Il mondo dell’insegnamento della danza, in Italia, nello specifico l’ambito delle scuole di danza amatoriali nelle quali i ragazzi ricevono i principi dell’arte del movimento, sta subendo un cambiamento profondo che non riguarda solo qualità e conoscenza tecnica degli insegnanti, ultimamente sempre presa in causa, quanto il livello culturale delle famiglie e degli insegnanti stessi, che sta inesorabilmente sprofondando in un baratro da cui sarà molto difficile tirarsi fuori. Ho la sensazione che la danza stia trasformando il proprio nucleo vitale, radicalmente e in modo irreversibile, per diventare mero intrattenimento riempitivo per i pomeriggi dei giovanissimi. Temo che la danza, per come l’ho conosciuta quando ero una pischella di sei anni, possa non esistere più, svanita come la fragile vita dell’ultimo esemplare di una specie in via d’estinzione. Non credo che il mio sia un pensiero catastrofista, oggi questa realtà è sotto agli occhi di tutti e chi non la vede è solo perché non vuole farlo o perché troppo giovane per riconoscerlo.
Una delle cause di questo annichilamento è certamente da cercare nella comparazione della danza allo sport, che ha lentamente spogliato quest’arte della sua magia, portando genitori e allievi a percepirla come una qualsiasi disciplina ginnica. Lo spirito di sopravvivenza ha portato gli insegnanti di danza ad adattarsi alla situazione, accettando di non avere più puntualità a lezione, le calze con gli orsetti e le mezze punte della Decathlon, tollerare una frequenza sporadica e incostante, una tendenza remissiva da parte degli allievi di fronte alle piccole sfide quotidiane, alla fatica, o alla routine dell’allenamento, ritrovandosi infine a sfruttare il poco tempo a disposizione per cercare di mettere insieme i balletti per i saggi: unica cosa che pare incrementare l’interesse.
Non in tutte le scuole è così ma per una buona parte penso che questo sia un ritratto fedele.
Poi c’è anche il fatto che spesso gli allievi di danza frequentano molte altre attività durante la settimana, che vanno dal violino al pianoforte, dall’inglese all’equitazione. Questo certo non li aiuta a focalizzare i loro sforzi in un’unica direzione, non hanno modo di affezionarsi, di comprendere fino in fondo una disciplina come quella della danza, quanto può dare alle loro esistenze, perché si tratta di un processo che avviene solo a seguito di un’esperienza reiterata e vissuta, lezione dopo lezione, con adeguata costanza, anche di fronte alla noia e alla stanchezza.
Al panorama presentato va aggiunto che ormai ci sono più insegnanti che allievi. Le città, anche le più piccole, sono costellate da scuole di danza, ricavate anche nello scantinato di casa. Pare che lavorare per qualcun altro sia ormai una pratica abbandonata e che tutti sentano la necessità di aprire il proprio centro, più o meno grande, con più o meno esperienza alle spalle. Questo ha prodotto una situazione economicamente disastrosa che vede l’offerta superare di gran lunga la domanda, e nel tempo le scuole, pur di richiamare allievi, hanno cominciato ad abbassare i prezzi. Qualche giorno fa una collega mi ha scritto dicendomi che in una scuola offrono corsi bisettimanali per bambini a 10 euro al mese. Questo forse è un caso limite, o almeno così mi auguro, ma è specchio di una tendenza diffusa, per non parlare del meccanismo perverso delle lezioni di prova gratuite, che se prima era solo per una singola occasione oggi addirittura si arriva a regalare un mese intero. Chi mi conosce sa quanto il mio attaccamento al denaro sia pressoché inesistente, però viviamo in una società che dà valore solo a ciò che può essere monetizzato, quindi svendere il nostro lavoro è una strategia che non solo non ci porterà allievi sinceramente interessati (una cosa che costa poco evidentemente vale poco), ma che fa male a noi stessi per primi. E alla danza. Se un mese di lezioni costa dieci euro, quanto viene pagato l’insegnante? E se un insegnante può permettersi di lavorare gratis, forse vuol dire che non è la sua prima attività? O che lo fa per hobby? Perché dovrei dare mio figlio in mano ad un insegnante che non fa questo come unico lavoro, e che quindi non ne ha le competenze? In effetti proprio poco tempo fa mi è capitato per le mani un volantino in cui si promuoveva un nuovo corso di danza con il curriculum dell’insegnante stampato bene in vista, nel quale si annunciava con orgoglio che la maestra in questione è un medico, ma che nel tempo libero si occupa di danza. Perchè?
Che non mi si venga a dire che tanto la qualità paga, perché non è vero neanche questo: nel momento in cui gli utenti hanno perso totalmente la capacità di riconoscere la competenza di un insegnante (la maggior parte delle persone non considera il nostro neanche un lavoro), non c’è alcun modo di potersi promuovere puntando su quella, e alla fine gli studenti sceglieranno sempre la scuola che costa meno, quella vicina a casa, quella che fa fare i concorsi o quella che invita i ballerini delle trasmissioni televisive (per quelli però si può anche pagare 50 euro a lezione).
Qualsiasi sia il mercato che vogliamo prendere in considerazione, tenete sempre ben presente questo: se un prodotto costa davvero poco vuol dire che qualcuno, lungo la filiera produttiva, ci rimette personalmente, in termini economici o di diritti. Oppure che è dannoso, realizzato attraverso lo sfruttamento o semplicemente non si tratta di un prodotto di qualità. In un mercato sano
dell’insegnamento della danza, gli studenti dovrebbero essere consapevoli che il maestro va riconosciuto anche attraverso il pagamento della lezione, che deve essere adeguato: non troppo basso ma neanche troppo alto in virtù di chissà quale successo mediatico.