Avete mai notato come la danza sembri comunicare sempre attraverso le gambe e in particolare i piedi? In ogni promozione di eventi di danza compaiono immancabili piedi o gambe, e quanto più sono arcuate e con il collo del piede accentuato, tanto più attirerà gli sguardi di quegli inguaribili feticisti dei danzatori…e pensare che alle origini del balletto le gambe erano coperte fino alle caviglie, da pesanti crinoline, e tutta l’enfasi era focalizzata sulla parte superiore del corpo: la grazia delle braccia, la delicatezza delle mani, l’espressività delle spalle e un viso serafico. Non che le gambe non si usassero, anzi, la danza barocca è ricca di salti e passi velocissimi, ma di certo nulla di lontanamente paragonabile alla fissazione dei nostri giorni, compulsiva ossessiva, per l’estetica della forma, più che per l’espressività di quegli arti.
Nel mio lavoro continuo a riportare l’attenzione alla parte superiore del corpo, per diversi motivi: primo tra tutti perché la coordinazione e l’integrazione tra le parti del corpo sono elementi fondamentali per danzare, e la parte superiore non se ne può sempre stare passiva come il passeggero di un’auto. Poi, certamente, perché la parte superiore è portatrice di strumenti cruciali per eseguire tutti i passi, dai più semplici ai salti o giri, ad esempio. Infine: siamo abituati a guardarci negli occhi nel momento in cui comunichiamo con l’altro, solo i danzatori guardano i piedi degli altri danzatori quando sono seduti in platea (per vedere quanto sono belli e soprattutto se sono tesi correttamente).
Il viso sfugge spesso al controllo. Forse viene mantenuta l’unità della testa sotto controllo, per cercare di allinearla o utilizzarla come la tecnica richiede, ma l’espressione del viso a volte viene lasciata al sentimento del momento, creando effetti divertenti, se non bizzarri.
Ecco qui un breve compendio di espressioni avvistate a lezione:
- Lo ‘scantazzo’, che in siciliano (la mia lingua madre) vuol dire ‘lo spavento’. Si manifesta quando si contrae la fronte, nel tentativo di allungarsi il più possibile verso il soffitto, e le sopracciglia salgono talmente in alto da far strabuzzare gli occhi, congelando il viso in una espressione di puro terrore, in stile ‘L’urlo’ di Munch, che mi porta sempre a dare un’occhiata in direzione di quello sguardo allucinato, per assicurarmi che per caso non ci sia un lupo mannaro, uno zombie o un alieno alle mie spalle.
- ‘Thut-Ank-Amon’, ossia la mummia egizia. Questa compare quando la tensione nel collo, spesso nel tentativo di contrarre ogni muscolo dall’attaccatura dei capelli fino alla punta delle dita dei piedi, blocca la testa, che non riesce più a girare liberamente. La persona di solito si limita a roteare gli occhi, prigioniera nel sarcofago, quel tanto che gli basta per controllare se c’è qualcuno nelle immediate vicinanze, evitando collisioni, con l’articolazione temporo-mandibolare talmente serrata da necessitare di un piede di porco per essere divelta. Di pirouette manco a parlarne, ovviamente: di solito il soggetto imprime una spinta utile per farne trecento, ma non riesce neanche a completarne due poiché… no scatto di testa, no party, babe!
- Il ‘non morto’. Espressione che si mostra quando la persona smette di respirare. Puoi fargli la prova dello specchietto e niente, non si appanna. Mettere una candela accesa davanti al naso e la fiamma non si muove. Non respira. Campioni di apnea. Se gli chiedi se sta respirando ti risponde di sì, e – detto tra noi – mi manca il coraggio di chiedergli da dove lo sta facendo. Il colorito del ‘non morto’ vira dal terreo grigiastro al purpureo a chiazze, lo riconosci perché è quello che ha il fiatone dopo i plié e che alla fine di ogni esercizio emette il suono di chi riemerge dall’oceano dopo essersi immerso fino a 30 mt senza bombole.
- Il ‘ghiottone’. Questa è l’espressione che appare quando la lingua fa capolino dalle labbra, di lato, nello sforzo di eseguire una danza. Molto pericolosa quando si fanno i salti: ogni volta che vedo un ghiottone saltare, mi aspetto di vedere cadere per terra un pezzo di lingua da un momento all’altro, dimenticata sotto alla ghigliottina dentaria. Nel dubbio potrebbe essere utile forse lanciargli una caramella al volo, oppure utilizzarlo nel periodo di Natale per inumidire i francobolli delle cartoline.
- La ‘saudage’. Il danzatore lunare e romantico: vive il movimento con molto pathos, e questa sua visione della danza si incarna in una espressione di tristezza del cuore, di pena dell’anima, che gli si stampa in faccia non appena partono gli accordi di preparazione. Le sopracciglia da cane che è stato sgridato, ci si aspetta che una lacrima scenda da un momento all’altro senza neanche un sussulto. Smuove in me la sindrome da crocerossina, vorrei rassicurarlo, dicendogli che va tutto bene e che, comunque, la morte di Giselle è solo una finzione teatrale.
- Il ‘felicione’. Quando danza ha un sorriso smagliante a 33 denti, completo di luccichìo sul canino. Ride anche quando cade dalle pirouette, ride quando sbaglia la sequenza, ride anche quando interpreta un ruolo drammatico o uno che richiede una interpretazione neutra, ride a lezione, ride persino quando marca gli esercizi con le mani.
Appena smette di danzare gli viene la faccia da bracco. Ma che te ridi, felicione?
E voi? Quali facce aggiungereste a questo compendio?
Ogni riferimento a persone reali è puramente casuale e, soprattutto, sappiate che io per prima faccio tutte queste espressioni concentrate in un’unica, mostruosissima faccia. Sono in possesso di foto che lo dimostrano.