Dicembre è il mese in cui il balletto “Lo Schiaccianoci” regna sovrano in ogni dove. Quest’anno più che mai ho visto compagnie da ogni parte d’Europa portare questo titolo in ogni città italiana con un teatro adatto ad ospitarlo. A Milano addirittura per la prima volta una nota stella dell’Opèra è stata invitata ad arricchire il già strepitoso cast per la produzione scaligera più attesa della stagione.
Tante persone hanno scelto quindi il balletto per entrare nello spirito natalizio. L’argomento che tratterò nell’odierno numero di SetteOtto richiamerà certamente nei lettori memorie di un’esperienza appena vissuta come spettatori.
È mia opinione che uno dei piaceri più sottili nell’assistere ad uno spettacolo di balletto dal vivo, al di là della coreografia, costumi, bravura degli interpreti e di tutto il già noto, sia il suono delle scarpette da punta sul palcoscenico. Uno stimolo sonoro che si può apprezzare solo se si è in teatro, perché attraverso il video si perde totalmente.
Le scarpette da punta parlano, letteralmente, con una voce flebile che spesso non si sente per via della potente musica. I teatri tradizionali, infatti, sono costruiti in modo che dal golfo mistico il suono dell’orchestra sia spinto verso gli spettatori, che vengono letteralmente immersi in un’esperienza sonora sublime che non ha pari neanche tra le migliori registrazioni siano mai state fatte, nonostante la tecnologia abbia fatto enormi passi avanti.
Ogni tanto, però, ci sono dei momenti in cui la musica è rarefatta, magari solo alcune note di pizzicato o delle pause, è allora che questa deliziosa vocina delle scarpette da punta si porta in primo piano. Oppure si può notare quando la ballerina o le ballerine entrano in scena in silenzio per prepararsi a danzare: anche se l’orchestra non ha cominciato ancora suonare, la musica è già lì in quel ritmo dei passi.
Tutti saprete certamente che la parte anteriore delle scarpette da punta è rigida, funge da piedistallo per le dita del piede che possono starci sopra mantenendo in equilibrio l’intero corpo. Ancora oggi questa abilità delle ballerine classiche rappresenta quanto di più incantevole si possa immaginare. Certo, chi ha portato ai piedi questi strumenti sa bene quanto sia difficile e a volte doloroso indossarli e padroneggiarli, ma specialmente agli occhi di appassionati non praticanti questa appare come una specie di magia ultraterrena.
La voce delle scarpette da punta è fatta da tre categorie di suoni: scricchiolii, colpi e scivolamenti.
Gli scricchiolii sono dati dal reciproco movimento della soletta e della stoffa. Ogni scarpa viene realizzata dalle sapienti mani di artigiani che usano ancora oggi metodi antichi e tradizionali, abbinati a nuovi materiali e saperi che sono stati sviluppati in collaborazione con le ballerine, per fare di questi oggetti-feticcio strumenti ad altissima precisione e prestazione. La scarpetta da punta è realizzata con materiali suscettibili all’umidità e al calore del corpo, quando la ballerina ci danza dentro la scarpa si adatta alle forme e alle forze cui è sottoposta, diventando come un guanto, ancora di più, come se fosse un’estensione del piede stesso. In questo costante e continuo adattamento reciproco, la multistratificazione della soletta e le cuciture che l’assicurano al raso della tomaia, continuano a scricchiolare, è un suono quasi impercettibile ma per me è come un gatto che fa le fusa.
I colpi riguardano il momento in cui il piede entra in contatto con il suolo.
