Carissimi colleghi e allievi, come state?
Qualcuno di voi ha già varcato la soglia di una sala danza?
Io ancora no, ma sono in procinto di farlo molto presto, in un contesto prestigioso con il quale ho il privilegio di collaborare da anni. Nutro profonda gratitudine nei confronti di chi mostra interesse verso la mia visione del balletto che non è certamente cosa da dare per scontata, dal momento che si tratta di un approccio trasversale, non accademico e neanche ortodosso
La prima lezione da insegnante di danza classica me la ricordo molto bene: era il 2001 e per una serie fortuita di casi, quando si dice essere nel posto giusto al momento giusto, vengo ingaggiata come docente in una formazione professionale di Milano. Nonostante all’epoca fossi molto più sicura di me di quanto non lo sia oggi (nel frattempo ho studiato tanto e si sa che più approfondisci e più scopri di non sapere), la sera prima non riesco a dormire per l’agitazione.
Un’emozione comincia ad affiorare sulla superficie della mia consapevolezza, i suoi contorni divengono sempre più definiti e diventa impossibile sbagliarsi: si tratta proprio di paura.
Negli anni precedenti avevo avuto solo qualche esperienza con i corsi dei bambini e mi ero presto resa conto della mia inadeguatezza umana, tecnica e didattica. Mi era anche capitato di dare qualche lezione in compagnia, giusto come riscaldamento prima delle prove ma niente di ufficiale. Con questa esigua esperienza e molti dubbi mi faccio coraggio ed entro nella mia classe, dove una ventina di ragazzi, che avranno avuto giusto qualche anno meno di me, aspettano che cominci a dare istruzioni.
Sento le gambe malferme e un enorme peso sulle spalle che quasi mi mette in ginocchio, ma cerco di dissimulare e penso che probabilmente è come quando si va in scena: in quegli ultimi istanti un attimo prima di oltrepassare la cortina della quinta è come se le emozioni potessero farti esplodere il corpo ma poi, una volta in scena, tutto fila liscio (più o meno). Allora comincio a parlare, non senza qualche difficoltà a trovare velocemente le parole, sento le guance e le tempie calde e penso che probabilmente la mia faccia in quel momento avrà lo stesso colore del peperone. Poi per fortuna arriva il linguaggio del corpo a salvarmi, il syllabus del balletto, quel codice che parla da sé e non ha bisogno di molto altro. Da quel momento riacquisto un po’ di fiducia, il suono della mia voce si stabilizza ed è così che comincia la mia avventura come insegnante di danza. In realtà non è che poi sia filato tutto liscio (e te pareva) ma è stato come se il lavoro stesso mi indicasse la strada da compiere, giorno dopo giorno, pasticcio dopo pasticcio, apprendimento dopo apprendimento, con grande umiltà e tanto ascolto.
Quando non hai il bagaglio sufficiente per creare attorno a te un campo di autorevolezza, può capitare, purtroppo, di abusare della posizione che occupi ribadendo la tua autorità. Mi dispiace moltissimo per gli studenti che ho incontrato in quei primi anni, ma come tutti gli umani sono imperfetta e tendo a sbagliare. Quello che ho sempre cercato di fare, però, è imparare dai miei errori, riconoscerli, e da lì ripartire.
Ad ogni modo da quella prima lezione, di cui serbo un ricordo tanto limpido che sembra avvenuto solo ieri (e invece sono passati 21 anni) quella sensazione di timore è rimasta. Ogni volta che devo incontrare un nuovo gruppo oppure che nella solita classe c’è un nuovo elemento, quel timore bussa alla porta, chiedendomi di focalizzare la mia attenzione ancora più di quanto non faccia già, scegliere bene le parole, avere un atteggiamento inclusivo, dare attenzione a tutti cercando di individuare per ognuno sia i punti forti che le aree di miglioramento. Mi emoziona sempre questa fiducia con cui gli allievi si mettono nelle mani dei maestri che hanno davanti, è una responsabilità enorme che a volte penso di non riuscire a sostenere ma poi, per fortuna, l’esperienza accompagna il mio incedere e mi fa trovare sempre nuove soluzioni per problemi che magari non avevo mai affrontato a proposito di tecnica, peculiarità dei corpi o la psiche di questi ragazzi che ogni anno seguo per un breve tratto di cammino.
Per una intera settimana, la prossima, incontrerò un nuovo gruppo per due lezioni al giorno: una di danza classica e una di yoga. Terrò per loro anche una conferenza, attività che mi piace moltissimo: parlare con loro, ascoltare i loro punti di vista sulle cose, portare il mio racconto della danza attraverso prospettive sempre diverse.
Il timore reverenziale che nutro nei confronti di un gruppo di studenti è quella energia che mi mantiene sempre in stato di allerta e mi fa ponderare i passi (non solo quelli di danza). Allo stesso tempo però è presente anche la gioia della danza, il piacere del movimento e della dinamica. Intravedo già la bellezza di ricominciare a fare quello che in tutti questi anni ha continuato a conquistarmi ancora e ancora.
Mi piacerebbe sapere dai miei lettori se anche voi avete vivete simili emozioni, sia come insegnanti che come allievi. Raccontatemi la vostra esperienza, sarò felicissima di leggerla.