I programmi di studio presenti nelle varie formazioni rivolte a giovani danzatori, che siano per la professione o amatoriali, vedono la presenza di tutti i possibili contenuti per fornire strumenti tecnici, perfezionare l’aspetto artistico del gesto danzato, approfondire l’anatomia, la storia della danza, la teoria musicale e molto altro.
A seconda del tipo di danzatore che si mira a formare, il programma contiene esattamente ciò che serve per portare lo studente dalla lezione alla scena, passando per la sala prove. Giorno dopo giorno si impara a gestire lo sforzo, il virtuosismo tecnico, l’utilizzo dell’energia, ad affrontare la routine, la ripetizione infinita delle stesse sequenze cercando ogni volta di rinnovare autenticità e motivazione, a condividere lo spazio con altri danzatori, a respirare all’unisono con loro, a utilizzare lo spazio senza invadere quello degli altri e tante piccole e grandi abilità che spesso si danno per scontate ma che richiedono tempo ed esperienza per manifestarsi con spontaneità ed efficacia.
Una cosa, però, sento che manca in quasi tutte le formazioni dedicate ai danzatori.
Da quando ho cominciato a insegnare Yoga, ho voluto portare questa disciplina anche nelle formazioni coreutiche con cui collaboro, poiché ho sempre creduto che la pratica dello Yoga fosse sinergica all’indagine corporea della danza e per certi versi è esattamente così: gli allievi possono prendersi un tempo in cui non esistono obiettivi legati ad una prestazione ma si compie un’esplorazione autentica, ascoltando la propria anatomia, la biologia, la storia.
Negli anni in cui ho portato avanti questa esperienza nella duplice veste di insegnante di danza e di Yoga, ho compreso che c’è molto di più di questo, consapevolezza che mi si è rivelata a seguito della mia personale relazione con questa scienza sacra, sempre più ampia e profonda. Quello che praticare una disciplina come lo Yoga dona ai giovani danzatori è un corredo di strumenti che hanno a che fare con l’arte del respiro e la capacità di mantenere la mente stabilmente focalizzata, più tutte quelle sapienze che aiutano ad affrontare le potenti energie che ruotano attorno alla scena, sia prima che dopo. Questo vuol dire ad esempio essere in grado di risvegliare l’energia prima di uno spettacolo, accendendo la dinamo in poco tempo con pratiche specifiche; così come portare il sistema corpo-mente a rallentare dopo il bagno chimico a base di adrenalina e cortisolo che avviene a seguito dello stare sul palcoscenico, per poter preparare l’organismo ad un risposo ristoratore e indisturbato.
Avere una pratica di ricerca spirituale all’interno di un programma organico dedicato alla danza è per me decisivo anche nel mantenere una connessione con la motivazione atavica che ha spinto i nostri parenti più lontani a danzare attorno al fuoco, vivendo il movimento come atto rituale e magico per portarsi in uno stato di coscienza più elevato, un’urgenza ben diversa da quella odierna, almeno da questa parte di mondo (in india, ad esempio, danzare e pregare sono praticamente sinonimi, si danza per raccontare i miti, si danza come rituale, si danza per celebrare gli Dei).
Danzare, andare in scena, essere su un palcoscenico per farsi guardare, nel tempo sviluppa una certa qualità di ego, indispensabile per poter affrontare il pubblico e la condizione costante di pressione emotiva che ne deriva. La pratica spirituale aiuta a non perdere totalmente contatto con il grande Ego, pur mantenendo quella necessaria con il piccolo.
Un programma per danzatori che preveda al suo interno anche una pratica spirituale per i propri studenti rappresenta per me un percorso che mira a formare persone, oltre che danzatori, fornendogli quelle tecniche e strumenti con cui possano imparare a coltivare autonomamente la propria autenticità, onestà, rettitudine, e quella autodisciplina “sana” che mai sfocia nell’autolesionismo o immolazione, perché quando si mantiene un contatto con il proprio Sé spirituale si sviluppa anche il discernimento per capire quando si sta oltrepassando il limite, quando l’attaccamento al risultato diventa una minaccia per la propria salute.
Non esiste solo lo yoga ovviamente, ci sono tante altre “vie” per consentire agli studenti di ricevere questo tipo di sapere, e sviluppare queste qualità: le arti marziali come l’Aikido, il Thaiji o anche il Kung Fu, ad esempio, sono validissime tecniche per sviluppare un corpo potente, prestante, forte e in salute, abitato da una mente lucida e perfettamente focalizzata nel momento, nonché da un’anima in evoluzione, capace di agire senza fini egoistici.
Un artista, in fondo, non è solo una persona capace di virtuosismi, di portare bellezza e godimento estetico, di stupire con il proprio atletismo, che sia nel corpo, sulla punta di un pennello o attraverso uno strumento musicale. Credo che un artista memorabile debba anche essere una persona che costantemente osserva sé stesso, indaga, si pone domande e agisce con rispetto verso di sé e verso gli altri.
Non tutti i “grandi” artisti sono così, ovviamente, sono piene le cronache di dive capricciose e divi irascibili. Mi piace pensare, però, che alla fine la cosa importante sia lasciare un bel ricordo di noi tra le persone con cui abbiamo condiviso esperienze, che ogni relazione sia stata coltivata con attenzione affinché lo scambio si riveli memorabile e nutriente per tutti.
Questo è quello che vorrei trasmettere ai miei studenti.