Lia Courrier: “La prestazione atletica non può essere considerata come pretesto per includere la danza tra gli sport”

di Lia Courrier
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Da qualche tempo il mio sistema nervoso reagisce ogni volta che sento insegnanti di danza dire o scrivere che in fondo non è sbagliato considerare la danza uno sport perché i danzatori sono degli atleti che allenano il proprio corpo per renderlo performante proprio come fanno gli agonisti.

Non è tanto la frase in sé che mi fa letteralmente venire voglia di appendere le scarpette al chiodo ma il processo di pensiero che sostiene una simile conclusione ad evidenziare quanto profonda sia la confusione, l’assenza di consapevolezza del proprio ruolo, l’ignoranza (qui uso questo termine non come giudizio ma letteralmente per indicare la condizione di chi non conosce) riguardo la storia di quest’arte, l’inconsapevolezza circa la missione che ogni insegnante dovrebbe abbracciare, la mancanza di responsabilità nei confronti dei propri studenti, delle famiglie, della società. In questo numero di SetteOtto vorrei provare a guardare in profondità dentro a questo baratro per cercare di portare un po’ di luce e vederne, se possibile, il fondo.

È attribuita ad Einstein la frase che definisce i danzatori “atleti di Dio”. Persino il buon vecchio Albert si è accorto che per danzare bisogna allenarsi a dovere, forgiare il proprio strumento attraverso un’infinita, estenuante serie di esercizi per ottenere un corpo capace di cambiare stato, consistenza, velocità, direzione, livello, densità, con controllo e consapevolezza. Credo siamo tutti d’accordo nel dire che ai danzatori siano richieste prestazioni da super-atleti reattivi, pronti a rispondere a qualsiasi esigenza Madama Danza mostri quel giorno. Il corpo come strumento raffinatissimo, mantenuto in perfetto funzionamento grazie ad un duro e interminabile lavoro quotidiano non solo in sala durante lezioni, sessioni di prove e spettacoli ma anche sul tappetino o in palestra, dove un allenamento funzionale permette di migliorare la prestazione e prevenire gli infortuni. Tutto ciò accade per molti anni, senza possibilità di fermarsi per non perdere le abilità acquisite, spesso fin dalla più giovane età.

Questo aspetto della formazione e del lavoro che riguarda il corpo fisico del danzatore, però, non dovrebbe confonderci le idee o trarci in inganno: la prestazione atletica non farà mai del danzatore e della danzatrice degli agonisti, né può essere utilizzata come pretesto per includere la danza tra gli sport. È giunto il momento di portare ordine e chiarezza in mezzo all’incredibile confusione in cui ci troviamo, nel modo in cui la danza viene oggi presentata, sia per consentire una corretta percezione da parte dei fruitori (gli allievi, le loro famiglie e il pubblico) che dal punto di vista politico e legislativo (la danza sotto al Ministero dello Sport). Si rende oggi necessario ridefinire, ribadire il ruolo della danza nella collettività e riportarla al territorio che più le appartiene, ovvero quello della cultura.

Nella danza l’atletismo virtuoso del danzatore è da considerarsi uno strumento, non il fine ultimo. Tutto questo lavoro sul corpo serve esclusivamente affinché questo diventi canale per il racconto, permettendo al paesaggio interiore di riversarsi nel mondo, condividendo questa manifestazione con chiunque sia testimone in quel momento. Ci tengo a precisare che in questo contesto tratto la danza nell’ambito dello spettacolo dal vivo, che è quello che mi compete, ma bisogna considerare che esistono molte altre modalità di utilizzo del corpo in movimento che appartengono più alla sfera sociale o terapeutica in cui la danza può essere utilizzata come cura a più livelli e significati. Neanche queste ultime, comunque, sono da considerarsi attività sportive, poiché vengono proprio a mancare le finalità e le prassi tipiche dello sport. Dal mio punto di vista appare molto chiaro che nessuna fase della filiera produttiva della danza, dalla formazione amatoriale a quella professionale, dal saggio allo spettacolo di una compagnia, porta in sé elementi che possano essere accostati alle modalità dello sport.

Non potrebbe mai esistere un sistema di punteggi adeguato per assegnare un valore assoluto ad una danza o a un danzatore, cosa che invece accade nelle competizioni sportive dove gli atleti ricevono delle valutazioni in base a rigidi criteri che guardano alla corretta esecuzione tecnica di un movimento o all’efficacia di un gesto atletico.

Per lo stesso motivo non avrebbe senso un corrispettivo in danza di competizioni come quelle sportive agonistiche (regionali, nazionali, mondiali). Una forma d’arte non può essere valutata solo in base ai criteri tecnici senza considerare gli aspetti più importanti della comunicazione artistica e della sfera emozionale, senza guardare alla profondità di un’opera o di un danzatore. La percezione della bellezza di una danza è soggettiva, non oggettiva, non è possibile stilare una lista di criteri che possa soddisfare l’esigenza di un punteggio con valore assoluto. Sarebbe la morte stessa dell’arte.
Provate a immaginare una competizione in cui fossero in gara Vincent Van Gogh, Pablo Picasso e Vasilij Kandinskij (giusto per fare un accostamento estremo) pensate a questi tre artisti immensi concorrere per lo stesso premio e chiedetevi se riuscirete mai a individuare dei criteri per valutare le loro opere in un unico contesto. Assurdo, vero? Ecco perché l’arte non potrà mai essere considerata uno sport.

So molto bene che esistono anche competizioni di danza, ho già scritto di questo argomento e di cosa ne penso a riguardo. Onestamente trovo avvilente come l’ingresso della danza nel mondo dello sport, avvenuto ormai molti anni fa, abbia portato ad un florilegio di questi eventi che con l’essenza della danza non hanno molto a che fare per i motivi di cui sopra.

Viviamo in una società fortemente competitiva, in cui fin da piccoli siamo chiamati a sgomitare per eccellere, superare gli altri, accumulare voti al di sopra della sufficienza, con protocolli che spianano le qualità e la varietà delle intelligenze a favore di un’omologazione di gesti, parole e pensieri. Molte persone si avvicinano alla danza proprio alla ricerca di un luogo in cui poter esprimere ciò che hanno dentro, mica tutti vogliono andare ad Amici o farsi i video su TikTok! La danza per molti di noi ha rappresentato un importante percorso verso un’ideale di libertà intellettuale, ci ha aiutato a scoprire noi stessi e trovare un posto nel mondo in cui non sentirsi stranieri. Vorrei che tutti coloro che si avvicinano a quest’arte potessero continuare a riceverla nella sua forma più pura, cogliendo l’opportunità che la danza rappresenta quando viene trasmessa autenticamente.

Confido che in futuro, grazie al duro lavoro di chi crede nei valori e nei principi che la danza tutta incarna, si possa finalmente avere un sistema simile a quello francese, in cui gli insegnanti riconosciuti come idonei saranno detentori di una Qualifica di Stato emessa dal Ministero della Cultura e che la danza finalmente ritorni all’ambito che le appartiene di più, che certamente non è quello sportivo.

Le mie parole non devono in nessun modo essere intese come un voler issare la danza su un piedistallo al di sopra dello sport, non è questa la mia intenzione, ma credo sia oggi evidente a molti quanto l’inserimento della formazione coreutica privata (ossia la quasi totalità) tra le attività sportive porti sofferenza da entrambe le parti: per noi addetti ai lavori che assistiamo inermi  a questo smantellamento culturale e anche per il Ministero che si ritrova a dover gestire un settore di cui non sa praticamente nulla, costretto a mettere pezze e giustificazioni sulle innumerevoli falle di questo sistema.

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