Lia Courrier: “Mikhail Baryshnikov è Apollo, Febo ispiratore, leggenda in vita; storia che appartiene alla storia”

di Lia Courrier
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Qualche giorno fa mi arriva una domanda a bruciapelo da parte di una cara amica: “hai mai scritto un articolo su Mikhail Baryshnikov?”

Con grande personale disappunto verso me stessa, mi sono resa conto di averlo citato in molti articoli senza mai dedicarne uno esclusivamente a lui. Quale grave mancanza da parte mia nei confronti di uno degli idoli di sempre, nonché Apollo, Febo ispiratore per la mia formazione di ballerina e di essere umano, uno di quegli artisti da cui impari semplicemente guardandolo, un Capolavoro vivente, prendendo in prestito questa definizione da Carmelo Bene. Oggi, quindi, voglio celebrarlo colmando questa grave mancanza.

Ho la fortuna di appartenere a quella generazione che poteva ispirarsi ad artisti straordinari, leggende in vita, storie che appartengono alla Storia, talenti multiformi la cui manifestazione non poteva essere limitata ad una sola arte e Mikhail Baryshnikov, irresistibile e sensuale faccia da schiaffi, rientra in questa rosa di eccellenze a pieno merito.

“Ma Mikhail Baryshnikov quello di Sex And The City?”

Sì, esattamente lui, ma è sacrilego conoscerlo solo per quello.

Michail Nikolaevič Baryšnikov, questo è il suo nome per intero, classe 1948, di origine lettone naturalizzato statunitense, è stato il più straordinario ballerino della sua generazione e forse della storia, accoccolato tra le floride grazie di Tersicore, insieme a Nijinsky e Nureyev.

Dieci anni soltanto lo separano da Rudy, eppure Mikhail Baryshnikov, per tutti Misha, sembra provenire dal futuro. Il padre era un militare severo e comunista convinto, non andavano molto d’accordo, in una dichiarazione Misha racconta che quando Stalin morì lui pianse per giorni. La madre aveva origini contadine e fu proprio lei a far conoscere il mondo delle arti al figlio attraverso il Cinema di Charlie Chaplin e Fred Astaire, i musei, il balletto.

Gli occhi di Alessandra Kiseleva, questo era il suo nome, hanno lo stesso fascino languido di quelli di Misha, ma purtroppo non riuscirà mai a vedere quale straordinario portento aveva messo a mondo perché sceglierà di togliersi la vita quando Misha aveva 12 anni. La situazione familiare all’epoca era molto dura, abitavano in case comunitarie condividendo spazi angusti con altre cinque famiglie, una situazione insostenibile che forse ha contribuito alla tragica scelta. Solo una manciata di anni prima, a soli 9 anni, Misha aveva dichiarato alla famiglia di essersi iscritto da solo ad una scuola professionale di danza. Superò gli esami di ammissione e il resto è storia.

Dopo gli studi e una carriera piena di successo e riconoscimenti in Russia, già conteso tra i coreografi che vogliono creare ruoli per lui, intuendone la straordinaria versatilità, la purezza della sua danza e il talento tecnico e interpretativo, mentre si esibisce sui palcoscenici di Toronto, Canada, decide di chiedere asilo politico fuggendo dal regime che impera nel suo paese natale, come avevano fatto tanti altri artisti in quegli anni.

Misha è un vento potente di trasformazione, uno spazio infinito e incredibilmente vitale  custodito in un corpo relativamente piccolo e compatto, che porterà sgomento e cambiamento non solo nella danza ma anche in un nuovo modo di essere artisti. Gli è sempre stato stretto rimanere in un solo ruolo, la sua visione proiettata nel futuro e la curiosità verso qualsiasi linguaggio artistico lo hanno spinto a cercare sempre nuovi stimoli. Nel 1979 viene nominato direttore artistico dell’ABT, formando una nuova generazione di ballerini, dopo aver dato prova delle sue doti di regista e coreografo con la sua ancora insuperata versione del balletto “Don Quixote”, andata in scena il 28 Marzo dell’anno precedente. L’inarrestabile estro creativo di Misha esonda come un fiume in piena e bagna le rive delle arti rendendo la terra fertile e piena di vita ad ogni suo passaggio.

