È appena andato in scena al Teatro alla Scala il balletto “Giselle” con la coreografia di Coralli/Perrault e le splendide musiche piene di pathos di Adam.
Una buona occasione per fare qualche riflessione su questa partitura coreografica che ogni ballettomane conosce a memoria scena per scena. La mia relazione con quest’opera è cambiata nel corso degli anni, così come la comprensione della profondità di questo personaggio femminile solo in superficie vulnerabile e debole.
Inizierei proprio dal significato del nome scelto per la protagonista: Giselle, che deriva dal germanico Gisil, che significa “promessa”, ma anche “ostaggio” o “pegno di fede”. Non fu scelto a caso, quindi, dal momento che questo nome rappresenta fedelmente il fato di questa fanciulla, come una sorta di predestinazione. In effetti dopo la prima rappresentazione del balletto si registrò un sensibile aumento di bambine per cui era stato scelto questo nome, che suona così bene in bocca, dolce, soave, delicato come la corolla di un fiore spontaneo appena dischiuso.
Quando ero piccola mi sentivo attratta da balletti più spettacolari (che per me voleva dire tante danze, corpo di ballo, colori, variazioni, energia esplosiva) e meno cupi di questo. Giselle mi piaceva, ma non era tra i miei preferiti, come la triade Lago-Bella-Schiaccianoci. Anche il Lago dei Cigni è una storia cupa, ma quella di Giselle era troppo struggente per me bambina, ogni volta che guardavo la scena della pazzia mi dispiaceva tanto vedere quella giovane ragazza, che fino ad un attimo prima sembrava non solo il ritratto della salute ma anche della gioia, perdere il senno e poi stramazzare a terra morta all’improvviso. Quando si lasciava cadere tra le braccia della mamma, dopo l’ultima corsa verso di lei, mi veniva da pensare a quanto potesse sentirsi in colpa Albrecht per averla spinta a tanto nonostante le raccomandazioni della madre. Mi sembrava proprio una di quelle situazioni in cui ci sono tutte le premesse perché le cose vadano nel peggiore dei modi ma nessuno fa nulla per fermare il susseguirsi di eventi nefasti. L’atto delle Villi mi piaceva perché c’è tanta danza e in qualche modo percepivo la magia di quell’atmosfera, mi sembrava il sogno di una fata, ma non ne comprendevo il significato più profondo e la grandezza del cuore di Giselle che in forma di spirito trascende verso la qualità più pura e alta dell’amore.
Nell’età dell’adolescenza attraversavo una fase di ribellione a tutti gli stereotipi, mal sopportavo queste storie in cui le donne si struggevano per amore fino a rimetterci la salute, lottavo contro il patriarcato a fianco di gruppi di femministe e quindi consideravo la storia di Giselle come qualcosa di anacronistico, che non aveva più ragione di essere rappresentato ai nostri giorni, che sosteneva un modello di educazione femminile che rifiutavo categoricamente, a favore di un’idea di donna libera, risoluta e indipendente, specie dai maschi.
Oggi ogni volta che guardo questo balletto mi commuovo, perché comprendo la potenza di questa storia. Credo bisogna aver vissuto un po’ di tempo per poter apprezzare questo balletto nella sua essenza, per immergersi nella profondità, nella purezza.
Innanzitutto in questo balletto sono rappresentate tutte le emozioni umane, esiste un bellissimo contrasto tra il primo atto, in cui vediamo la società rurale e campagnola, festosa, piena di colori, profumi, senso di condivisione, voglia di gioire degli elementi della natura e della vita stessa e il secondo atto che ci porta in un paesaggio incantato ma freddo e oscuro, in cui gli spiriti delle donne morte per amore, guidate dalla regina delle Villi, attendono il momento propizio per attuare la loro vendetta nei confronti degli uomini che le hanno tradite. Lei, Giselle, è diversa dalle altre, non si nutre di queste emozioni oscure, riesce a contattare la parte più pura del suo cuore e a perdonare Albrecht, in un gesto che è l’essenza stessa dell’amore perché perdonare non vuol dire dimenticare ciò che è stato, ma accogliere l’altro nonostante ciò che è stato, un gesto talmente grandioso e nobile da toccare il cuore di Albrecht, trasformandolo: non vendiamo più il giovane dongiovanni corteggiatore del primo atto, ma un uomo adulto, autenticamente addolorato, disperato per la morte di Giselle, che non teme di addentrarsi da solo nel bosco in cui è sita la sua tomba pur di starle accanto per un’ultima volta.
Esiste anche la tematica sociale in questo balletto: il nobile che per educazione culturale si sente superiore e crede di poter giocare con la vita degli altri, considerandoli pedine a sua disposizione. Ho sempre nutrito simpatia per il personaggio di Hilarion, perché la coreografia stessa, i costumi, il trucco, ogni dettaglio è creato per farlo sembrare rozzo e goffo, il motivo per cui il suo amore per la bella e delicata Giselle non può essere corrisposto, ma lui vuole sinceramente bene a Giselle e quando scopre la vera identità del bellissimo Albrecht, che si era finto un popolano per conquistarla, agisce col solo intento di metterla in guardia. Hilarion è l’unico che cerca di fermare il corso degli eventi verso il terribile destino di Giselle, ma purtroppo nessuno lo ascolta fino a che non si sente costretto a compiere un gesto estremo che ferirà la sua amata, le spezzerà letteralmente il cuore, pur di porre fine alla menzogna. La domanda è: chi uccide Giselle? Hilarion, che le mostra brutalmente una verità troppo dolorosa, oppure Albrecht, che l’ha ingannata facendole promesse che mi avrebbe potuto mantenere? Certamente entrambi peccano di superficialità, ma la risposta a questa domanda per me è molto semplice, perché le sono le intenzioni alla base delle azioni dei due ad essere differenti.
La coreografia di questo balletto è un gioiello di musicalità, creatività, potenza drammaturgia del gesto. Le movenze sono state studiate con grande coerenza, dal primo atto con le danze dei contadini, che sembrano giocare, scherzare, divertirsi comunicando attraverso il corpo; all’atto bianco in cui i movimenti sono così sospesi e perfettamente aderenti alla partitura musicale da portarmi in una dimensione ultraterrena, spirituale, in cui non c’è posto per il superfluo. Tutto ciò che è presente è lì perché indispensabile per la bellezza della danza e per la comprensione della storia: gli sguardi, i movimenti delle braccia, della testa, gli sfioramenti, la dolcezza e la luce che si emana dal contatto soprannaturale tra i due protagonisti, questo sfiorare la terra che crea l’illusione che Giselle possa davvero sollevarsi da un momento all’altro, mi portano vicino al cuore di questo personaggio, al suo dolore apparentemente inguaribile, ma che in questa dimensione viene dissolto dal perdono, dal pentimento di lui, in una riunificazione che non avviene nella carne ma nello spirito, e quindi eterna.
Alla fine di questa tragedia quello che rimane è solo luce.