La parola Geisha, nella nostra cultura, viene erroneamente affiancata a quella della prostituta, ma nella cultura tradizionale giapponese la Geisha (o Geiko, come vengono chiamate a Kyoto), è una ‘persona d’arte’, una donna che è stata formata per poter intrattenere con la musica, il canto, la danza, l’arte della conversazione, la cerimonia del té, secondo una precisa etichetta di comportamento che prevede gesti precisi e raffinati. L’arte delle Geisha include anche la moda, ossia il confezionamento del kimono, il gusto sopraffino nell’accostamento di colori e materiali, nonché l’acconciatura: la Geisha diviene così essa stessa un’opera d’arte vivente, bellissima e irraggiungibile, la quintessenza della femminilità nipponica. Questo status di icona della cultura e dell’arte si ottiene seguendo un percorso molto duro e difficile, e sebbene oggi queste creature misteriose siano quasi in estinzione, ogni anno ne vengono nominate di nuove, con cerimonie specifiche e tramandate da secoli, ed è così che la tradizione in qualche modo va avanti, anche se solo una ristretta élite può beneficiare del privilegio di assistere ad una loro esibizione.
La parola Maiko viene utilizzata comunemente per indicare una giovane apprendista, nel fiore degli anni, che segue una Onee-san, una sorella maggiore già Geisha, per imparare l’arte del mestiere. Arrivare allo stato di Maiko è già il risultato di un lungo percorso che inizia da piccolissime, nelle Okiya (la casa in cui vivono tutte insieme sotto la guida dell’Okaa-san, la madre, proprietaria della casa di Geisha), dalla mansione di domestica a quella di attendere il ritorno di tutte le Geisha a fine serata, a volte fino a notte fonda. Solo se questa fase preliminare viene attraversata con successo, la giovane può essere scelta per cominciare la formazione per diventare Maiko.
La parola è composta da due kanji: 舞子 il primo dei due, ‘mai’, significa ‘danzante’, mentre il secondo, ‘ko’, potremmo tradurlo come ‘fanciulla’. La maiko è quindi una fanciulla danzante che con i suoi gesti perfettamente coordinati e calibrati, incanta e rende l’aria attorno a sé fresca e gentile.
Quello che forse non tutti sanno è che originariamente la parola Geisha indicava un artista maschio, che intratteneva i clienti delle Oiran, delle prostitute, mentre parallelamente si sviluppa una forma di intrattenimento nelle case dei samurai, dove giovani fanciulle danzavano per i ricchi borghesi. All’epoca erano chiamate Odoriko. Quando la fortuna delle Oiran cominciò a sfumare, si fece strada invece l’arte della danza e in poco tempo questa pratica finì per soppiantare i ‘colleghi’ maschi.
Quando pensiamo alla danza spesso l’immagine che ci viene in mente è quella della ballerina classica, ma in realtà esistono molte altre danze nel mondo, più antiche e persino più complesse di quella che noi consideriamo come l’unica espressione possibile di purezza nel movimento.
Queste fanciulle avvolte di mistero e di incanto, si presentano con il viso dipinto di bianco e gli occhi come due petali di ciliegio, le labbra dipinte di rosso e le complesse acconciature decorate da pendenti con motivi floreali. La scelta del kimono è un aspetto importante di quest’arte, fa parte di quel tutto che compone l’esibizione. I motivi che compaiono sugli abiti sono di solito abbinati alla stagione, così come ogni altro dettaglio, dalle tante cinture alle decorazioni sui capelli. Con questo abito, formato da così tanti strati da necessitare di un addetto appositamente formato per la vestizione, che già di per sé rende i movimenti difficili e costretti, queste danzatrici si muovono con eleganza e delicatezza, e con una grazia soprannaturale eseguono gesti precisi, essenziali, senza alcun orpello, senza alcuna impurità, coordinando una miriade di piccole azioni.
Le Geisha sono sempre accompagnate dalle guardie del corpo, impossibile persino vederle, ma in città come Kyoto è possibile incontrare qualche Maiko che si avvia verso il lavoro, specie verso quell’ora magica che separa il regno della luce da quello degli spiriti: arrampicate sugli Okobo, i tradizionali sandali altissimi che impediscono all’orlo del kimono di sporcarsi strisciando per terra, a piccoli passi attraversano i viali della città, mentre i turisti si accalcano per fotografarle e catturare quel sapore squisitamente giapponese che queste depositarie emanano da ogni poro della pelle.
L’iconica bellezza delle Maiko si sprigiona come una fragranza irresistibile da ogni movimento danzato, come fiori appena sbocciati, resi ancora più accattivanti dalla consapevolezza che qualsiasi ape le possa mai ronzare attorno non potrà mai toccare quel polline, ma solo contemplarlo.