Lia Courrier: “La nascita della danza è tutta italiana”

di Lia Courrier
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L’ultimo articolo, pubblicato ormai due settimane fa, mi ha fatto collezionare un tale quantitativo di commenti incendiari, indicibilmente e ingiustificatamente aggressivi, che insieme al Direttore abbiamo deciso di prenderci una settimana di pausa per lasciar decantare tanta energia devastante. Il linciaggio mediatico subito è la conseguenza del mortale peccato da me commesso per aver anche solo pensato (figuriamoci scriverlo e pubblicarlo) di togliere alla danza classica il suo status di apice assoluto dell’espressione umana, osando spingerla un po’ a latere dal cuscino di broccato posto sul trono nell’olimpo assoluto dell’Arte, per fare posto anche ad altro. Questa settimana, per epurarmi da un tale atteggiamento oltraggioso, per cui brucerò tra le eterne e infernali fiamme punzecchiata da satanassi in tutù, ho deciso di dedicare uno spazio per raccontare le origini di questo antico linguaggio.

“Nascere non basta. È per rinascere che siamo nati. Ogni giorno”

Con questo denso nettare di poesia, quasi un haiku, Pablo Neruda descrive ciò che ai miei occhi appare come il senso più profondo dell’essere e dell’esistere: continuare a morire a sé stessi per evolversi, come un insetto si libera del suo vecchio carapace, non più adeguato al tratto di esistenza che sta vivendo. La danza, così come qualsiasi espressione umana profondamente legata alla vita, non può esimersi da questo processo, e si dimostra essere un’arte dalle molteplici nascite e dalla continua trasformazione. In peggio o in meglio è solo una questione di gusti personali, ma certo è che la danza non resta mai uguale a sé stessa e cercare di trattenerla, di impedirle di cambiare, non è che un vano sforzo pari al cercare di svuotare il mare con un bicchiere.

Molte persone, tra chi non studia balletto, potrebbero pensare che la danza sia nata in Russia. Altri, i più informati, invece, conoscono l’apporto che la Francia ha dato al suo sviluppo, grazie a Luigi XIV, lo splendente Roi Soleil, grande sostenitore di quest’arte nonché ballerino lui stesso. Poche persone, invece, sanno che l’origine del balletto è tutta italiana, in seno a quel grande grembo fertile che è stato il Rinascimento, più precisamente alle corti medicee, nella città di Firenze.
Durante il Medioevo il rigore, l’austerità e i severi ammonimenti della Chiesa avevano tarpato le ali alla libera espressione della gioia a cui la danza è indissolubilmente legata. Il libero fluire dell’energia nella mente e nel corpo era in qualche modo depauperato dalla cupezza che permeava quest’epoca tutta, almeno rispetto a quelle precedenti. Con il Rinascimento queste imposizioni vennero progressivamente dissolte e quindi l’atto di danzare tornò ad assurgere al ruolo che gli spetta, ossia la celebrazione della vita stessa, la leggerezza, la spensieratezza.

Il ballo diventa una forma di intrattenimento molto praticata durante matrimoni, celebrazioni e festeggiamenti, ed è in questo contesto che si impone la figura del teorico e maestro di ballo, ossia colui che realizza i movimenti e la regia di questa primitiva forma di spettacoli danzanti. Con la nascita di queste nuove figure comincerà una progressiva perdita di spontaneità del movimento libero, per dare spazio ad una progressiva strutturazione di un sillabario e di una tecnica per eseguire i movimenti, portando alla nascita di una danza d’élite che si differenzia dal contesto delle danze popolari. Da questo momento in avanti queste due forme di espressione danzata -quella popolare e quella aristocratica – prenderanno strade differenti e si svilupperanno in contesti diversi.

Sono tutti italiani i nomi degli autori di vari trattati che, a partire dalla fine del 1400, getteranno importanti basi allo sviluppo di quest’arte, e porta un nome italiano il fondatore della prima scuola di ballo, nel 1545, nella città di Milano. Pompeo Diobono fu maestro di numerosi ballerini, tra cui Cesare Negri, a cui dobbiamo le poche notizie su questo pioniere della danza che ha avuto l’intuizione di fondare una scuola ben prima che arrivasse Roi Soleil con la sua Académie Royale de Danse, datata 1661.

Alcuni di questi trattati sulla tecnica della danza contribuirono a stabilire in Italia il nucleo vibrante per lo sviluppo dell’arte della danza: “L’arte di ballare e dirigere danze” (de arte saltando et choreas ducendi) di Domenico da Piacenza; “opuscolo in volgare sulla pratica o arte del danzare” (De pratica sei arte tripudio volgare opuscolorum) di Guglielmo Ebreo; “Il libro dell’arte di danzare” di Antonio Cornazzano; per finire con il famoso “Il Ballarino” ad opera di Fabritio Caroso.
Italiano è anche il creatore del primo balletto a potersi considerare tale: Baldassarre Baltazarini da Belgioioso, naturalizzato francese come Balthasar de Beaujoyeux.

Caterina de’ Medici, regina consorte di Francia, portò nel suo paese d’adozione moltissimi artisti italiani del ballo, regalando alla danza la via per una seconda nascita, che comincerà poi alla corte di Luigi XIV. Il Ballet Comique de la Reine è la sontuosa rappresentazione ideata da Balthasar de Beaujoyeux, rappresentata a Parigi nel 15 ottobre del 1581. Lo spettacolo fu messo in scena in occasione delle nozze del duca de Joyeuse con Marguerite de Vaudemont, sorella della regina Louise de Lorraine, che era tra gli spettatori insieme al suo consorte, il re Enrico III, figlio di Caterina. Sei lunghe ore di rappresentazione che si dispiegano secondo uno schema preciso: una ouverture, seguita da una serie di entreès e un grand ballet finale. Nulla in confronto alle 12 ore del “Ballet de la Nuit” di Luigi XIV , certo, ma comunque si tratta di uno spettacolo maestoso ed imponente che ha richiesto competenze tecniche specifiche sia per il regista-coreografo che per gli interpreti.

Dopo la sua epoca francese, sfarzosa, ridondante e incredibilmente glamour, il balletto vivrà poi una terza nascita in Russia, poi una quarta in America e poi altre innumerevoli nascite a seguire che la porteranno fino a ciò che oggi chiamiamo balletto classico: una delle più fortunate e amate manifestazioni dell’arte del movimento, almeno in questa parte di mondo.

Il mio amore per il balletto è senza tempo e senza limite, ho praticato quest’arte con gioia da che ne ho memoria, forse addirittura da una vita precedente, per quanto ne sappia, sempre con lo stesso trasporto, passione, voglia di approfondire e ricercare con cui oggi la insegno ai miei studenti. La cosa che mi piace più di tutte di questo grande fiume di sapere che viene tramandato, è proprio questo: non esistono manuali adeguati per l’apprendimento, l’unico metodo valido ancora oggi è la trasmissione orale da maestro ad allievo, che continua come un lignaggio da secoli, accumulando nel tempo nuovi saperi, nuove consapevolezze e per cui noi, insegnanti di danza, siamo gli anelli di questa lunga catena.

Chissà quali e quante nascite il balletto si riserva di vivere nel futuro, solo chi ci sarà potrà vedere, se dotato di uno sguardo puro. Certo è che, come ogni espressione del Vivente (la maiuscola è voluta) si muove costantemente nel flusso del perpetuo cambiamento.

Immagine: Marten Pepijn – The Ball at the Court

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1 commenti

Carlo Scardovi 24 Marzo 2023 - 8:16

Brava ! Cosa dire di più?

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