Lia Courrier: “La faccenda della danza non si può affrontare parlando solo di emozioni, perché significa essere avulsi dalla realtà”

di Lia Courrier
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Ultimamente resto davanti al foglio bianco per un tempo che sembra infinito, prima di decidermi ad appoggiare le dita sulla tastiera, perché è necessario che nella mia mente si manifesti un’idea, un concetto, qualcosa di pregnante di cui penso sia importante parlare.

Molte di queste idee riguardano argomenti che so già essere di poco interesse per la maggior parte dei danzatori e degli insegnanti così, per il bene del giornale per cui scrivo, li scarto oppure, come nelle ultime due settimane, ne scrivo pur sapendo che non saranno articoli di particolare successo. Diciamo che mi piace scrivere comunque di questi argomenti per coloro che invece si riconoscono in quelle tematiche e hanno piacere che qualcuno ne scriva, persone che comprendono il mio punto di vista pur non sempre condividendolo.

La faccenda della danza non si può sempre affrontare come se fosse un’entità separata da tutto il resto, abbiamo bisogno di ricordarci sempre quanto la danza sia inserita in profondità nel tessuto sociale, culturale, politico del paese. Parlare solo di emozioni e di quanto è bello ballare vuol dire essere totalmente avulsi dal contesto e soprattutto non considerare quello della danza un lavoro (nonostante poi ci si lamenti sempre dell’assenza dei diritti e del riconoscimento professionale) ma un’attività ricreativa da svolgere nel tempo libero o come seconda attività, insomma: un’occupazione che si pratica anche senza retribuzione pur di farla, che tanto le bollette ce le paghiamo in un altro modo. Considerare la danza come una specie di ambiente magico e fatato che svolazza al di sopra delle più umane miserie striscianti tra cielo e terra, vuol dire condannare la danza (in quanto mestiere e non in quanto attività legata all’umano) all’estinzione. In Italia non siamo molto lontani da questa fase terminale, basta oltrepassare i confini nazionali per accorgersi della differenza.

Qualche giorno fa mi sono soffermata sulla bacheca di Danza Error System (d’ora in avanti DES), su cui campeggiano due post.

Il primo post riporta la dichiarazione del sottosegretario del Ministro della Cultura, Gianmarco Mazzi, presente durante una nota manifestazione milanese dedicata alla danza e quest’anno andata in diretta Rai (si tratta quindi di parole non ritrattabili) in cui esprime la volontà di istituire ben due corpi di ballo nelle Fondazioni Lirico Sinfoniche. Dichiara di essere in costante contatto con A.N.F.O.L.S. (Associazione Nazionale Fondazioni Lirico Sinfoniche) per comprendere quanto tempo sia necessario per realizzare questo progetto che pare essere una priorità dell’esecutivo al punto che – si sbilancia – il Ministero vorrebbe già cominciare il prossimo anno. Poi però aggiunge che non si sa ancora il luogo in cui sorgeranno queste compagnie (ma allora finora di cosa hanno parlato?) e che potrebbero servire gli sforzi congiunti di più di una Fondazione, dal momento che si tratta di un intervento economico rilevante. Ma va? Che scoperta, non lo sapevamo proprio.
Chiosa con un incredibilmente vago e paracù (cit. S. Benni): “ci sarà anche maggiore attenzione al settore delle scuole di danza”. Ma perché, di grazia, il sottosegretario del Ministro della Cultura dovrebbe interessarsi alle scuole di danza che sono per la maggior parte (fatta eccezione per poche Ass. Cult che rientrano nel terzo settore) sotto al Ministero dello Sport?

Un cross-over episode?

Che confusione….sarà perché ti amo. O forse no.

Stando agli aggiornamenti della pagina Facebook di DES martedì 19 settembre si è svolta la prima discussione relativa al disegno di legge per la salvaguardi e il ripristino dei corpi di ballo in commissione cultura in Senato. Ogni volta sembra che ci sia una speranza a illuminare il futuro della danza ma l’esperienza mi ha fatto capire che queste persone spesso si riempiono la bocca quando c’è da lucidare il pelo davanti alle telecamere, salvo poi…a voi l’ovvio finale di questa frase. Vedremo come va questa volta, restiamo in attesa di nuovi sviluppi.

