Nella settimana appena passata le mie ragazze sono state, ancora una volta, le mie guide, i miei maestri. L’anno scolastico volge quasi alla sua fase finale e noi insegnanti stiamo progettando non solo i vari esami tecnici e le coreografie che saranno l’obiettivo finale per ogni anno di formazione, ma stiamo anche ultimando il programma didattico. Un periodo denso di lavoro e di aspettative.
Tolte le vacanze di Pasqua ormai prossime, non rimane molto tempo: anche io sono ben centrata sui nostri obiettivi. Dico “nostri” perché ovviamente non posso raggiungerli da sola, ho bisogno di tutta la loro presenza, attenzione e collaborazione.
Vedo questo gruppo per tre giorni consecutivi, nell’ultimo dei quali cerchiamo di eseguire senza pause tutto il materiale della settimana, per dare ritmo alla lezione e per riuscire a completare la sessione di salti. Con questo proposito parto a tutta birra con spiegazioni ridotte al minimo, giusto l’incipit della sequenza (per mettere alla prova la loro memoria) e senza pause tra gli esercizi: un ottimo metodo per incrementare forza, durata, capacità di focalizzazione, resistenza, autonomia e molte altre abilità indispensabili.
Così ci salutiamo e via, si parte con il punto di arrivo ben chiaro stampato nella mente.
Dopo i primi due esercizi sento chiaramente che l’atmosfera non è delle migliori, ma poiché un attimo prima avevo parlato loro di come intendevo organizzare il lavoro in vista dell’esame, pensavo di aver abbassato il morale della truppa con quei discorsi. Fatto sta che dopo un’altra manciata di esercizi, proprio davanti ai miei occhi, vedo i loro visi rigati da lacrime. Sul momento, a dire il vero, mi sono anche spaventata pensando che fosse successo qualcosa di grave o che io avessi detto qualcosa che poteva averle sconvolte, senza volere ovviamente. Dopo un breve interrogatorio, in cui mi sentivo un agente della CIA perché non si sbottonavano, salta fuori che sono stanche. Lo so, so che qualcuno in questo momento starà pensando che sia un’esagerazione, un capriccio, che questi giovani d’oggi bla bla bla, ma quella stanchezza la potevo vedere impressa nei loro corpi, nelle loro posture, nei loro sguardi.
Ho chiesto se volessero fermarsi e parlare di quello che stava accadendo, di ciò che sentivano, ma i danzatori sono come militari, il senso del dovere li spinge a continuare anche quando hanno totalmente esaurito le risorse, ma dal mio punto di vista quella è una danza che non andrebbe mai eseguita, neanche se sei un professionista o un aspirante tale. La danza dovrebbe rigenerarci, farci esplodere il cuore di gioia, se danzare diventa un peso allora è il momento di prendersi una pausa. Anch’io ho ricevuto una formazione simile alla loro, con giornate infinite in cui le lezioni si succedevano una dietro l’altra senza neanche il tempo di fiatare, passando da una visione all’altra, da una tecnica all’altra, da un maestro all’altro. Si tratta di uno sforzo immane non tanto per il corpo quanto per la testa, che deve rimanere sempre fresca e reattiva nonostante la mole di informazioni ricevute, che bisogna immagazzinare, digerire e metabolizzare. Ricordo però che il più delle volte la stanchezza veniva spazzata via non appena si cominciava a danzare, per poi ripresentarsi ancora più devastante alla pausa successiva. Nel caso delle mie fanciulle, però, la stanchezza era così profonda che neanche il potere della danza riusciva a dissolverla, così dopo un po’ abbiamo deciso insieme di fare un cerchio di scambio.
C’è una celebre frase di Pina Bausch, che se la stessa Pina potesse tornare indietro, secondo me eviterebbe di pronunciarla perché l’ho trovata scritta davvero ovunque. Non frequento i bagni dell’Autogrill, ma non escludo che possa comparire anche lì, insieme a quella di Martha Graham sulle braccia come ali. Quella frase recita così:
“Certe cose si possono dire con le parole, altre con i movimenti, ma ci sono anche dei momenti in cui si rimane senza parole, completamente perduti e disorientati, non si sa più che cosa fare. A questo punto comincia la danza”.
Come non essere d’accordo? Alla fine chi sceglie la via del movimento danzato lo fa proprio per poter esprimere ogni nuance nel caleidoscopio delle emozioni umane senza ricorrere al potere limitato delle parole, ma altre volte è proprio parlando che si possono sciogliere i nodi. Essere visti e ascoltati in modo autentico, senza giudizio, solo con l’intento di ricevere e accogliere quello stato, in quel momento preciso, può essere liberatorio. Non è la prima volta che uso il tempo che ho a disposizione con loro per parlare, ogni volta che capita immagino che loro si aspettino da me delle risposte o delle soluzioni alle questioni che mettono sul piatto, essendo un’adulta con esperienza nell’ambito della danza, così al cospetto della classe mi sento intimorita, peso le parole, spero sempre di avere qualcosa di intelligente o di pertinente da dire.
Per questa occasione ho deciso di essere trasparente, di ascoltare, di supportare con la mia presenza, che ho cercato di mantenere il più possibile calma e centrata, per quanto le loro emozioni mi colpissero violentemente. Come immaginavo, quella stanchezza era una matassa aggrovigliata di tante emozioni diverse che hanno a che fare con il passato, ma anche con il futuro, questo grande baratro oscuro, ancora senza forma, di cui sentono l’inesorabile appropinquarsi, visto che sono all’ultimo anno. Ha a che fare anche con il presente, i momenti di crisi ti investono come treni, facendoti dubitare di ogni cosa. Sono momenti che capitano a tutti, e di solito sono custodi di semi importanti, di processi di crescita, credo anche sia naturale che arrivino proprio in questo momento, considerando anche come hanno affrontato gli ultimi due anni di formazione: clima di pesante incertezza, isolamento, paure varie, consapevoli o no.
Loro sono le mie guerriere coraggiose, le amazzoni selvagge che sanno seguire il cuore sopra alle ragioni della mente, perché la danza è una questione di pancia, si fa con gli intestini, con i genitali, mai con la neocorteccia. La danza è un basso istinto che ti fa volare alto, è un richiamo a cui rispondi con l’addome, senza possibilità di sottrarti, per questo siamo ancora lì, anche se stanche e ferite. Alla fine di questa tavola rotonda, dopo le lacrime sono anche arrivati i sorrisi, è stato come abbracciarsi per darsi forza, ripartire con una nuova spinta, un bel momento in cui ci siamo messe a nudo, una davanti all’altra, mostrando le proprie vulnerabilità: il gesto dei potenti.
Una delle lezioni più belle di sempre.