Uno degli aspetti che più mi colpisce di un danzatore è la sua capacità di divenire musica attraverso il corpo, come diceva Balanchine: fare della propria danza “una musica da vedere con le orecchie e un movimento da ascoltare con gli occhi”.
Nelle nuove generazioni di superstar del balletto non sempre questo aspetto è al primo posto, eppure per lo spettatore non esiste niente di più appagante che percepire una totale aderenza tra ciò che arriva allo strumento sensoriale uditivo e quello che entra attraverso l’organo della vista. Questa deriva puramente tecnicistica ed estetica che pervade la danza di questo secondo millennio, a parte qualche raro caso eletto che non può che meritare la mia più sincera ammirazione e stima, porta i danzatori a puntare alla quantità, e questo spesso a discapito della musicalità, al punto che a volte la musica sembra una semplice colonna sonora che fa da sottofondo ad una successione di passi dal coefficiente di difficoltà vertiginoso.
Nelle variazioni maschili in particolare, mi è capitato più volte di vedere come il direttore si ritrovi a sospendere l’intera orchestra prima dell’accento finale, in attesa che la star di turno finisca le sue decine di pirouette, al punto che potrebbe anche andare al baretto per un caffè con la sambuca e una chiacchiera col barista, tornando sul podio giusto in tempo per completare la partitura.
In alcune creazioni di balletto contemporaneo invece è sparito il concetto di fraseggio, di sospensione e di pausa, e la costruzione coreografica sembra nata dalla domanda: quanti movimenti posso riuscire a infilare in una battuta musicale? Le danzatrici si muovono freneticamente, senza quasi neanche respirare, dimenandosi in numeri acrobatici sulle punte, e passi a due in cui le gambe vengono talmente disarticolate e le schiene inarcate, che ogni tanto, mentre guardo questi spettacoli irrigidita sulla sedia per lo sforzo, temo che le ballerine possano smontarsi sotto alle mani dell’incredulo partner. Splatter Ballet.
Un danzatore che dà valore alla musicalità nel suo movimento quasi mi commuove, quando vedo delle pirouette musicali, pulite e sostenute, chiuse perfettamente in tempo senza l’aiutino del direttore d’orchestra; quando il corpo si allunga e si contrae, si espande e respira in una relazione sinestetica con la musica, e quando tutto questo è pensato in relazione alla drammaturgia del personaggio che si sta interpretando, io so che sono di fronte ad un artista. Eh si, perché la pirouette di Basilio non è come quella di Albrecht. Perché un piques arabesque di Odette non è come quello di Giselle. Un port de bras di Romeo è diverso da quello di Solor. E’ una questione di cultura, di presenza, di una chiarezza nell’intenzione che secondo me davvero fa la differenza.
Nelle mie classi insisto molto su questo aspetto e certamente lo faccio per trasmettere un’idea della danza più profonda e completa, che non si limiti solo alla tecnica e all’estetica. Ma se devo essere totalmente sincera, in realtà lo faccio soprattutto per me, egoisticamente, perché veder danzare fuori musica è una delle cose che più mi infastidisce. Mi innervosisco facilmente per un grand battement slanciato fuori dal tempo musicale, divento antipatica e malmostosa quando qualcuno non riesce ad assimilare immediatamente i giochetti musicali che mi invento per allenare la capacità di cambiare ritmo continuamente. Mi sale un moto di stizza quando si tende a correre nell’adagio per poi inseguire la musica ed essere sempre in ritardo sui salti. Potrei togliere il saluto a qualcuno per un finale di esercizio eseguito in ritardo. Ma la cosa che più di tutte mi fa issare i peli sulle braccia, salire il calore alle guance, dilatare le pupille, insomma: quello che mi trasforma in un licantropo del balletto è la falsa partenza nella diagonale di grande salto.
A seconda di come la coreografia viene costruita si rende a volte necessario partire nella frase precedente con la preparazione al salto, che poi verrà eseguito sul primo conto della prima frase. Ebbene ogni volta che si presenta un’occasione di questo tipo, so già che trascorrerò tutto il tempo a dire alle persone di prepararsi in tempo per poi dargli l’attacco musicale della partenza. Un gruppo via l’altro così, perché se non lo faccio, metà di loro non riuscirà a partire. E’ un mistero per me come si possa non sentire la spinta decisa della musica verso l’alto, preferendo partire a caso, con l’accento musicale che ti colpisce come una bella padellata in testa proprio mentre cerchi di librarti nell’aere. In queste occasioni mi sento come gli uomini radar dell’aeroporto, con le bandierine in mano a segnalare le manovre di decollo.
In vita mia non ho mai contato la musica, l’ho sempre sentita a pelle, o nel cuore, chi lo sa, è una specie di istinto, ma poi diciamocelo: non è che le musiche della lezione siano particolarmente complesse da seguire, il ritmo e la metrica sono regolari, e di solito si tratta di un solo strumento, il pianoforte. Insomma, se già si ha difficoltà ad essere musicali con questa partitura così semplice, come si potrà pretendere di essere musicali su un brano di Luciano Berio o di Stockhausen? Eppure anche quelle partiture sono scritte su un foglio!
Ragazzi siate musicali quando danzate, il fraseggio deve emergere da ogni cellula del vostro corpo, siete voi la musica, non quella al pianoforte che vi accompagna. Per favore non fatemi saltare la pazienza, coccolate la mia sensibilità musicale cantando forte con il corpo ad ogni gesto! Dai, su: sette e otto.