La rigidità della parte anteriore della scarpetta ha una sua ovvia utilità, come abbiamo visto, ma le ballerine hanno mille accortezze per evitare che il suono sul pavimento sia troppo forte, specialmente negli atterraggi de salti. Molte ballerine hanno pubblicato sui propri canali social il complicato processo di condizionamento delle scarpette: ognuna ha una personale modalità con cui cucire elastici e lacci, grattare la suola con qualsiasi attrezzo tagliente immaginabile, rompere qui, tagliare là, ricamare la punta per renderla più stabile e molti altri piccoli segreti del mestiere. È proprio l’esperienza che ogni ballerina fa negli anni, con il proprio modello di scarpa, a guidarla verso il condizionamento più funzionale. Ogni ruolo, inoltre, ha bisogno di scarpe da punta adatte, più o meno morbide, più o meno usate, in base al colore del personaggio, ad esempio, a quanti salti ha nella coreografia, quanti giri, equilibri, eccetera.
Non si va mai in scena o in prova con le scarpe nuove, ci si deve prendere il tempo di lavorarle, ammorbidirle, adattarle al piede, in sostanza c’è un gran lavoro continuo da fare per avere sempre diverse paia di scarpette pronte all’uso e ogni ballerina deve fare questo lavoro da sé perché si tratta di una liturgia troppo personale per poterla delegare a qualcun altro.
Ovviamente l’ingrediente principale per tenere sotto controllo i decibel è la padronanza della tecnica, dita forti che sappiano attutire gli impatti, questo vale ovviamente anche per i ballerini uomini che eseguono salti altissimi, ma con le scarpe da punta ai piedi atterrare dai salti richiede ancora più attenzione. Come dico sempre scherzosamente ai miei allievi, l’espressione “sfondare il palcoscenico” è solo in senso figurato (risate). Le dita del piede, il metatarso e la caviglia sono cruciali per contattare il pavimento senza rumore e soprattutto proteggendo ginocchia e colonna vertebrale dalle collisioni.
Infine gli scivolamenti, udibili quando ad esempio si fanno dei rond de jambe par terre o dei passaggi in cui la punta della scarpa disegna traiettorie al suolo. Nel balletto contemporaneo questo genere di movimenti sono molto gettonati, spesso in accompagnamento a un gioco tra en dedans e en dehors delle gambe a creare movimenti sinuosi e seducenti, che richiedono plasticità e aderenza al suolo, perché con il balletto contemporaneo la figura femminile acquista anche in sensualità. La scarpetta scorre sul pavimento tagliando lo spazio con suoni di spada, o come pennellate di calligrafia.
Il suono che si sente emergere dalla danza di una professionista è quindi delicato e delizioso come quello delle unghiette dei gatti quando camminano sul legno: sicuramente nella lingua giapponese esiste un termine onomatopeico per descrivere la partitura musicale creata dalle scarpette da punta, perché questo genere di termini è un’adorabile caratteristica di questa lingua incredibilmente musicale. Alle mie orecchie suona un po’ come uno “gneck gneck” accompagnato da “toc toc” e qualche “sccch” e “cccrrrr” ma così sembra più una poesia di Marinetti, non è facile descrivere a parole qualcosa che si può solo apprezzare con i sensi.
Adoro quando la perfetta acustica dei teatri permette al mio udito di essere raggiunto da questa musica così delicata e inconfondibile. Nelle scene dove il corpo di ballo femminile è tutto in scena, come negli atti bianchi dei grandi balletti di repertorio, la moltitudine amplifica il suono delle scarpette e lascia emergere il ritmo dei passi, in armoniosa sovrapposizione a quello dell’orchestra.
Esiste qualcun altro tra i miei lettori che come me apprezza questo dettaglio del balletto? Io adorerei vedere un balletto di repertorio senza musica per lasciare emergere questa partitura nascosta e discreta fatta di movimento. Del resto Balanchine diceva spesso che la danza è “una musica che si guarda con gli occhi” osservazione di grande sagacia che può essere interpretata in vari modi, uno di questi secondo me potrebbe essere proprio in virtù della musica delle scarpette da punta. Non sono solo i ballerini di flamenco e quelli di tap dance a suonare con i propri piedi.