Il secondo post sulla bacheca di DES, invece, riporta una notizia a dir poco nauseante, sconcertante, che però assume i toni del comico grottesco proprio nel suo comparire accanto alla precedente, macchiando di menzogna ogni presunta buona intenzione del Ministero, che non può non sapere della situazione che vado subito a illustrarvi. In un video che accompagna il post (fonte Telenord) una signora sorridente racconta con candore e gaudio che anche per quest’anno hanno rinnovato la collaborazione con il Teatro Carlo Felice, Fondazione Lirico Sinfonica, per cui durante tutto il mese di settembre si svolgeranno le audizioni perché gli allievi della scuola di danza di cui è (suppongo) responsabile faranno parte del corpo di ballo del Carlo Felice.

Scusa, cosa?

Si hai letto bene: allievi di una scuola di danza del territorio genovese saranno selezionati per andare in scena come corpo di ballo, con molta probabilità per le danze delle opere liriche, fino a qualche anno fa interpretate da professionisti detentori di posizione ENPALS.
Ad aggravare la situazione (già ai confini della realtà) bisogna ricordare che il Sovrintendente del Carlo Felice è l’unico, a parte il Presidente di A.N.F.O.L.S., a comparire tra i nomi dei partecipanti a quel Tavolo Permanente della Danza con cui il Ministero si è fatto l’ennesima lucidatura di pelo, facendoci credere che un’azione concreta stava per essere messa in atto quando poi, almeno allo stato attuale, è finita con un nulla di fatto.

Faccio solo un appunto: sul post di DES campeggia il titolone “IL TEATRO CARLO FELICE DI GENOVA AFFIDA LE SUE PRODUZIONI AD UNA SCUOLA DI DANZA PRIVATA” scritto così, tutto maiuscolo. Vorrei solo ricordare che tutte le scuole di danza in Italia sono private, tranne l’AND e il Corso Accademico in Danza Contemporanea della Civica Paolo Grassi. Persino l’Accademia del Teatro alla Scala è ad oggi una scuola privata quindi forse sarebbe meglio optare per “scuola amatoriale” o “scuola professionale” per distinguere semmai gli obiettivi, perché private lo sono tutte.
Ecco, mentre l’intera nazione si esalta per un’affollatissima lezione di danza classica sul cemento, che ci sta alla grande come festa ma non per “portare l’attenzione delle istituzioni sulla questione danza” come qualcuno ha scritto sui post che testimoniavano l’accalorata partecipazione, nell’ambito del mestiere della danza accade questo: welfare deceduto, non pervenuto, assente all’appello.

Oltre ad andarci per celebrare la danza, dico io, in piazza forse bisognerebbe essere presenti anche senza bisogno di dare spettacolo ma per protestare, chiedere condizioni di lavoro migliori per tutti questi ragazzi che – come più volte è stato detto in questa occasione mondana – vivono la loro passione con coraggio e dedizione. Facciamo qualcosa per concedere un futuro per quelli tra loro che vorranno scegliere la professione artistica, che hanno tutto il diritto di poterla svolgere nel proprio paese e in condizioni dignitose anche se non diventeranno stelle internazionali o primi ballerini.

Aggiungo anche che la questione dei corpi di ballo è solo la punta dell’Iceberg, perché il balletto classico è solo una piccola, piccolissima parte del popolo danzante sul territorio italiano. “Salvare” i corpi di ballo non vuol dire salvare la danza italiana, questo deve essere molto chiaro a tutti. Fare qualcosa di concreto per la danza richiederebbe uguali diritti, contratti, ammortizzatori sociali, paghe eque per tutti i danzatori e non solo per i ballerini classici che ad oggi, nonostante le condizioni critiche in cui versano, rimangono comunque i più tutelati.

Ahimé, anche questa settimana non sono portatrice di buone notizie ma non è colpa mia, io le trasmetto solamente per cercare di smuovere le coscienze e portare attenzione su ciò che accade al di là delle scintille della scena, a volte così potenti e abbaglianti da oscurare tutto il resto.

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