Nel 1990, insieme all’eccentrico e creativo Mark Morris, fonda White Oak Dance Project, compagnia di danza che prende il nome dal programma di preservazione della fauna e dalle piantagioni di Howard Gilman, filantropo che costruisce un meraviglioso studio all’interno della sua proprietà in Florida, affinché la compagnia possa realizzare il primo tour. White Oak Dance Project viene ospitata anche a Milano, nella stagione 1993/94 al teatro Lirico, una delle occasioni in cui ho avuto la fortuna di vedere quest’uomo straordinario portare la sua energia magnetica sulla scena.

Misha si lascia conquistare anche dalla recitazione, come del resto anche aveva fatto Rudy, reso immortale in tutta la sua bellezza nel ruolo di Valentino. Vince diversi premi per le sue interpretazioni nel cinema, forse la sua prova d’attore più conosciuta con pellicole quali “The Turning Point” (1977) e “White Nights” (1985), in cui ha dato prova di non avere nulla da invidiare alle star più acclamate del cinema statunitense. Nel 1989 si misura con la prova più difficile, quella del teatro, interpretando uno snodassimo Gregor Samsa ne “La Metamorfosi” di Kafka, regia e adattamento di Steven Berkoff, uno spettacolo che porterà all’attenzione del mondo la grandezza di Misha in un classico che era già stato interpretato dai più grandi. È datata 2003 la sua partecipazione alla serie tv di successo “Sex And The City”, nel suo ruolo più mainstream: Alexandr Petrovsky, un artista visivo di successo che ha una relazione, breve ma intensa, con la protagonista Carrie Bradshaw.

Il 2005 è l’anno di fondazione del BAC, Baryshnikov Arts Center, spazio polifunzionale sito nel quartiere di Hell’s Kitchen a Manhattan, NYC, la città che forse più di tutte Misha può chiamare casa. Crocevia di artisti di ogni genere, ballerini, attori, musicisti, BAC è lo straordinario lascito che Misha ha realizzato come gesto altruistico per tutti coloro che seguiranno a lui nel portare avanti la ricerca artistica con dedizione, sapere e passione.

Lo straordinario interesse di Misha per le arti non si conosce limiti: risalgono al primo decennio del 2000 alcuni suoi interessantissimi scatti fotografici in cui prova a catturare la danza attraverso una tecnica dai bordi sfocati e un generale effetto offuscato, con il movimento che lascia delle scie al suo passaggio per esprimere la continuità plastica del danzare. Misha aveva già sperimentato la fotografia per diversi anni con la sua 35 millimetri, scegliendo il paesaggio tradizionale e il ritratto e rifuggendo la danza, poiché sentiva di non essere capace di rendere fedelmente l’idea del movimento attraverso un’immagine statica. In seguito, osservando le opere di alcuni artisti quali Alexey Brodovitch (Ballet) e Paul Himmel (Ballet in Action), Ilse Bing con le sue immagini del Moulin Rouge e le ballerine di Can-can, nonché le ultime opere di Irving Penn, comprende che è proprio abbandonando l’immagine cristallina in favore di bordi sfocati e figure amorfe che riuscirà a restituire un’immagine fedele della danza.

La sua dedizione e il suo autentico e instancabile interesse lo portano a studiare, approfondire, guardarsi incessantemente dentro, perché il talento senza questa bruciante brama di conoscere e comprendere è un fiore destinato ad appassire presto. Quello di Misha invece è sempre in pieno splendore, nonostante gli anni che passano, perché dentro a quel corpo di settantaseienne si cela uno spirito giovane, dinamico e chissà in quante altre splendide avventure ci porterà ancora.

Io ho due memorie. Una è nel cervello, come tutti. Laltra nei miei muscoli, nelle mie ossa. Ambedue passano dalle pupille. Perché nella memoria del corpo io immagazzino tutti i gesti, le posture, i movimenti che vedo intorno a me. Nelle mie braccia, nelle mie gambe, nei miei piedi c’è come una banca dati dove conservo due mani che fendono laria, mosse da un barbone sul metrò o le braccia conserte di una donna in chiesa”.

Michail Nikolaevič Baryšnikov

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