Dopo la parentesi cinematografica della scorsa settimana torno a parlare di quello che mi riguarda più da vicino, ossia il duro mestiere (ma bellissimo) di trasmettere l’arte della danza alle nuove generazioni.
I recenti anni trascorsi senza la possibilità poterci toccare, addirittura per un periodo senza neanche poter stare nella stessa stanza, mi hanno permesso di sviluppare nuove abilità nell’insegnamento della danza legate alla capacità di consegnare indicazioni verbali succinte ma efficaci, che mirino non tanto a stimolare pensieri astratti o visualizzazioni, quanto più raggiungere in modo diretto e preciso il sentito somatico dell’allievo e dell’allieva. Queste competenze si sono inizialmente sviluppate spontaneamente nel tentativo di colmare l’impossibilità di usare le mani per suggerire i movimenti ma dato che si sono rivelate estremamente funzionali al lavoro, alla fine non le ho più abbandonate. Oggi utilizzo in modo indifferenziato le mani e la voce ottenendo risultati che posso considerare equivalenti, anzi, mi rendo conto che raggiungere un miglioramento nella gestione del movimento attraverso le indicazioni verbali costringe l’allievo ad uno sforzo maggiore per trovare da solo le soluzioni, per questo utilizzo il tocco come seconda scelta, quando vedo che gli strumenti disponibili al momento rendono ancora difficoltoso percepire quel dettaglio nel corpo non ancora sufficientemente istruito.
A volte ritengo sia necessario prendersi un momento al di fuori dell’esercizio eseguito in musica, magari per lavorare su un piccolo passaggio all’interno di quelli che il formidabile Marco Pierin, nelle sue splendide classi, chiama i “passettini between” ossia tutti quei movimenti di raccordo così importanti per dare fluidità, musicalità e dinamica alla danza. Oppure per andare in profondità nello studio di qualche abilità tecnica, coordinazione nelle pirouettes o rendere di sicuro effetto un salto. Questo tempo sarà speso bene se poi l’allievo riuscirà a convogliare la propria attenzione nell’esecuzione di quel movimento all’interno della sequenza, integrando l’informazione ricevuta nel contesto più grande in cui è inserita. La capacità dello studente di mantenere le correzioni è fondamentale per progredire, è necessario che con tutte le sue forze provi a richiamare in sé quelle indicazioni autonomamente, ma come vedremo questo atteggiamento è il risultato di un lungo processo.
La sfida più elettrizzante, infatti, è dare indicazioni verbali durante l’esecuzione degli esercizi. La tempistica qui è tutto, per l’insegnante, bisogna essere molto precisi, formulare frasi brevi e puntuali, giocare d’anticipo per aiutare l’allievo o l’allieva a costruire una strategia di pensiero efficace.
In questo ambito sono principalmente due le tendenze poco propizie nell’atteggiamento dello studente, almeno secondo la mia esperienza e il mio punto di vista: una certamente è quello della difficoltà a mantenere un’attenzione condivisa tra i vari comparti del corpo, con la tendenza a dare priorità solo alla parte del corpo che si sta muovendo. Per fare un esempio: nell’eseguire un battement tendu si focalizza tutta l’attenzione alla gamba che esegue il movimento perdendo di vista il resto del corpo, l’allineamento, la forza nella gamba di sostegno, la posizione del bacino, insomma tutto ciò che effettivamente consente a quella gamba di eseguire il movimento.
La seconda tendenza riguarda la progettazione del movimento, ossia la formulazione di una strategia di pensiero vincente e funzionale al risultato. Da come si muove un danzatore riesco a intuire molto bene anche che tipo di pensiero sottende alla sua danza e quali le tempistiche con cui le lampadine si accendono nel campo della sua mente. Molte volte questa è focalizzata solo sul presente e così il corpo non è in grado di prepararsi efficacemente per i movimenti successivi, senza una strategia di pensiero non si è mai davvero pronti a quello che arriva un istante dopo.
Allora lì cerco di infilarmi incalzandoli con la mia voce. Un attimo prima di eseguire una piroette gli lancio un promemoria, li aiuto a comprendere l’importanza di formulare una strategia d’azione, continuo a lanciargli memorandum fino a che non diventerà un’abitudine ritrovare quell’attenzione specifica, che funziona per lui o per lei e soltanto dopo questa acquisizione potremo passare a qualcosa di diverso, aggiungendo, stratificando consapevolezze fino a che non avranno più bisogno di me. Eh sì, il mio obiettivo è proprio quello di diventare inutile per loro, allora saprò che il mio lavoro è stato svolto con successo.
Si tratta di un processo lungo e certosino, come dicevamo, da costruire insieme giorno dopo giorno con enorme pazienza perché anche se la mente comprende quale sia la cosa giusta da fare, il corpo ha bisogno di molte ripetizioni e di tempo per acquisire, metabolizzare, assorbire e integrare. Ebbene sì, il nostro meraviglioso corpo, strumento sensibile e raffinato, è un luogo antico, può imparare solo attraverso l’esperienza e la ripetizione quindi noi tutti, insegnanti e allievi, abbiamo bisogno di armarci di pazienza e allontanare le aspettative perché inseguire risultati estetici a breve termine non paga quanto vivere ogni istante l’autenticità del momento e comprendere fino in fondo quali sono le reali possibilità del nostro corpo, le sue aree critiche e quelle che possono essere migliorate.
Il pensiero crea letteralmente il movimento, il respiro consente questa trasformazione da energia invisibile a visibile, per questo è importante stimolare, praticare anche questo aspetto dell’apprendimento. Avere un pensiero efficace, che ci porta a fare la cosa giusta nel momento giusto, aumenta notevolmente le possibilità che quel movimento venga eseguito con qualità costante. La tecnica in fondo è esattamente questo.
Un classico è l’allievo o l’allieva che quel giorno non riesce a fare le pirouettes e dice “oggi non è giornata”, oppure ne spara tre perfetti e dichiara “ho avuto fortuna”. Nel primo caso è possibile che la sequenza di pensiero-azione non si sia ancora depositata nell’assetto migliore, mentre nel secondo caso evidentemente la corretta focalizzazione mentale sta cominciando a dare i risultati ma ancora non in modo costante.
Consideriamo, nel caso specifico della pirouettes, una parentesi necessaria, che si tratta di un movimento in cui è richiesta una piccola dose di rilascio, un corpo compresso da troppa rigidità muscolare farà fatica a dare alla piroette quella qualità peculiare di elica che ascende mentre ruota intorno al proprio asse. A volte quando la giusta sequenza di azioni viene integrata nelle risposte istintive del corpo (ossia si è ultimato il processo di cui abbiamo parlato) ecco che quella piccola componente di rilascio può essere inclusa perché non devo più pensare alla sequenza di azioni, tutto fluisce senza sforzo eccessivo e la piroette avviene con apparente semplicità.
Sarà capitato a molti di voi di fare “per caso” giri pazzeschi e percepire intelligenza, agio, fluidità e dinamica nel movimento. Ecco, questo è un esempio per spiegare cosa accade quando tutte le stratificazioni di informazioni accumulate nel tempo convogliano in un solo spazio e in un solo momento con armonia e tensione reciproca, ma per far sì che accada occorre molto tempo, esperienza e una guida che funga da grillo parlante.