Lia Courrier: “La distribuzione delle risorse per lo spettacolo dal vivo è una matassa che non è destinata a sbrogliarsi”

di Lia Courrier
1,3K views

Il settore dello spettacolo dal vivo è uno tra i più colpiti dagli avvenimenti degli ultimi anni. A differenza di altre attività commerciali, che recupereranno presto i guadagni una volta tornati a regime, le sale teatrali (che languivano già ben prima della pandemia, almeno quelle che ospitavano stagioni di non solo botteghino), continueranno a vivere momenti di grande instabilità, perché non mi pare che occupare quelle poltrone sia in cima alla lista delle cose da fare per gli italiani. In più con questo continuo tira e molla di regolamenti e decreti, che sconvolgono tutti i piani nel giro di poche ore, e mantengono sempre viva la minaccia di nuove chiusure, è poca la voglia di progettare produzioni e di acquistare biglietti.

Bisogna dire che le risorse non mancherebbero per cercare di operare una redistribuzione più equa della ricchezza ad oggi disponibile dedicata allo spettacolo dal vivo, che permetterebbe a molte più realtà di sopravvivere al momento. Come al solito l’agenda politica italiana è totalmente inadeguata e anacronistica di fronte alla portata della situazione da gestire, e non ha alcun interesse di guardare al settore e ascoltare le istanze. Alcuni teatri però, quelli che si sono resi fortezza grazie agli appoggi politici di chi li gestisce, come ad esempio -giusto per citarne uno – il teatro Eliseo di Roma, hanno continuato in questi anni a ricevere ingenti sovvenzioni da: FUS (saldi e anticipazioni), Regione, Mibac, Istituti di Credito, nonché ingenti somme di denaro di ristori previsti per i mancati incassi per l’anno 2020. Tutto questo a fronte di zero (hai letto bene, zero) attività svolte. Nel caso specifico dell’Eliseo viene segnalato che in corso ci sono anche delle pratiche di licenziamento per 21 lavoratori e lavoratrici facenti parte dell’organico.

Mentre il Direttore dell’Eliseo continua a piangere miseria ovunque, utilizzando la visibilità che ha ottenuto non certo per meriti artistici, ci sono compagnie che hanno dovuto ripensare interamente il proprio lavoro a partire dal processo creativo, adattarsi a fare spettacolo all’aperto (cosa che ovviamente nella stagione invernale non sarà possibile), reinventare identità e linguaggi, stringere la cinghia compromettendo ovviamente anche le possibilità produttive a disposizione.

Per carità, certamente una bella iniezione di creatività per chi ha deciso di intraprendere questa strada, ma vorrei capire perché non esiste una vigilanza su come i fondi vengono distribuiti a fronte, certo, di mancati incassi, ma anche di assenza di produzioni. Come si possono applicare i vecchi metodi ad una situazione così radicalmente trasformata come quella che abbiamo di fronte oggi? Come si fa a non aver ancora messo sul piatto nuove idee, dopo ben due anni?

Dove vanno a finire questi soldi, ricevuti per la creazione di nuove opere e che non possono essere riconvertiti in altro? Viene da farsele certe domande.

La distribuzione delle risorse nel settore era un problema già nel 1994, anno in cui ho fatto il mio ingresso nel mondo dello spettacolo dal vivo, e ancora oggi questo ambito è come una matassa che non è destinata a sbrogliarsi, anzi.

Il teatro e la danza, se andiamo avanti su questa china, saranno estinti nel giro di qualche anno, o meglio, diventeranno il passatempo di chi ha un primo lavoro, oppure di chi dispone già di ricchezze personali che gli garantiscono da vivere, perché già in questo momento nel nostro paese sono davvero in pochi quelli che possono mantenersi danzando sulla scena, e la quasi totalità di queste persone ha un contratto con una fondazione lirico-sinfonica. Gli altri fanno prove non retribuite per spettacoli non retribuiti in festival ed eventi che non hanno alcuna visibilità, e sto parlando di persone formate per la professione. Per non parlare della qualità dei prodotti, che certamente non sarà in crescita, se la ricerca viene portata avanti da persone che non sono pagate per questo o le cui vite non sono dedicate, vocate totalmente a questa causa.
La creazione artistica è un fuoco che deve essere alimentato, un fuoco vorace che mangia ogni cosa possa servire da alimento per ravvivare la fiamma, non è un mestiere da fare nel tempo libero o da amatori, fuori dai circuiti virtuosi che creano ricchezza e inseriscono questo mestiere nel mercato del lavoro a pieno diritto.

Questa piaga ha ricadute su tutta la filiera, tant’è che per la prima volta dopo almeno 15 anni di grande partecipazione, quest’anno ho dovuto cancellare una mia lezione di balletto rivolta a studenti professionisti, per mancanza di allievi. La cosa non mi preoccupa, per fortuna ho tante frecce al mio arco, e spero proprio si tratti di un momento, transitorio, dopo il quale le persone torneranno a studiare e riempire le sale danza, ma allo stato attuale non è così, e confrontandomi con i miei colleghi mi pare di non essere neanche l’unica ad assistere a questo tipo di fenomeno. Formulando una seconda, più cupa ipotesi, potrebbe essere anche il sintomo di qualcosa di più profondo, di un cambiamento permanente che non prevede di tornare a quella ‘normalità’ che tutti si poggiano sulle labbra, forse per invocarla ma senza poi crederci davvero fino in fondo. Attorno a me il panorama si dispiega con abbacinante chiarezza: molte persone hanno scelto di andare via dall’Italia, un numero maggiore di quello a cui siamo abituati, altri danzatori hanno cambiato lavoro completamente o si sono dedicati all’insegnamento della danza e di altre discipline affini, molte scuole di danza hanno chiuso per non riaprire. Le compagnie sono molto preoccupate perché percepiscono il vuoto che si avvicina dopo questo autunno così intenso e pieno di recuperi delle date andate perse nello scorso anno e in quello precedente. In un simile quadro generale non mi stupisce che non ci siano professionisti per le lezioni che offro.

Per questo motivo vedere il direttore del teatro dell’Eliseo in un’immagine che lo ritrae mentre interviene alla tavola rotonda delle “Buone Pratiche”, organizzata da News Remind insieme al Parlamento Europeo, è l’ennesimo ritratto di un paese alla deriva e di un governo che non protegge tutti i lavoratori ma solo alcuni, quelli che meritano per qualche motivo di essere salvati.

Per gli altri c’è solo l’oblio e la condanna di arrabattarsi fino all’estinzione.

Articoli Correlati

Lascia un Commento