Lia Courrier: “Le relazioni tra i maestri di danza e i genitori dei piccoli allievi”

di Lia Courrier
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Questa settimana voglio fare ancora una volta da portavoce alle segnalazioni che i colleghi mi fanno costantemente, chiedendomi di parlarne in questo spazio di condivisione, che a mio avviso si sta rivelando davvero prezioso per aprire una discussione su larga scala, delineando il profilo della situazione dell’insegnamento della danza in Italia. Sono sempre felice di leggere i vostri commenti e di ricevere i vostri messaggi, perché mi permettete di avere una visione più ampia della situazione, che altrimenti conoscerei solo attraverso il mio lavoro di insegnante, nella stretta cerchia di realtà nelle quali lavoro: progetti formativi diretti ad allievi adulti con obiettivi professionali.

L’argomento che tratterò oggi diviene quindi un’operazione alquanto delicata, poiché non mi riguarda direttamente, ma i racconti ricevuti sono stati così tanti che mi sono decisa di dare loro una voce: si tratta della relazione tra maestri di danza e genitori dei piccoli allievi, che a volte può presentare spigoli taglienti e appuntiti. Se anche è vero che oggi insegno solo ad allievi adulti, e quindi non ho con i genitori alcuna relazione, a meno che in casi straordinari, anche io in passato ho insegnato ai giovanissimi, e d’altra parte sono stata una piccola allieva anche io, per cui so bene come le richieste dei genitori a volte possono essere assolutamente fuori contesto, se non altro perché non conoscendo il mondo della danza non hanno modo di comprendere il perché di certe scelte da parte dell’insegnante.

Qualche numero fa sono stata amorevolmente (e giustamente) bacchettata da una lettrice per aver dato a intendere che chi pratica sport possa permettersi una certa sciatteria nell’atteggiamento da tenere durante gli allenamenti e chi invece pratica danza sia ligio al rispetto delle regole di comportamento. Ribadendo che questa incresciosa confusione che si fa tra sport e danza è una cosa tutta italiana, perché altrove tutti sanno bene che la danza è un’arte e lo sport un altro tipo di attività corporea, vorrei approfittare per spiegarmi meglio con un esempio: se un bambino fa parte di una squadra di calcio e spesso manca agli allenamenti o arriva in ritardo, quello che può succedere è che l’allenatore lo lasci in panchina, mentre gli altri continuano a giocare e migliorare le proprie prestazioni. Nella classe di balletto, qualunque sia l’età o il livello, il gruppo procede insieme. Ogni assenza individuale e ogni ritardo rallentano profondamente il progresso del gruppo in quanto entità unitaria. Non si può pensare di andare a fare danza solo quando non si hanno altri impegni, perché chi adotta questo atteggiamento non solo non impara a danzare, ma diventa un peso per tutti: per l’insegnante, che deve sempre ripetere le spiegazioni, e per il gruppo, che non riesce a procedere come potrebbe. Questo è solo un esempio per spiegare come non si debba dare per scontato che le regole comportamentali che si adottano in un ambito vadano bene in altri, soprattutto quelle che vengono applicate in ambito sportivo, che non hanno nulla a che vedere con tutto ciò che riguarda l’apprendimento di un’arte.

Ecco una piccola cernita tra le storie che mi hanno più sorpresa: genitori che pretendono che si cambi orario o giorno di lezione perché non possono nelle giornate proposte. C’è quello a cui non piace l’idea del saggio perché non ha voglia di spendere soldi in più di quelli della retta annuale, per i costumi, o non ha voglia di accompagnarli alle prove in giorni non previsti dal consueto calendario. A me una volta è capitata una piccola allieva che non aveva nessuno in platea a vederla danzare al saggio, credo sia stata la cosa più triste che mi sia mai successa sul lavoro. D’altra parte poi c’è anche chi vuole vedere la propria figlia sempre in prima fila e solista per tutto lo spettacolo. C’è chi addirittura mente sull’età della bambina per poterla inserire nel gruppo delle grandi, senza avere la benché minima idea delle naturali tappe cognitive e fisiche dello sviluppo del bambino, oppure chi pretende di iscrivere a danza infanti con ancora il pannolone, dicendo che sono bravissimi a ballare. Ci sono quelli che vogliono vedere le bambine sulle punte a otto anni, quelli che si lamentano per il costo dei biglietti del saggio, quelli che vorrebbero che la figlia partecipasse (e vincesse) tutti i concorsi di danza d’Italia. Genitori che non portano i propri figli alle prove generali del saggio perché hanno altro da fare o sono a fare il weekend al mare. Allievi che dopo mesi di assenze, dovute a gite scolastiche, settimane bianche, compiti in classe, compleanni di zie, amici, nonni, matrimoni e altro, si presentano a due settimane dal saggio e vogliono assolutamente essere inseriti. Questa è solo una breve e succinta cronaca di fatti realmente accaduti, e sono certa che se chiedessi a voi lettori di darmene altri potremmo riempirci dieci volumi.

Non sempre è così, ovviamente, conosco anche storie bellissime di fiducia e di amore, di genitori che fanno i salti mortali per permettere ai propri figli di coltivare la passione per la danza, e che sanno lasciare al maestro lo spazio per poter lavorare. Perché fare il maestro di danza è un lavoro, costato tanto studio, determinazione e intelligenza (nel migliore dei casi). I maestri insegnano qualcosa di molto importante agli allievi, e per costruire un cammino insieme c’è bisogno anche del sostegno delle famiglie, che hanno certamente il diritto di esprimere il proprio parere, ma dovrebbero cercare di capire anche quando si sta camminando su un territorio su cui solo il maestro di danza è in grado di camminare.

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