Capita di frequente, tra i miei studenti all’interno delle formazioni professionali, che alcuni di loro decidano di mettersi a insegnare subito dopo la formazione. È capitato anche che qualcuno ereditasse la scuola dalla propria insegnante in ritiro, oppure che aprissero un’attività propria per dedicarsi a questo lavoro bellissimo che è trasmettere agli altri ciò che si è imparato.
Al tempo di quando ero una giovane aspirante ballerina, l’insegnamento era considerata una cosa da fare a seguito di un periodo di lavoro sul palcoscenico, come se fosse un punto di arrivo, non di partenza. Eravamo consapevoli che non tutti avremmo avuto il privilegio di una carriera dorata ma avevamo ricevuto una formazione per diventare danzatori, non insegnanti, quindi il nostro primo desiderio (e obiettivo) era superare un’audizione per una produzione o, meglio ancora, per una compagnia. Così è andata anche per me, ho calcato le scene facendo del mio meglio per una dozzina di anni, prima della decisione di dedicarmi a tempo pieno all’insegnamento, dal momento che avevo capito che era quello il ruolo che mi apparteneva di più.
Nella maggior parte delle formazioni italiane, in effetti, si riceve una preparazione da danzatore, all’interno dei programmi non ci sono nozioni utili per chi vuole insegnare. Gli allievi hanno accesso a contenuti tecnici, certamente, anche artistici e creativi, ma non finalizzati alla trasmissione, per questo a conclusione di un percorso non è così semplice mettersi alla guida di una classe, considerando anche che il bagaglio tecnico ricevuto è stato appena appreso, non ancora assorbito e metabolizzato del tutto, se ne sta ancora sulla superficie della pelle in attesa di penetrare nelle profondità e trovare una propria dimora.
Per tutti questi motivi, e per molti altri ancora, consiglio sempre a tutti di provare a fare qualche esperienza professionale prima di dedicarsi solo all’insegnamento, perché il palcoscenico è un luogo imprescindibile per qualsiasi mestiere di danza si voglia intraprendere. Per professionale non intendo i saggi della scuola o i concorsi, ma un’assunzione con regolare contratto, retribuzione e un numero di prove e spettacoli sufficiente a poter coprire almeno una stagione. Questo perché un simile vissuto consente di fare un’esperienza completa del mestiere del danzatore, vuol dire sapere come comportarsi nelle mani di un coreografo, gestire la responsabilità del palcoscenico, essere in grado di riprodurre quella magia ad ogni replica, affrontare e risolvere tutte le problematiche che si possono presentare durante uno spettacolo.
Vivere un’avventura totalizzante come quella della preparazione di uno spettacolo, il suo debutto e le successive repliche, equivale ad assistere all’intero ciclo vitale: creazione mantenimento e dissolvimento. Questo è estremamente formativo perché è proprio giunti a questo punto che ci si rende facilmente conto di come tutto ciò che si è imparato negli anni di studio in sala sia appena sufficiente per muovere i primi passi in questo nuovo contesto. È qui che le nozioni acquisite sedimentano, germogliano, crescono, vengono comprese con il corpo, la mente e lo spirito. Si tratta di un’importante processo durante il quale si smette di essere allievi (nel senso scolastico del termine, perché in realtà si rimane allievi per sempre) e si diventa danzatori, accumulando conoscenze e una consapevolezza di cosa voglia dire fare questo lavoro a tutto tondo, nei suoi aspetti piacevoli e anche in quelli più spigolosi, un vissuto prezioso anche nell’eventualità di intraprendere il ruolo di guida in modo esclusivo.
Credo fermamente che il palcoscenico possa divenire un ottimo insegnante, una volta conclusa la formazione di base, perché restituisce esattamente la qualità, l’autenticità e la dedizione che gli viene data, senza sconti. È così che progressivamente si sviluppa autodisciplina, consapevolezza e una lucida capacità di discernimento che rende consapevoli di quali sono i punti di forza e quelli da migliorare nella propria prestazione. Questo non vuol dire che non ci servirà più andare a lezione con un maestro in carne ed ossa, questo è fuori discussione, qui si sta parlando di un altro tipo di insegnamento: sul palco impariamo a divenire maestri di noi stessi.
Riconosco quindi la validità assoluta di un tale bagaglio, prima di dedicarsi esclusivamente all’insegnamento, perché si può trasmettere solo ciò che si è compreso davvero, di cui abbiamo fatto esperienza più volte e con cognizione, altrimenti il rischio è di ritrovarsi a spiegare nozioni che non hanno alcuna risonanza nel nostro essere.
Per acquisire un simile bagaglio non è necessario essere primi ballerini nei più grandi teatri del mondo, per insegnare non bisogna essere per forza dei fuoriclasse del palcoscenico, l’insegnamento è per chi ha una particolare predisposizione d’animo generosa, rivolta all’altro, con una propensione alla gioia della condivisione. Esistono validissimi ballerini che non hanno queste capacità o che non hanno avuto modo di svilupparle, avendo dedicato tutta la carriera alla scena. Essere molto bravi a danzare non vuol dire automaticamente essere validi insegnanti così come non aver avuto esperienze professionali non vuol dire necessariamente non essere idonei all’insegnamento, sono tante le caratteristiche umane, tecniche e culturali che convogliano nella figura dell’insegnante e bisogna anche considerare a che tipo di pubblico ci si sta rivolgendo, di che età intendo, perché per ogni fase dello sviluppo sono necessarie peculiari conoscenze e abilità. Queste ultime saranno da approfondire necessariamente all’interno di formazioni specifiche dedicate, perché nel programma di studi delle formazioni per danzatori sono totalmente assenti.
Ritengo che insegnare richieda di possedere molte frecce al proprio arco, per questo avere alle spalle esperienza di palcoscenico non può che aggiungere ricchezza e prestigio alla nostra professionalità, nonché indispensabili utensili nella nostra personale cassetta degli attrezzi, tanti quanti ne servono per contattare ogni singola persona, con le sue peculiarità genetiche, psichiche e caratteriali.
Gli allievi sanno, comprendono anche ad un livello non razionale, sentono, percepiscono la profondità della conoscenza e dell’esperienza di chi gli sta davanti.
Al cospetto degli allievi, così come sul palco, è impossibile fingere.
In questi luoghi non possiamo che essere noi stessi, quindi il minimo che possiamo fare è cercare di evolverci nella nostra versione migliore.