporzionati e definiti eseguono posizioni ai limiti della fisica newtoniana, è naturale che si sia perso il contatto con altri aspetti della danza molto importanti ma meno spettacolari, che riguardano il complesso cuore-mente, è prevedibile quindi che questi ragazzi possano percepire tali modelli come inarrivabili, nonché i propri sforzi e il proprio impegno vani.

La questione non è tanto superare un’audizione o comparire sulle copertine delle riviste di settore, qui si sta parlando di aiutare i ragazzi ad affrontare le sfide senza strategie di evitamento, di imparare ad attraversare le tempeste, di spegnere il giudice interiore o quantomeno abbassarne il volume, perché questo servirà loro nella vita, qualunque cosa faranno. La danza può diventare una zona franca dalle richieste della società, uno spazio in cui esprimersi liberamente, ma solo se nel nostro impegno con loro non saranno reiterati quei meccanismi competitivi ed esclusivi da cui stanno cercando di sottrarsi, altrimenti non sarà altro che una coazione a ripetere, alimentando il già noto senza guardare ad un’alternativa percorribile. Questo è uno dei motivi per cui non sono una grande fan dei concorsi di danza, non mi stancherò mai di ripetere quanto questi eventi, nelle modalità in cui spesso vengono organizzati, siano lontani da quei sani principi che la danza dovrebbe incarnare e trasmettere.

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