Lia Courrier: “La notizia del bombardamento del teatro ha scosso tutti noi. Ma non riesco ad accettare le azioni del governo italiano”

di Lia Courrier
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Capita davanti ai miei occhi esterrefatti la notizia che Franceschini sia di nuovo uscito dal suo ritiro tombale, per la seconda volta in meno di un mese (la prima era stata in occasione delle dimissioni di Tissi dal Bolshioi), per enunciare la seguente frase, in relazione alla notizia del bombardamento del teatro di Mariupol: “Il Consiglio dei Ministri ha approvato la mia proposta di offrire all’Ucraina le risorse e i mezzi per rimetterlo in piedi il prima possibile. I teatri di tutte le nazioni appartengono all’umanità”.

Ho pensato a lungo se scrivere o meno questo pezzo, perché tratta un argomento fortemente divisivo in questo momento, così come lo è stato parlare della pandemia fino a qualche mese fa. Poi, però, ho pensato che questo spazio a mia disposizione potesse essere un veicolo per portare un punto di vista, che non si propone di essere la verità ma solo la visione di un essere umano, quindi intrinsecamente parziale e inesatta, filtrata dalle proprie esperienze e dalla propria visione del mondo. Così ho deciso di scrivere, per portare la mia voce, che ultimamente pare sia dominata dalla stessa energia con la quale i salmoni risalgono la corrente, una posizione che richiede coraggio, ma anche presenza, capacità di documentarsi senza pregiudizi e di mantenere la mente non condizionabile.

La notizia del bombardamento del Teatro accademico di prosa della Regione del Donetsk, questo è il suo nome, è rimbalzata sui media che hanno raccontato la notizia come se le informazioni diffuse fossero state comprovate da fonti certe, ma in guerra si sa che conoscere la verità è un’impresa pressoché impossibile, perché anche l’informazione diventa parte dello scenario e delle strategie. I giornalisti che stanno operando sul posto non sono ancora riusciti a capire con certezza cosa sia successo (e forse non si riuscirà mai), ad ogni modo nel momento in cui scrivo non esiste ancora una prova certa che riveli chi abbia eseguito l’attacco, e c’è chi addirittura parla di civili usati come scudi umani. Nulla di nuovo in quei territori, comunque, sono otto anni che in Ucraina si sta combattendo una guerra civile sanguinosa e dolorosa per la popolazione, che ha perso tutto. Otto anni in cui molte persone sono state massacrate, tra cui 200 bambini, le città devastate, le case distrutte, così come le vite dei sopravvissuti. Otto anni in cui l’Europa, che avrebbe potuto diventare uno degli elementi chiave per una trattativa che mirasse alla pace, ha voltato la testa dall’altra parte.

Questa però è un’altra storia, e per chi la vuole studiare le notizie sono disponibili in rete, ma lasciate perdere le testate italiane: il giornale diretto da Giannini, La Stampa, è stato segnalato all’ONU per aver diffuso un’immagine dell’esplosione di Donetsk spacciandola per una foto scattata a Kiev, travisando completamente la realtà dei fatti a sostegno di quella narrazione che continuano a proporre come unica verità. L’Huffington Post ha addirittura pubblicato un articolo in cui si diceva che “chi vi dice che la situazione è più complessa è complice di Putin”, come se tutto ciò che riguarda l’anatomia di un conflitto potesse essere una storia semplice, tipo le avventure di Minnie e Topolino. Ormai chi si fa delle domande è automaticamente una brutta persona, qualcuno che va deriso, screditato o quantomeno emarginato, e questa è una storia che purtroppo conosco molto bene. Ma davvero vogliamo credere a chi è in grado candidamente di rubare una foto, piazzarci un titolo che ne modifica totalmente il contesto e poi darla in pasto alle masse, senza alcun rispetto per le persone agonizzanti ritratte in quella immagine?

La notizia del bombardamento del teatro è stata immediatamente condivisa da moltissimi miei contatti che si occupano di spettacolo dal vivo, anche persone che non si sono mai interessate di quello che sta accadendo nel mondo in questo momento si sono sentite toccate da questa notizia al punto da condividerla. Sebbene comprenda molto bene questo senso di appartenenza, perché i palcoscenici sono tutti un po’ parte di noi, e il dolore che può derivare dal sapere che un luogo che ha raccolto tante storie ed emozioni venga spazzato via in un soffio, credo sia necessario andare oltre a questo sentimento e informarsi, per comprendere davvero cosa sta accadendo.

Ho fatto della non violenza un fulcro per la mia esistenza, nel quotidiano, attraverso gesti e azioni concrete, quindi posso dire di considerare l’idea della guerra come aliena alla mia strategia di vita, qualcosa che non soltanto rifiuto con ogni cellula del mio corpo, ma che proprio non comprendo, non la considero una via percorribile in nessun contesto, quindi non permetto che da ciò che ho scritto qualcuno possa pensare che sono con o contro qualcuno. Quello che mi interessa è cercare di arrivare ad una comprensione che possa avvicinarsi il più possibile alla realtà dei fatti. Dal luogo da cui guardo il mondo non riesco ad accettare le azioni di un governo, quello italiano, che – giusto per fare un esempio – taglia la spesa sanitaria in piena pandemia o che ci chiede di fare dei sacrifici per uscire dalla crisi, ma che poi trova in una manciata di ore milioni di euro da investire ogni giorno per inviare armi in Ucraina, senza chiederci nulla e senza che i cittadini sappiano in quali mani verranno consegnate. Se non fosse stato per i coraggiosi aeroportuali di Pisa avremmo continuato a credere che in quelle casse ci fossero aiuti umanitari, quando invece erano piene di armi, munizioni ed esplosivi.

Allo stesso modo trovo distopica la situazione dello spettacolo dal vivo italiano: 40 anni che si sta aspettando una legge che è stata rimbalzata e rimpallata ad ogni cambio di governo, senza mai vedere una applicazione concreta, i corpi di ballo che cadono come mosche, l’assenza di progettualità, la mancanza di risorse, intesa non solo come denaro, ma anche personalità autorevoli, programmatori capaci, professionisti che sappiano cosa sia la cultura a occupare le poltrone importanti, le voci dei lavoratori che si alzano forte, in attesa di essere ascoltate e coinvolte e il Ministro cosa fa? Ha sempre nicchiato, si è sempre negato. Ogni tanto qualche annuncio d’effetto, come l’ormai famigerata Netflix della cultura, ma per il resto solo fumo, tante pezze per sedare il malcontento nel breve termine e nulla di ciò di cui il settore avrebbe davvero bisogno per risanare la desolazione in cui attualmente si trova.

Ora, però, pare ci siano risorse per ricostruire un intero teatro in Ucraina.

Mi perdonerete se in questo periodo scrivo su argomenti che esulano un po’ da quelli che mi competono di più, mi sento parte di questo mondo da cui ricevo un grande dolore che cerco di accogliere come posso, su queste pagine ho sempre scritto aprendo il mio cuore, e nel mio cuore adesso c’è questo.

Crediti fotografici: ANSA-afp

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